giovedì 20 agosto 2015

L'insolubile crisi, le solite cose


Sette anni dopo il crollo di Wall Street, lontani dall’aver recuperato i livelli produttivi ed occupazionali precedenti, stanno crescendo i segnali di una nuova depressione con raffreddamento delle esportazioni e bassi consumi, caduta dei listini borsistici e crollo dei prezzi delle materie prime. Il tutto nel quadro di una guerra dei cambi, di pressioni deflazionistiche e nel mentre le banche centrali immettono quantità enormi di liquidità acquistando della semplice spazzatura.

C’è una gara ad indovinare dove avrà luogo l’innesco del prossimo tracollo finanziario, e la mitica Cina e le cosiddette economie “emergenti” sono indicati come i candidati più probabili. Dalla Cina arrivano notizie quotidiane sui suoi affanni, e Pechino ha dato garanzie verbali che cerca solo una correzione modesta nel suo tasso di cambio. Vedremo.

Per quanto riguarda le economie emergenti di America Latina, Europa dell'Est, Asia e Africa, esse si trovano ad affrontare enormi deflussi di capitale dai loro mercati azionari e obbligazionari, il precipitare delle valute, e per converso vedono aumentare i loro oneri di debito aggravati dal rialzo del dollaro e dal crollo del prezzo delle materie prime.

Dal canto loro Europa e Giappone sono impantanati in una recessione di cui non si vede fine, anzi, le previsioni di crescita saranno presto smentite dai fatti. Quanto al “recupero” degli Stati Uniti, a guardar bene i numeri (il crollo delle vendite di Wal-Mart mi pare eloquente), si sta dimostrando di essere al tempo stesso fragile e chimerico. Pertanto nessuno può far nulla per evitare il nuovo incendio e per impedire che si propaghi a livello globale. Per quanto riguarda l’economia capitalistica sono ancora gli dèi a decidere.

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“L'economia mondiale è come un transatlantico senza scialuppe di salvataggio”, scrive Stephen King, capo economista presso HSBC, la terza più grande banca del mondo, in un recente report. Indica tre pericoli incombenti: il rischio di un crollo del mercato azionario, quello dei sistemi finanziari non bancari, come le compagnie di assicurazione e fondi pensione, sempre meno in grado di far fronte agli obblighi futuri, la recessione cinese con le inevitabili ripercussioni negli Usa e dunque con effetti globali.

Ciò causerà un enorme domanda di attività liquide, costringendo a vendere nonostante non vi sia una domanda corrispondente. Insomma il film classico della crisi, di recessione e di depressione. E fin qui siamo capaci tutti nella diagnosi. Quanto ad escogitare rimedi, ossia “ammortizzatori”, siamo alle solite ricette. Se poi si tiene conto che nel frattempo il debito globale è salito del 40 per cento e rappresenta quasi tre volte la dimensione dell'economia globale, si capisce bene come esso limiti (eufemismo) la capacità dei governi e delle banche centrali di affrontare la nuova fase della crisi storica generale del capitalismo segnata inequivocabilmente dalle sue contraddizioni.

Forse può interessare cosa scriveva il Wall Street Journal di ieri l’altro in un articolo di prima pagina intitolato in modo eloquente: U.S. Lacks ammo for next economic crisis. Molto empiricamente si dice che una prossima crisi è inevitabile, lo dimostra la storia. Quanto a farne un’analisi seria e scientificamente fondata manco per nulla, figuriamoci poi stampata nella bibbia del capitalismo finanziario. E dunque dà corso alle solite premonizioni basate sugli effetti e non sulle cause.

Perciò il giornale nota quanto è intuibile a qualunque massaia, ossia che la Federal Reserve non può ridurre in modo significativo i tassi di interesse in caso di un'altra fase della crisi, avendoli tenuti prossimi allo zero dal dicembre 2008, e, posto che ha già caricato il proprio debito avendolo quadruplicato, quindi nulla si potrà fare azionando la leva dei tassi e poco per i piani di stimolo fiscale. Insomma, scrive il WSJ, non ci sono munizioni per la ricetta dell’economista britannico John Maynard Keynes.

Al cuore della crisi è un calo degli investimenti produttivi, cui risponde un’ulteriore crescita del parassitismo finanziario e della collaterale attività criminale su larga scala (The wolf of wall street è la solita americanata, la realtà è più complessa e grave), sulle cui cause reali, come detto, non si può indagare e tanto meno renderle pubbliche. Non si può dichiarare ufficialmente al mondo, tra l’altro, che il capitalismo poggia – sia consentita per una volta un’espressione proudhoniana – sulla rapina.

Ah, dimenticavo ed è un po’ che non lo scrivo: le élite borghesi, non vedendo via d'uscita alla crisi, di solito fanno slittare le “soluzioni” verso una catastrofe militare.

Dixi et salvavi animam meam.

9 commenti:

  1. "Nella storia reale la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall'assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza. Nella mite economia politica ha regnato da sempre l'idillio. Diritto e "lavoro" sono stati da sempre gli unici mezzi d'arricchimento, facendosi eccezione, come è ovvio, volta per volta per "questo anno".

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  2. A giudicare dalle "manovre militari" ,si direbbe buona l'ultima.
    Aumentano anche i tentativi di destabilizzazione,a breve e a lunga scadenza.A proposito devo aver letto che il "compagno"Luttvak si aggira in Sicilia alla ricerca di agrumi.
    E' in corso un tutto contro tutti,per piazzarsi meglio.
    Ovviamente alla "massaia " questo non viene detto,da lei come sempre si attendono "figli"per le "patrie",che in prospettiva sembrano aumentare.
    caino

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    1. ti potrà stupire o forse no, ma a me Luttwak fa molto meno schifo di tantissimi altri. per due motivi: perché è intelligente e perché almeno si sa con chi si ha a che fare. sono cose di cui oggi bisogna tener gran conto.

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    2. e poi bisogna riconoscergli una certa onestà intellettuale, visto che ventanni fa denuncio' in un suo libro "la dittatura del turbocapitalismo " ..E credo che gliela abbiano fatta anche pagare visto questo libro "casualmente " non è riportato nella sua pagina wiki ( https://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Luttwak )

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  3. Non mi lascia stupito affatto,anzi,almeno lui e Kissinger sono sempre stati due con le "idee"chiare,due ottimi consiglieri del Principe"direbbe lo scaltro fiorentino di qualche secolo fa...
    L'importante,come dici giustamente e'tenerne conto,stupisce infatti che di quello che dicono venga classificato come uno dei tanti pareri,invece a volte sono di una chiarezza disarmante.
    caino
    ps _Leggo che uno studio confermi che lavorare troppo ammazzi,ma quello che e'quasi incredibile e' che il giornalista classifichi la cosa come la scoperta dell'acqua calda,quasi da non crederci nel panorama informativo italiota.

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  4. Come al solito, leggo un post intelligente, istruttivo e via dicendo.
    Però lei, snobba delle domande legittime.
    Già ebbi a chiederle lumi su come dovrebbe organizzarsi il proletariato, se non vuole tornare a spararsi contro se stesso, e lei ironicamente mi rispose che con questo caldo affrontare temi del genere...
    Ora che fa più freschino perchè non ne approfondisce la questione, che mi sembra doverosa, anche e sopratutto rispetto alla sua dimenticanza finale?
    E in generale comunque, mi sembra che questo tema, non l'appassioni affatto, e mi piacerebbe sapere perchè, se non è chiederle troppo.

    Saluti.

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    1. caro amico/a, lei ha ragione, ma si dà il caso che questo tema mi abbia, per così dire, appassionato fin troppo in passato. ad ogni modo, sulle generali, ne ho parlato più volte. quando farà più fresco magari ne riparlerò. cordialmente

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  5. Senza entrare nel merito del personaggio Prodi,merita pero'attenzione quanto detto sul quotidiano cattolico Avvenire.
    A mio avviso parecchi tasselli cominciano a combaciare nelle strategie,in attesa della prossima crisi.

    caino
    ovviamente ,bisogna saper leggere.

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