giovedì 28 febbraio 2013

I sanculotti e la nuova forma-Stato



Si era diffusa l’idea e radicata la convinzione di essersi lasciati alle spalle il Novecento, con le sue contraddizioni dirompenti e tragicissime. Per il secolo breve e le sue ideologie fu recitato il requiem, dichiarata estinta la storia stessa. Quante cazzate s’inventa l’ideologia dominante per giustificare il sistema. E invece le vecchie questioni sono ancora tra i piedi, anzi, ci scoppiano tra le mani, dopo decenni d’illusioni, proprio perché sono state solo momentaneamente e anche artatamente rimosse ma non risolte.

Le crisi politiche ed economiche ci hanno rifilato i fascismi, le guerre, perfino delle rivoluzioni nate sotto le migliori intenzioni, poi diventate bugiarde e finite male. Dopo le immani tragedie, il secolo americano parve partorire un’epoca nuova, di sviluppo e di progresso, almeno nell’emisfero nord, pur scontando la minaccia dello scontro con l’altra grande potenza nucleare. Prevalse comunque l’ottimismo e la speranza per chi aveva la fortuna di nascere e vivere nel posto giusto. Tuttavia non bisogna dimenticare che nulla venne gratis come invece sembra ritenere la vulgata giovanilistica attuale, allevata carente non solo in storia e geografia.

Non appena la borghesia si è sentita sicura dal lato della Russia, ha accelerato la spinta imperialistica alla globalizzazione producendo enormi vantaggi per le multinazionali e il capitale finanziario, ingordi di profitti. Già prima, il capitale monopolistico multinazionale aveva costruito un solido telaio d’istituti economici, politici e ideologici che gli consentirono di esercitare una pressione sostanziale sugli esecutivi dei singoli Stati al fine di condizionarne le strategie politiche centrali in modo funzionale ai propri interessi.

Ciò ha avuto una rilevanza particolare in rapporto alle economie interne dei paesi, cosicché il trasferimento veloce e inarrestabile di capitali e delle produzioni ha creato inevitabilmente dei problemi di non poco conto nelle antiche metropoli. In Europa, al momento, ha saputo tener botta e anzi ha potuto avvantaggiarsene soprattutto la Germania, forte della propria struttura economica e del fatto che, con l’introduzione della moneta unica, gli altri paesi dell’area non avrebbero potuto più agire sul tasso di cambio per rendere più convenienti le proprie produzioni.

Come scrivevo l’altro giorno, il tutto è avvenuto e succede, per quanto ci riguarda più direttamente, nel quadro travisato della cosiddetta “integrazione europea”, di un processo che ha la pretesa di creare un’interdipendenza tra Stati diseguali, sotto l’egemonia del capitale tedesco-americano. Un quadro aggravato dal fatto – ripeto qui – che noi viviamo una situazione locale – specie in paesi come l’Italia – nella quale gli sfruttatori politici degli sfruttati e degli ingenui, ambiziosi pescecani ai quali la borghesia imperialista ha affidato il compito di suonare il piffero della democrazia borghese, hanno ridotto la società civile un baraccone della burocrazia parassitaria, dello spreco più sfacciato, delle scorribande economico-finanziarie più incredibili. 

La crisi odierna ripropone sostanzialmente gli stessi problemi, sia pure mutati sotto molti dettagli, della crisi degli anni Trenta del Novecento. Anzi, le contraddizioni fondamentali sono le medesime, anche se ora sembrano prodursi forse meno drammaticamente sulla scena internazionale e dei conflitti sociali interni delle nazioni. Per quanto tempo ancora potranno reggere questi assetti sociali? Noi vediamo, per esempio, in tema di conflitti sociali, l’assenza di risposte adeguate alla crisi, e come invece si attuino misure fiscali demenziali e di taglio della spesa pubblica in una fase di grave stagnazione. C’è peraltro anche un altro fatto di cui tener conto, ossia che nessuna nazione può uscirne da sola, ammesso ma non concesso che dalle crisi il sistema possa trovare una via d’uscita unitaria e pacifica.

Questi cambiamenti radicali degli assetti economici e geostrategici, hanno mutato radicalmente anche la forma-Stato tradizionale delle democrazie borghesi. È troppo tardi, troppo a lungo si sono tenuti in non cale gli avvertimenti e gli ammonimenti delle solite cassandre. La democrazia borghese ha giocato a strafare chiedendo ai cittadini di eleggere un’assemblea sovranazionale anche ufficialmente dichiarata priva di poteri, mentre all’interno degli Stati i partiti appaiono disarmati e succubi di fronte al movimento del capitale che li utilizza per i propri fini, ossia li paga per i loro servizi, li lancia contro i proletari per catturarne il consenso e manipolarne le aspirazioni.

In tal senso, la crisi economica, sociale, politica e istituzionale dell’Italia, ma non solo di questo paese, è un segnale che finalmente si pone all’attenzione molto seriamente. Da essa è nato un movimento politico inedito e ineffabile, trasversale, diretto da una figura carismatica che si sottrae a qualsiasi confronto pubblico, un movimento ondivago adatto a qualsiasi avventura, che si propone di cambiare il sistema politico senza mutarne la struttura che l’ha prodotto. È possibile che questo progetto e gli avvenimenti d’ora in poi marcino da soli, in quale direzione precisa non lo so, ma si può star certi che la macchina delle illusioni non si fermerà e continuerà ad alimentare questa schiuma.

mercoledì 27 febbraio 2013

“Ci sono una ventina di milioni di italiani … "



In attesa che il M5S opti per la fiducia o per l’astensione (alla camera, mentre al senato dovrà uscire dall’aula) per far insediare un nuovo governo (c’è chi questa mattina dava per sicuro il governissimo Pd-Pdl-centro, ma non credo si arriverà a tanto anche se in Italia non si può escludere nulla), vorrei cercare di capire alcune cose.

Beppe Grillo non è più semplicemente un ex comico e un blogger di successo, da due giorni è il leader indiscusso (al momento) del primo partito politico, perciò ogni sua dichiarazione, scritta e verbale, diretta o a lui attribuibile, oppure che trovi udienza ufficiale nel suo blog – che può essere equiparato tranquillamente a un organo politico di comunicazione ufficiale –, merita di essere soppesata con la massima attenzione (può avere un'influenza sulla Borsa, ecc.). Egli, sebbene non sia stato formalmente eletto, è a ogni effetto il capo di un partito politico (può definirsi come vuole, ma la sostanza è quella) ed è appunto in tale veste che ha dichiarato che si presenterà al Quirinale per discutere sul da farsi.

Pertanto, il tempo della palla Biowashball dovrebbe considerarsi concluso, e anche quello della pericolosità degli esami diagnostici e dei vaccini, della cura Di Bella, eccetera. Vedremo. Intanto, cerco di capire, d’interpretare, per quanto posso ovviamente, cosa significano le seguenti dichiarazioni lette ieri nel blog di Grillo (ho provveduto alla correzione degli errori ortografici dell’originale):

«Ci sono una ventina di milioni di italiani che hanno galleggiato sulla crisi, che non hanno voluto osare perché forse forse, sotto sotto, gli sta bene così.

[…] La cosa che mi dà malessere sono questi milioni di persone che galleggiano nella crisi, che sono stati solo sfiorati dalla crisi, che sono riusciti a vivacchiare a discapito degli altri milioni che non ce la fanno più. Il problema dell'Italia sono queste persone. E finché non gli toccheranno gli stipendi o le pensioni, per loro va benissimo immobilizzare il Paese, ma durerà poco, molto poco questa situazione».

Come vanno tradotte queste parole, queste minacce a venti milioni di persone che sono riuscite “a vivacchiare a discapito degli altri milioni che non ce la fanno più” grazie ai loro “stipendi o alle loro pensioni”? Ma soprattutto, escludendo i minori e gli “altri milioni che non ce la fanno più”, chi sarebbero questi venti milioni di sanguisughe a cui la crisi, sotto sotto, gli sta bene così? Chi ha stipendi e pensioni esorbitanti? Si tratta di una ventina di milioni? No, non può essere questo il numero, nemmeno per lontana approssimazione. Per quanto riguarda i pensionati, lo stesso Grillo aveva dichiarato si tratti di circa 100mila pensionati d’oro, non milioni.

Vi sono sicuramente migliaia di prestazioni pensionistiche i cui importi sono davvero scandalosi. Migliaia, non milioni. Giusto, tagliare gli eccessi e recuperare, ma chi e con quali criteri decidere il taglio? Grillo, ho sentito, parla di quelle oltre i 4.000 euro. Ma ci sono altre voci, indicano in 2.000 euro il massimo. Non sono nemmeno tra questi, per mia sfortuna, e comunque su un simile argomento non voglio dare la mia posizione.

Allora chi sono le categorie d’italiani che hanno “galleggiato sulla crisi”? Quelli “che sono riusciti a vivacchiare”, risponde il capo del primo partito politico italiano. Perciò ci sono anch’io, perché anch’io mi barcameno, vivacchio. Che facciamo, tagliamo stipendi e pensioni a questi venti milioni di parassiti “che sono stati solo sfiorati dalla crisi”? È questo che pensa Grillo, oppure sono io che interpreto troppo maliziosamente? E se non lo pensa in tali termini, allora perché lo dichiara urbi et orbi e lo scrive?

Devo dire che a me, non so a voi che leggete, questo tipo di linguaggio (“Ci sono una ventina di milioni di italiani …”) mi fa venire in mente altre epoche.

Non la Grecia, non l’Argentina, peggio



Molti di coloro che hanno votato per lo show di Beppe Grillo probabilmente non ne conoscono il programma politico-economico, non almeno negli effetti reali che provocherebbero alcune sue proposte se attuate o anche solo annunciate dal nuovo governo.

Nei 20 punti per uscire dal buio, ci sono alcune proposte condivisibili e auspicabili, in una certa misura fattibili se non lasciate in mano a degli improvvisatori. Altre sono a dir poco stravaganti, e si tratta purtroppo delle proposte che godono ampia popolarità. Ne prendo ad esempio in considerazione tre di queste per dire cosa provocherebbero.

Grillo propone il referendum sulla permanenza nell'euro. È un tema ricorrente del Grillo-pensiero: l'euro affama il Paese, strangola le aziende, trasferisce ricchezza privata per ripagare il debito. Per questo M5S vorrebbe rinegoziare gli accordi Ue giudicati capestro.

Rinominare tutti i contratti in euro nella valuta nazionale equivale a un default di Stato, aziende, banche e famiglie. Per lo stesso motivo l'Italia non può cancellare unilateralmente gli impegni già presi nei Trattati (fiscal compact, six pack, ecc.) e nell'Unione monetaria.

Il debito pubblico è per il M5S un cappio al collo che si stringerà sempre più senza ristrutturare il valore dei titoli di Stato che sono detenuti all'85,7% da banche, fondi, assicurazioni e altri investitori. Bisogna dunque diminuire gli interessi e diluire nel tempo la restituzione del capitale.

Questa semplice proposta, al solo annuncio, equivale per il mercato e le agenzie di rating al default, alias dichiarazione d’insolvibilità, fallimento. Lo Stato italiano, dopo la ristrutturazione perderebbe l'accesso ai mercati e la fiducia degli investitori per anni.

L’M5S vorrebbe impedire che le offerte di acquisto (Opa) siano ripagate indebitando le società acquisite, mettere un tetto allo stipendio dei manager delle quotate, abolire i monopoli di fatto come Telecom, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset, Ferrovie.

Tutto ciò è auspicabile, ma solo in parte fattibile. Un conto è far funzionare davvero gli organismi di controllo finanziario, altro è porre un limite alle società quotate, poiché esse operano in un mercato globale laddove le multinazionali producono buona parte del fatturato all'estero. Il rischio? Mettere in fuga i pochi investitori che ancora scommettono sul mercato italiano. Abolire poi i monopoli di fatto come Telecom, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset, Ferrovie, potrebbe significare solo una cosa: favorire i capitali stranieri. 

Né di destra né di sinistra, grillini



L’ho scritto altre volte, il Movimento cinque stelle non dev’essere demonizzato, ma valutato per ciò che è, per quello che fa. Il M5S è la risposta alla crisi e all’immobilismo delle classi dirigenti di questo paese, un riferimento per lo scontento di chi vive una situazione di proletarizzazione sempre più marcata a causa della nuova fase del ciclo economico capitalistico che ha prodotto una nuova gerarchia nell’ambito della divisione internazionale del lavoro, cui è seguita una demenziale politica economica di austerità (vedi post di lunedì e ieri).

Resta dunque da vedere di quale tipo di risposta si tratti, soprattutto da oggi, cioè da quando il M5S non può più essere valutato come un fenomeno esogeno, ma come un elemento politico importante e anzi decisivo del sistema parlamentare. Con le elezioni il Movimento ha già ottenuto due risultati concreti: è entrato massicciamente in parlamento scompaginandone il quadro tradizionale, e con la presenza di un suo candidato ha dato la vittoria alla Lega in Lombardia.

Le dichiarazioni scritte e verbali del suo attuale leader, peraltro privo di qualsiasi carica ufficiale, meritano attenzione. Anche perché di questo Movimento non conosciamo quasi nulla, se non il fatto che dice di porsi contro questo sistema e di volerlo cambiare entro le stesse coordinate fondamentali sulle quali regge, proponendosi di agire dall’interno delle istituzioni e nelle forme costituzionali. E questo è sufficiente per denotarlo nella sua sostanza.

L’obiettivo dichiarato del Movimento è di rendere il sistema più giusto e trasparente, più partecipato e controllato da parte dei cittadini, quindi più razionale ed efficiente nei suoi gangli funzionali, avendo particolare cura per i temi ambientali. Insomma una serie di classiche proposte di buon senso che però astraggono dai rapporti sociali reali. Ecco perché il suo leader insiste nel connotare il Movimento in chiave interclassista, concentrando i propri strali contro le posizioni di privilegio e determinati comportamenti della “finanza” (*).

Pertanto, la critica che deve essere rivolta a questo tipo di movimenti politici che raccolgono il malcontento e la protesta popolare, non meno che una forte richiesta di status, non deve incentrarsi semplicemente a riguardo di dichiarazioni e aspetti esteriori, pur importanti, ma deve guardare alla sostanza. Questo tipo di movimenti politici hanno poco in comune con le idee “progressiste” del secolo scorso, anche se genericamente alludono a una possibile diminuzione dell’orario di lavoro e a un reddito minimo garantito. Si propongono di salvare i fiumi e i mari, di per sé indifferenti all’inquinamento, e sono dunque a favore di uno sfruttamento della natura più assennato e meno anarchico, ma Casaleggio e Grillo s’illudono (e vogliono illudere) quanto al fatto che il loro movimento in realtà nulla potrà salvare se non con l’abolizione del lavoro-merce. La gestione detta democratica del capitalismo, non offre altro che le elezioni-dimissioni, tentativi di aggiustamento. Nella produzione capitalistica è prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto. Mai come ora l’essenza del capitalismo (e il suo limite storico) si rivela ai nostri occhi per ciò che essa effettivamente è, di là delle chiacchiere grilline: “produrre per distruggere, distruggere per produrre”. Non solo merci, ma con esse anche le nostre vite.


(*) Tra i punti programmatici più noti del movimento vi sono quelli che riguardano l’ineleggibilità dei condannati, l’incandidabilità dopo due mandati, la forte riduzione dei compensi parlamentari, l’eliminazione di privilegi castali particolarmente odiosi. Si tratta di aspetti non dirimenti in rapporto alla situazione economica e sociale del paese, ma molto avvertiti e non solo dall’elettorato di rifermento. L’avversione popolare per la casta politica e i relativi privilegi, prese le mosse anni or sono con un’operazione mediatica tendente a far credere che simili guasti siano un prodotto tipico delle classi dirigenti nazionali, come in parte è vero. Tuttavia  se la classe dirigente italiana è tra le più corrotte d’Europa, si deve tener conto che ciò dipende dai meccanismi stessi di riproduzione della classe dirigente, dal contesto sociale ed economico entro il quale essa agisce, e non semplicemente per una particolare vocazione nostrana. Pertanto, senza un cambio di “struttura”, gli effetti di nuove legislazioni particolarmente severe in materia di corruzione e privilegi, avranno solo un effetto momentaneo e assai blando.


martedì 26 febbraio 2013

Altre ed eventuali



Scrivevo qualche tempo fa del mutamento “antropologico” subito dagli italiani, soprattutto negli ultimi tre decenni, e dei livelli preoccupanti di analfabetismo e di dealfabetizzazione. Purtroppo l’Istat qualifica come analfabeti solo coloro che si autodefiniscono tali, senza nessuna verifica obbiettiva sulla validità dell’autodichiarazioneDavo conto, in un post del 13 gennaio, citando dati del prof. Tullio De Mauro, proprio del livello di dealfabetizzazione raggiunto in Italia. A conferma altri dati che rilevavo in un post già nel 2011: da una scheda dell'Ocse risulta che nella classifica sulla condizione educativa (tale da permettere all'individuo di capire il titolo di un giornale, un semplice questionario, un pubblico avviso) l'Italia occupa il penultimo posto fra una trentina di paesi industrializzati, seguita solo dal Portogallo. A questa situazione soggiace il 68,2% della popolazione, pari a 39.146.400 unità.

Naturalmente i partiti politici, comunque denominati, si avvantaggiano di tale situazione. Perciò, se la crisi, la disperazione e la precarizzazione, sono senz’altro responsabili delle scelte elettorali, nondimeno dobbiamo tener conto e del livello di dealfabetizzazione e d’istupidimento vero e proprio de quale si prendono particolare cura gli specialisti dello spettacolo mediatico. Indicative sono in proposito le ore dei programmi culturali sui vari canali (fonte Istat): Rai Uno ore/anno 4,3%, Rai Due 10,6%, Rai Tre 13,2%, La7 20,3%, Canale 5 0,3%, Italia1 0%, Rete4 1,9%. Per quanto riguarda la radio le risultanze sono simili, tranne che per Rai Tre che riserva il 32,8% delle sue ore al sapere degli ascoltatori.

Non parliamo poi dell’analfabetismo trasversale a tutte le classi sociali e le professioni in materia di economia (quella spicciola). Un esempio, l’ennesimo, è offerto oggi dal solito Berlusconi:

«Smettiamola con lo spread. Lasciamolo stare. I mercati vanno per la loro strada. Sono indipendenti e anche un po’ matti. Abbiamo vissuto felicemente per anni senza preoccuparci dello spread, che è un’invenzione di due anni fa. Lasciamolo stare. Va bene calcolare gli interessi che il Tesoro paga, ma non confrontiamoci sempre comunque con la Germania. Non ha importanza. Ne abbiamo fatto sempre a meno. Continuiamo a farlo. Non esiste».

Non è possibile, non è credibile che questo ineffabile anziano signore non sappia che degli 8,5mld oggi all’asta dei bot semestrali, avendo pagato uno 0,50 d’interesse in più rispetto all'asta precedente, grossomodo ci sono costati (a noi, non a lui) oltre 40mln di euro in più se lo spread non fosse schizzato a 340 punti. Solo questo rincaro del debito ci costerà 1,5mld all'anno e 8mld in tre anni. Quante cose si potevano fare con quei soldi e con tutti quelli che pagheremo in più sul debito causa certe emerite teste di cazzo che molestano la nostra vita da vent’anni?