giovedì 7 gennaio 2016

Reddito minimo garantito: nuova illusione di corto respiro del riformismo


Bisogna leggerlo questo post del buon Gilioli per avere rendersi conto dei guasti prodotti dall’ideologia borghese nell’ambito della sinistra (recidivo: leggi qui). Le nuove tecnologie “stanno rendendo la maggior parte della popolazione inutile alla produzione e alla creazione di profitti”, scrive Gilioli. E già qui bisognerebbe fare dei distinguo poiché solo una parte della popolazione che svolge un lavoro produce plusvalore (“profitti”), ossia solo quella forza-lavoro che si scambia con capitale e non con denaro in quanto denaro.

Tuttavia lasciamo cadere quelle che per i birilli opportunisti di sinistra sono diventate delle sottigliezze (*).

La nuova “redistribuzione” dell’attività produttiva a livello mondiale, vede tendenzialmente collocare nelle periferie soprattutto le lavorazioni a più alto valore aggiunto (plusvalore), ossia quelle attività che richiedono una forza-lavoro numerosa, poco qualificata e a salari molto bassi. Inoltre, la mutata composizione tecnica del capitale è caratterizzata dalla tendenza alla diminuzione della popolazione lavorativa attiva, ossia dall’aumento della disoccupazione.

Di modo che: se nella sua forma classica, l’esercito industriale di riserva si presentava come collocazione temporanea dell’operaio espulso dalla produzione, in attesa di esservi reinserito, ora invece gran parte di esso viene espulso stabilmente, per assumere una forma stagnante cronica; inoltre, una parte considerevole della nuova forza-lavoro pronta ad entrare nel mercato del lavoro semplicemente non trova collocazione o si deve adattare a condizioni di precariato inimmaginabili solo qualche decennio or sono.



Il giovane proletario sopporta non solo le contraddizioni dell’essere merce rifiutata dal capitale, ma si trova ad essere in contrasto con la funzione e le norme che la lurida società gli impone come ruolo e come obbligazione. Da qui poi nascono tutte quelle tensioni e deviazioni sociali di cui si occupano a tempo pieno giornalisti, politici, sociologi, psicoanalisti, cinematografari, preti franceschi e altra pletora con inesausti chiacchiericci.

È il modo di produzione capitalistico a frapporsi tra l’enorme aumento delle forze produttive e la possibilità di queste forze di esprimersi totalmente e di rendersi creative.

Il limite del capitale è il profitto, non i bisogni dei produttori (**).

Non potendo più essere veicolo delle forze produttive, il modo di produzione capitalistico tende a negarle, rafforzando i suoi rapporti di dominio anche grazie alla facilità con la quale essi vengono assecondati dalle “intelligenze” riformiste e dai diffusori di buone intenzioni. Le contraddizioni che scaturiscono dai rapporti di produzione capitalistici si risolvono così in nuove catene per l’umanità.

*

Posta questa situazione, Gilioli sostiene che è questione d’igiene sociale adottare “una qualche forma di redistribuzione di reddito, indipendentemente dal lavoro”. L’onere di questo reddito – secondo Gilioli – dovrebbe essere a carico “delle aziende che producono, dei loro proprietari e dei loro azionisti”. Bella idea, peccato che essa non colga aspetti non secondari della faccenda, e che quella del reddito minimo garantito sia, od ogni modo, un’illusione dal fiato corto.

Gilioli – avendo compiuto un lungo tirocinio di “sinistra” – sa bene che meno lo Stato riesce a soddisfare la richiesta di consumi sociali individuali e collettivi e comprare il consenso degli strati e dei ceti di classe emarginati dallo sviluppo capitalistico, più rivela la sua natura di classe. Egli sa anche che la manovra di tipo keynesiano della spesa pubblica, alla prova dei fatti, è risultata un’ennesima illusione. E non poteva che essere così posto che le ragioni profonde della contraddizione che scuote il modo di produzione capitalistico e generano le sue crisi trovano una loro effettiva spiegazione solo a partire dalla struttura della produzione.

Il meccanismo imposte-spesa pubblica non è affatto autosufficiente, la questione della dinamica della spesa pubblica e il peso crescente del debito, percorre l’intera storia degli Stati, soprattutto quella del nostro Paese, dall’unità ad oggi. Questo debito crescente richiede, tra l’altro, l’aiuto di organismi internazionali gettando così le basi materiali ed economiche di quell’intervento “straniero” nelle decisioni di politica economica di cui in tanti si dolgono.

Ed è proprio questa tendenza del debito, oltre alla corruzione e alla massiccia evasione fiscale, che sta alla base del meccanismo mediante il quale il capitale finanziario e la borghesia – prestatori di denaro, padroni dei media, ecc. – esercitano il loro potere direttamente e indirettamente sugli esecutivi e gli apparati degli Stati nazionali e sugli organismi internazionali.

Per tale motivo Gilioli chiede che siano “le aziende che producono e i loro proprietari e loro azionisti” a farsi carico dell’onere di garantire un reddito agli emarginati in cambio della pace sociale; presenta astutamente la questione degli emarginati dal lato dei “consumatori”, cioè dal lato di acquirenti di merci, funzionali secondo lui alla riproduzione del processo capitalistico dal lato del mercato. Capitalismo reale e Stato perderebbero le loro determinazioni specifiche, si sovrapporrebbero, in nome della pace sociale e al fine di garantire un’ordinata produzione e riproduzione della vita materiale.

È la quadratura del cerchio, la riduzione delle contraddizioni e della complessità sociale a una mera questione di distribuzione del “profitto” e di trasferimento di reddito. E tutto ciò posto che il sistema è un coacervo di contraddizioni tenute insieme più dalla paura che si sviluppi una reale risposta di classe che dalla capacità di esprimere un denominatore politico di stabilità, stante la crisi inesorabile della rappresentanza e dei partiti che per l’innanzi sono stati il principale strumento di controllo ideologico e di dissimulazione della dittatura della borghesia.

Tra parentesi. Crisi della politica e dei partiti indotta anzitutto dal ruolo prevaricante degli organismi sovranazionali e delle élite che hanno svuotato di quasi ogni potere effettivo i parlamenti nazionali (quello europeo non né ha mai avuto), svelando incautamente il trucco: i partiti appaiono in tal modo disarmati e succubi degli esecutivi e delle forze economiche che li utilizzano ai propri fini. E del resto quando mai un processo d’interdipendenza tra Stati diseguali – in tal caso sotto l’egemonia del capitale più forte, ossia della costellazione tedesca ­– può essere inteso come un movimento verso l’integrazione e non invece di gerarchizzazione come avviene di fatto?

Sennonché si deve tener conto che per il capitale il plusvalore è l’unica misura della razionalità di un sistema. I singoli capitalisti, in quanto tali, siano essi rappresentati individualmente o come azionisti, sono  interessati solo all’acquisto e allo sfruttamento della forza-lavoro; fuori dal rapporto di scambio e di sfruttamento ogni costo diventa per loro improduttivo, irrazionale e dunque assolutamente privo d’interesse.

I gruppi sociali emarginati che consumano senza produrre e senza contribuire in alcun modo alla realizzazione e alla conservazione del valore, potrebbero senza alcun inconveniente, per ciascun singolo capitalista, essere tranquillamente soppressi. Il ragionamento può essere spinto fino al suo estremo limite, restando vero anche in rapporto a tutti i capitalisti nel loro insieme. Questa necessità fatta propria dagli esecutivi sta dando già i suoi frutti …..

*

E veniamo alle questioni apparentemente più tecniche e un tantino più complicate e che però non possono interessare la sinistra riformista.  Ho parlato della composizione tecnica del capitale, il cui sviluppo costante rappresenta la tendenza del capitale a sviluppare produzione e produttività del lavoro. In sintesi: la composizione tecnica riflette il rapporto fisico tra materie prime, mezzi di produzione, ed operai, perciò indica il livello tecnico raggiunto dalla produzione. Questo fatto muta implicitamente anche la composizione organica del capitale, la quale riflette le proporzioni in valore delle parti costitutive del capitale (ne ho scritto alla noia, per esempio qui).

Il fatto che ogni composizione organica (capitale costante/capitale variabile) presupponga e sia sostenuta da una data composizione tecnica (mezzi di produzione/operai) comporta che non ogni quantità di profitto possa trasformarsi in un aumento dell’apparato tecnico di produzione: per l’espansione – quantitativa e qualitativa – della scala della produzione è necessaria infatti una quantità minima di capitale addizionale che, nel procedere dell’accumulazione, diventa, a causa della crescita accelerata del capitale costante, sempre maggiore.

Qualunque capitalista o manager salariato del capitale, tipo un Sergio Marchionne, questa cosa la conosce benissimo: infatti sostiene che i capitalisti quando sono divisi “consumano” troppo capitale fisso e bruciano troppo valore per gli azionisti. Osservazione giustissima anche se fraintende, com’è normale per un borghese, le cause reali del fenomeno. Passiamo oltre.

Se non vi è sufficiente quantità di profitto l’accumulazione è costretta ad interrompersi, e ciò non perché vi sia impossibilità tecnica di procedere oltre, ma perché il valore di scambio non è più in grado di “misurare” il valore d’uso: in altri termini, i rapporti capitalistici di produzione non possono più sostenere il livello raggiunto dalle forze produttive sociali.

Questo “limite”, che nella prima fase del capitalismo si manifesta, nei punti più avanzati, periodicamente come crisi cicliche, quando il capitalismo ha raggiunto un alto grado di sviluppo si presenta come crisi generale-storica, che accompagna il sistema e lo investe nella sua totalità.

Sia chiaro, crisi generale non significa, però, “blocco” delle forze produttive, “crollo” automatico, impossibilità assoluta di accumulare. L’accumulazione può proseguire, ma sempre più faticosamente e su di una base progressivamente più ristretta, accompagnata da crisi cicliche sempre più ravvicinate e scardinanti, contraddizioni sempre più laceranti.

Inizia così a prodursi una trasformazione profonda della formazione sociale capitalistica, che coinvolge tanto la struttura dei capitali, quanto la struttura delle classi, così come il rapporto tra struttura e sovrastruttura, tra economia e Stato.

Aspetto fondamentale della faccenda e che ha un diretto rapporto con la proposta di Gilioli di rosicchiare i profitti dei capitalisti (su base volontaria?) è dato dal fatto che il plusvalore sociale, insufficiente a valorizzare l’intero capitale esistente, è però in grado di valorizzarne una parte. Va da sé che solo gli squali più grossi possono sopravvivere divorando quelli più piccoli. Pertanto, come diceva il vecchiaccio, il “vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso”.

Il cuore del capitale resta la produzione, ed è qui che il valore e il plusvalore (che ci mantiene tutti) vengono generati, mentre nella sfera della circolazione vengono semplicemente realizzati. E il problema della realizzazione, peraltro, è questione centrale e decisiva. E questo post è durato fin troppo.

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Alla fine di questa giostra mi aspetto che un lettore si prenda la briga di pormi la seguente e conseguente obiezione: ma in molti paesi d’Europa il reddito di cittadinanza c’è da anni ….. !

(*) La distinzione e la determinazione di lavoro produttivo e lavoro improduttivo non è morale o politica, antropologica o psicologica, bensì scientifica. Questa differenza è fondamentale per comprendere la reale natura del capitale e anche a riguardo dell’accumulazione, dunque la ragione per cui solo il lavoro produttivo viene ad essere la condizione della ritrasformazione del plusvalore in capitale.

Altro esempio dell’importanza di questa distinzione tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo è dato dal fatto che quest’ultimo può negare o non negare nuovi rapporti sociali, resta il fatto che comunque non li produce: è, esso stesso, riflesso del lavoro produttivo ed è, da questo, determinato tanto nella quantità, quanto nella qualità.


(**) Scriveva quel fissato di Treviri: «Non vengono prodotti troppi mezzi di produzione, per poter occupare la parte della popolazione capace di lavorare. Al contrario. Si crea innanzitutto una parte troppo grande di popolazione che effettivamente non è atta al lavoro ed è costretta dalle sue particolari condizioni a sfruttare il lavoro altrui o ad eseguire dei lavori che possono essere considerati tali solo in un modo di produzione assolutamente miserabile» (III, cap. 15).

8 commenti:

  1. Al reddito di cittadinanza, o come diavolo lo vogliano chiamare, ci arriveranno prima o poi anche in Italia. PD e M5S sono già d'accordo, come sulle unioni civili e tante altre cose.

    Nonostante la dura resistenza dei filosofi etici del liberismo, quelli che se paghi (du' spiccioli, eh, giusto per non crepare di fame) la gente per non far niente ti ritrovi con miriadi di proletari fannulloni e incanagliti - e non starebbe bene, sarebbe indecoroso, signora mia - ci dovranno arrivare se non vogliono trovarsi qualche rivolta in mezzo ai piedi. E allora ci vorrebbero i manganelli a bischero sciolto e gli spettacoli pinochettisti, il sangue per le strade farebbero una brutta figura in TV, allontanerebbero gli investitori. Cosa direbbe il Financial Times? E Bloomberg?

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    1. certo che ci arriveremo in qualche modo e in nome della pace sociale. si raschia un barile e si aggiunge in un altro, ma di qui a credere che saranno i capitalisti a mettere del proprio ce ne passa.

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  2. (su base volontaria?)
    Ogni volta che leggo riproposta questa "fiaba" mi domando se questi " piccoli gigli" " ce sono o ce fanno" ,dovendo concludere che ovviamente " ce fanno", perche' cretini simili non possono esistere, quantomento al livello di " persona istruita".

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  3. Cara Olympe . spero che mi perdonerai se uso parti di quello che tu scrivi in modo chiaro e conciso su altro Blog ,ove da tempo sono impegnato (si fa per dire) in dibattiti più ameni.
    Ma penso che dopotutto tu non scriva solo per il piacere di scrivere ,ma anche con la segreta speranza che possa servire..
    Ancora mi scuso..

    Caino

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  4. Gli economisti non se li pongono certi problemi, dato che dicono che nei paesi a capitalismo avanzato la parte "servizi" sarà sempre più preponderante "economicamente" rispetto alla parte "produzione merci", cosa inevitabile poi anche negli altri paesi, tirando in ballo le percentuali tra "servizi" e produzione "classica" negli Stati Uniti nel PIL come riferimento, dove i "servizi" sarebbero la parte più grossa della torta economica.
    Da cui secondo loro l'avvenire sarà tranquillo a parte qualche strascico temporaneo, qualche "aggiustamento" in corsa, ma con la "sharing economy", il lavoro "freelance" e roba simile i grossi problemi di oggi in fondo saranno superati, insieme al lavoro "salariato", senza bisogno di analisi scientifiche marxiste.
    Quindi, vai con l'ottimismo della volontà dei moderni economisti!(?)
    Questo è lo stato dell'arte oggi.
    Saluti,
    Carlo.

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  5. tutta la spesa pubblica se non a consumare serve al controllo sociale. E' una necessità del capitale ed è il suo limite. Da questo punto di vista si può dire che il limite del capitale è lo scontro di classe.
    Il reddito minimo è applicabile in un paese feudale solo se la sua assegnazione è fatta per raccomandazione (d'altronde che merito potrà mai vantare un disoccupato?). Attualmente i redditi di "cittadinanza" italiani son semplicemente inglobati nei trattamenti pensionistici dei capifamiglia.

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