lunedì 27 settembre 2021

Il colore della crisi

 


Oggi è la giornata dedicata a indovinare di quale colore potrebbe essere il prossimo governo federale tedesco. Non cambierà significativamente nulla a livello politico, ma a livello sociale qualche turbolenza si farà sentire, in Germania e altrove.

Della vicenda Evergrande, ci siamo invece già annoiati, e del resto i temi economico- finanziari sono perlopiù di noia mortale e di complicazione indigesta, salvo che la crisi debitoria del settore immobiliare, non solo cinese, nelle prossime settimane e mesi non ci riservi delle esplosive sorprese a cascata.

Evergrande ha un totale di 1,97 trilioni di renminbi (305 miliardi di dollari) di debiti, di cui 20 miliardi di dollari in obbligazioni denominate in dollari. Giovedì, Evergrande non è riuscita a soddisfare un pagamento d’interessi di 83,5 milioni di dollari su un’obbligazione. Ciò mette in dubbio il destino della società se non riesce a trovare il denaro entro un periodo di grazia di 30 giorni, ossia prima che venga dichiarato un default formale. La società deve affrontare una nuova scadenza mercoledì, quando scadrà il pagamento di 45 milioni di dollari su un’altra obbligazione.

Prima della scadenza di giovedì scorso, Evergrande aveva dichiarato di aver predisposto un pagamento d’interessi su un’obbligazione dominata in renminbi, equivalente a 35,9 milioni di dollari, senza fornire dettagli se il pagamento è avvenuto in contanti o altri asset. La dichiarazione ha ottenuto pollice verso nella negoziazione sul mercato di Hong Kong di venerdì, dove le azioni della società sono scese di un ulteriore 11,6%, portando il calo per l’anno all’84%.

Dopo i cali borsistici di lunedì scorso, a causa della crisi di Evergrande, i mercati azionari globali sembrano essersi scrollati di dosso i timori immediati che si potesse innescare un “momento Lehman” per il sistema finanziario mondiale. Evergrande, come rilevavo in un post precedente, è un default controllato e gestito dalle autorità cinesi, anche se eventuali conseguenze indesiderate non sono da escludere.

Pechino aveva invitato i governi locali a prepararsi per la crisi di Evergrande, per la possibile tempesta, ma di intervenire solo all’ultimo momento, qualora gli sforzi di Evergrande per evitare la crisi fallissero. Nella città meridionale di Guangzhou, è stato chiesto a una sussidiaria di Evergrande di versare le entrate in un conto di custodia controllato dallo Stato, in modo che l’interesse degli acquirenti di abitazioni potesse essere tutelato e la costruzione ultimata.

La crisi Evergrande segnala che il massiccio sviluppo immobiliare cinese basato sul debito è al capolinea. È un sintomo di un problema molto più grande poiché il vasto settore immobiliare cinese contribuisce al 29% del prodotto interno lordo del paese, e finora ha avuto il ruolo di motore principale della crescita economica cinese. La crisi di questo settore molto vasto, ramificato e sovradimensionato (pare vi siano proprietà invendute di alloggi per oltre 90 milioni di persone) rischia di diventa un freno per l’economia cinese, e ha il potenziale per innescare una reazione a catena.

Come ho spiegato nel post precedente su questo tema, la causa immediata della crisi di Evergrande è stata la decisione del governo cinese di inasprire in modo significativo le normative sul credito, temendo che il mercato immobiliare altamente indebitato stesse diventando una minaccia per la stabilità finanziaria, con conseguenze economiche e sociali di vasta e inedita portata. Pertanto, non si è trattato solo o prevalentemente di un cambiamento di linea politica-economica volto trasferire risorse verso i consumi e teso ad allargare il welfare.

Una tracollo del settore immobiliare e di quelli a esso collegati, metterebbe fuori uso un motore che ha spinto la crescita cinese per almeno due decenni con tassi elevati. La trasformazione del modello di crescita della Cina, con spinte verso i consumi interni e sulla produzione ad alta tecnologia e sullo sviluppo di tecnologie verdi, è una scommessa che i vertici cinesi, in primis il presidente Xi Jinping, non possono permettersi di perdere (*).

Va anche rilevato che le “disfunzionalità” cinesi non sono così uniche come si vorrebbe far credere. Le massicce iniezioni di denaro nel sistema finanziario globale, dopo la crisi del 2008, il crollo finanziario del marzo 2020 all’inizio della pandemia, con l’allargamento del debito pubblico e privato, stanno generando una bolla finanziaria internazionale di dimensioni gigantesche e potenziale esplosivo spaventoso.

In passato, la prescrizione delle autorità monetarie ed economiche sarebbe stata quella di aumentare i tassi d’interesse (come se il problema fondamentale del capitalismo forse inerente alla circolazione e non alle contraddizioni nella sfera della produzione e accumulazione), ma tale è la dipendenza di tutte le principali economie dal regime di bassissimi tassi d’interesse delle principali banche centrali del mondo, che questo è considerato troppo pericoloso. Sarebbe come battere con un martello sulla spoletta di una bomba ancora inesplosa. Questa è la verità, il resto sono perifrasi per negarla.

(*) All’Onu Xi Jinping ha fatto un discorso particolarmente importante per quanto riguarda l’ambiente: “Lo sviluppo è la chiave per il benessere delle persone”, ha osservato banalmente Xi. Ma poi ha annunciato che la Cina non costruirà più centrali a carbone all’estero. La mossa di Pechino potrebbe interessare 44 centrali a carbone destinate al finanziamento statale cinese, per un totale di 50 miliardi di dollari. Ciò ha il potenziale per ridurre le future emissioni di anidride carbonica di 200 milioni di tonnellate l’anno. Vedremo che accadrà con quelle in Cina, il maggior inquinatore mondiale.

In termini di cambiamento climatico, la Cina è un’area d’impatto significativo dove il tasso di aumento della temperatura è significativamente superiore al livello medio globale. Dal 1961 al 2020, gli eventi di precipitazioni estreme in Cina sono in costante aumento.


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