domenica 26 marzo 2023

Non è necessario che esistano


Si sostiene che la causa principale dell’attuale malessere (eufemismo) del settore finanziario, che per lunghi anni ha beneficiato di un regime eccezionale di tassi d’interesse molto bassi e anche nulli, sia il veloce e sostenuto aumento dei tassi stessi deciso recentemente dalle banche centrali americana ed europea. C’è del vero, ma è solo una parte della verità (e del problema).

È buona cosa ricordare, a titolo d’esempio, che la Bce guidata da Mario Draghi decise, a partire da marzo 2016, il taglio di tutti e tre i principali tassi d’interesse: il tasso di riferimento (refinancing rate) dallo 0,05% a zero, quello sui depositi da -0,30 a -0,40% e la marginal lending facility dallo 0,30 allo 0,25. Inoltre incrementò gli acquisti mensili di titoli di Stato da 60 a 80 miliardi a partire da aprile.

Ottanta miliardi di euro al mese sono circa il costo mensile di 30 milioni di posti di lavoro (compresi i contributi), ossia molto più di quanto sarebbe necessario per sradicare istantaneamente la disoccupazione in Europa (circa 13 milioni) attraverso la creazione di posti di lavoro nel settore pubblico (potrà sembrare strano, ma in termini di addetti la P.A. in Italia può vantare un record negativo in EU).

Mario Draghi, opponeva a chi criticava questi interventi un argomento che sembrava forte: «Supponiamo che non abbiamo agito affatto. Supponiamo di aver adottato quella che io chiamo la strategia nein zu allem [no a tutto], di non fare nulla. Cosa sarebbe successo? Siamo convinti che ciò avrebbe portato a una deflazione disastrosa» [avete letto bene].

Tutti concordarono sul fatto che, inondando il sistema finanziario di liquidità, la Bce (e la Fed) riuscissero a contenere la deflazione. Che cosa è successo? Le economie sono diventate sempre più dipendenti dal credito a buon mercato, la finanza ha sguazzato. A causa dell’abitudine ai bassi tassi di interesse, il debito non è stato ridotto; al contrario, dai boom ai crash, ha continuato a crescere. Insomma, i tassi troppo bassi di ieri spiegano perché oggi i tassi sono così alti.

L’immagine è quella dell’eroinomane: devi sempre aumentare la dose, e, in caso di astinenza, alzando cioè i tassi rapidamente, scoppiano le bolle speculative, da cui deriva contrazione del credito e corteo di danni all’economia reale.

La causa reale dei disequilibri (eufemismo) capitalistici non sono i tassi alti o bassi, e in senso stretto nemmeno la speculazione. Quei disequilibri sono gli effetti, mentre la causa principale delle crisi va cercata altrove, in radice. 

Ad ogni modo quel denaro a costo zero o quasi creava nuove fragilità finanziarie spingendo artificialmente verso l’alto il valore dei titoli. Gli istituti finanziari europei (e quelli americani) più che prestare soldi all’economia reale, favorirono la remunerazione dei loro azionisti. Tra il 2007 e il 2014, 90 banche della zona euro hanno distribuito 196 miliardi di euro di dividendi, trattenendo solo 261 miliardi per ricostituire il proprio capitale. Negli anni seguenti le cose non andarono molto diversamente.

Nei giorni scorsi, rilanciando una generosa politica di distribuzione agli azionisti, le maggiori banche europee hanno annunciato 17,7 miliardi di dividendi agli azionisti e riacquisti di azioni proprie per 12,8 miliardi. Questo per quanto riguarda le banche, oggi in sofferenza, ma diamo una sbirciata all’insieme.

Un esempio, in tempi di protesta sociale in Francia: secondo i calcoli della finanziaria Vernimmen.net, che ha raccolto i dati del 2022, le società CAC 40 (cioè le 40 maggiori società quotate alla Borsa francese) lo scorso anno hanno ridistribuito, esclusi i riacquisti di azioni proprie pari a 23,7 miliardi, dividendi per 56,5 miliardi di euro, rispetto ai 45,6 miliardi del 2021 e ai 28,6 miliardi del 2020, durante la pandemia.

L’importo dei dividendi pagati in tutto il mondo nel 2022 ha raggiunto il livello record di 1.560 miliardi di dollari nel 2022, secondo un rapporto del gestore patrimoniale Janus Henderson. I pagamenti delle società europee rappresentano circa un quarto dei dividendi globali (cioè quasi 400 miliardi).

L’incremento è stato dell’8,4% rispetto al 2021, che era già stato un anno record, alla faccia della pandemia e di chi perdeva lavoro e reddito. Stiamo parlando di dividendi agli azionisti, non già di profitti tout court.

In Europa, il derelitto Regno Unito ha il livello più alto di dividendi pagati nel 2022, con 89,1 miliardi di dollari. Quasi tutte le società britanniche hanno aumentato o mantenuto i propri dividendi rispetto all’anno precedente.

La Francia arriva seconda, registrando 63,2 miliardi di dollari di dividendi nel 2022. Le società tedesche hanno pagato dividendi per 46,2 miliardi di dollari. La Svizzera, quella dei dissesti bancari, ha pagato dividenti per 44,2 miliardi di dollari (+6,2% in un anno).

Per quanto riguarda l’Italia ecco cosa si prospetta per l’inizio del 2023: «A livello medio, le blue chip quotate sulla Piazza Milanese pagano un dividendo che è pari al 4,6% del prezzo di borsa (per avere un metro di paragone, il decennale emesso dal Tesoro rende il 4,2%) per un totale di circa 25 miliardi di euro che finiranno nelle tasche degli azionisti nell’arco dei prossimi 3 mesi. Posizioni di tutto rispetto per l’accoppiata formata da Eni ed Enel, i cui dati rispettivamente si attestano al 7,5 ed al 7,3 per cento». Date un’occhiata alla vostre bollette domestiche.

I dividendi totali della Norvegia nel 2022 sono aumentati del 70,7% (avete letto bene), trainati in gran parte dal gruppo petrolifero Equinor che ha più che triplicato il suo utile netto, raggiungendo i 28,7 miliardi di dollari. Finché c’è guerra c’è speranza, diceva quello.

La società francese TotalEnergies non è da meno, con utili raddoppiati rispetto al 2021, a 36,2 miliardi di dollari. È stata la quattordicesima più grande pagatrice di dividendi al mondo nel 2022 e la prima in Europa. Nessun’altra azienda del Vecchio Continente compare nella top 20 dei principali pagatori mondiali, classifica dominata dalle multinazionali americane.

La politica ultra accomodante delle autorità monetarie, il monopolio delle multinazionali (sì, proprio quelle, sempre loro), la guerra e lo strapotere di una cricca di criminali ha avuto degli effetti che noi possiamo oggi osservare nei nostri bilanci domestici. Poi arriva un Macron oppure un altro schifoso (a scelta) a spiegarci perché i nostri (non i loro) redditi si sciolgono come neve al sole e il welfare non è più sostenibile.

Personalmente non ho nulla contro i singoli investitori, i quali fanno il loro mestiere ed è chiaro che per loro questo sistema è il paradiso. Penso però sia più chiaro, sulla base di questi numeri, perché venerdì scrivevo che non esiste una via “democratica” per uscire da questa situazione in cui si socializzano sistematicamente le perdite e si privatizzano i profitti.

E chiare sono state anche le parole di Bertolt Brecht a tale riguardo: “I nostri avversari sono gli avversari dell’umanità. Non è vero che abbiano ragione dal loro punto di vista: il torto sta nel loro punto di vista. Forse è inevitabile che siano così, ma non è necessario che esistano. È comprensibile che si difendano, ma essi difendono preda e privilegi, e comprendere in questo caso non deve significare perdonare”. 

2 commenti:

  1. https://coniarerivolta.org/2023/03/25/linflazione-dei-padroni/

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  2. https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/25192-noi-non-abbiamo-patria-sul-fallimento-delle-banche-altro-che-fine-della-storia.html

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