lunedì 4 gennaio 2016

Per ciò che ci riguarda direttamente


Spesso si sente paragonare la rivoluzione informatica e digitale alla rivoluzione indotta dall’introduzione della stampa a caratteri mobili. Più in generale lo sviluppo tecnico-scientifico in corso, per i cambiamenti che induce a livello economico e sociale, può essere paragonato all’introduzione della macchina a vapore, o all’utilizzo dei motori elettrici e a innovazioni di tale portata. Si tratta in ogni caso di parallelismi di senso relativo poiché ogni scoperta, nel contesto dato, fa storia a sé.

Lo sviluppo tecnico-scientifico raggiunto in pochi decenni lascia stupefatti e anche disorientati, tuttavia credo siano in molti – e non mi riferisco solo al senso comune – a non aver ancora ben compreso la portata dei cambiamenti in atto e di quelli ormai imminenti sul piano economico e sociale.



Non si tratta solo di un cambio d’epoca, come a mia volta ho scritto spesso, bensì di un cambio di paradigma totale, di un processo di transizione che interessa man mano le nostre vite e sta cambiando per sempre e in misura inedita il mondo. Si tratta in definitiva e anzitutto dei rapporti di produzione in gestazione “in seno alla vecchia società”.

Una cosa non si può non notare: il lavoro vivo tende a costituire una frazione sempre più piccola in rapporto al lavoro passato. Per ogni unità di lavoro vivo è messa in moto una massa sempre maggiore di lavoro passato. Ogni merce, ogni unità di prodotto, contiene sempre meno lavoro vivo e sempre meno nuovo valore aggiunto, nonostante la  massa complessiva dei profitti possa aumentare. E ciò non può essere senza conseguenze sul piano economico e poi anche dei rapporti sociali (*).

(Quando quella pasta d’uomo del presidente Mattarella ci ricorda la “sfida che ci pone la tecnologia”, dunque alla crescente disoccupazione come problema egli si richiama con allarme. Tuttavia il giurista del Quirinale si guarda bene, e si può capire, dall'indicare quale sia la reale soluzione, ma nemmeno alla soluzione tampone allude: lavorare meno!)

Nel senso dei mutamenti indotti dalla rivoluzione tecnico-scientifica, per ciò che ci riguarda direttamente, dobbiamo constatare l’enorme sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, tra le esigenze di valorizzazione in senso capitalistico e la condizione dei produttori. Pertanto, in ultima analisi anche la denuncia che vi siano ricchi sempre più ricchi rischia di portarci fuori obiettivo.

Tradotto con un disegnino: in rapporto alla potenza del processo di produzione, ossia in rapporto all’enorme capacità produttiva delle forze sociali indotta dalla rivoluzione tecnico-scientifica, anche i salariati filosofi, al pari di tutti gli altri sfruttati, diventano sempre più poveri, a cominciare dal tempo di vita loro sottratto, e spesso diventano più miseri anche nelle "loro" idee.

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Tesi fondamentale del materialismo storico è l’esistenza oggettiva, fuori e indipendentemente dalla nostra coscienza, della materia sociale nelle sue molteplici forme e nel suo divenire. Ogni fenomeno che si vuole indagare ha dunque, in primo luogo, un’esistenza oggettiva. La formazione sociale capitalistica, ad esempio, esiste come fenomeno oggettivo prima ancora di qualsiasi analisi, di qualunque “idea”.

Già avere chiaro questo è un passo avanti, ma poi viene il difficile, ossia comprendere il metodo che procede dall’astratto al concreto, laddove già il significato che hanno questi termini nel linguaggio di tutti i giorni è fuorviante.

Marx, in polemica con l’idealismo, afferma che:

«Per la coscienza – e la coscienza filosofica è così fatta che per essa il pensiero pensante è l’uomo reale e il mondo pensato è, in quanto tale, la sola realtà – […] la totalità concreta, come totalità del pensiero [Gedankentotalität], come un concreto del pensiero [Gedankenkonkretum], è in fact un prodotto del pensare, del comprendere [begreifen]; ma mai del concetto che genera se stesso e pensa al di fuori al di sopra dell’intuizione e della rappresentazione […]» (**).


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Per rispondere ad una recente osservazione di un lettore, il quale sostiene, con una asciutta e apparentemente neutrale presa d’atto, che così va il mondo e in tal modo continuerà ad andare, si può osservare che la storia non può trovare una conclusione definitiva in uno stato ideale perfetto del genere umano; una società perfetta, un ordinamento statuale perfetto, sono cose che possono esistere soltanto nella fantasia, nella vana speranza di chi sogna un mondo ideale. Di questo non riesce a farsene motivo il pensiero piccolo borghese, e la diffusa disillusione sfocia nelle posizioni nichiliste funzionali in definitiva al sistema. Al contrario, tutte le situazioni storiche che si sono succedute non sono altro che tappe transitorie nel corso dello sviluppo infinito della società umana da un grado più basso a un grado più elevato. È inteso che non si tratta di un processo lineare e pacifico, e che può anche interrompersi definitivamente per cause belliche o ecologiche.

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(*) Inoltre, se ogni unità di prodotto contiene meno lavoro e perciò meno valore aggiunto (chiamiamolo pure in codesto modo il plusvalore), il rapporto tra capitale complessivo e profitto (altra forma in cui si presenta il plusvalore) tende a mutare. Di questa mutazione i capitalisti e gli economisti non comprendono assolutamente la dinamica intrinseca, però il fenomeno si presenta ai loro occhi, cioè nei bilanci economici, con una concretezza che li disorienta.

Anche questo fatto di un’oggettività stupefacente, non può essere senza conseguenze e ci parla del carattere storico e transitorio della forma valore. In altri termini del carattere storico e transitorio della forma capitalistica in cui è prodotta la ricchezza sociale.

(**) Introduzione a Per la critica dell’economia politica. Le traduzioni italiane reperibili in rete, pur mantenendosi fedeli al senso dell’originale, potrebbero presentare delle differenze “filologiche”.

Vedo di rendere più domestico il significato della citazione marxiana: per secoli il problema fondamentale di tutta la filosofia è stato quello del rapporto del pensiero con l’essere, del saper se l’elemento primordiale è lo spirito o la natura. I filosofi si sono divisi in due grandi campi secondo il modo come rispondevano a tale quesito. Quelli che affermavano la priorità dello spirito rispetto alla natura, formavano il campo dell’idealismo. Quelli che affermavano la priorità della natura appartenevano alle diverse scuole del materialismo.

In altri termini la domanda era questa, anche se non sempre formulata in termini così chiari: quale relazione passa tra le nostre idee del mondo e questo mondo stesso? È in grado il nostro pensiero di conoscere il mondo reale; possiamo noi nelle nostre rappresentazioni e nei nostri concetti del mondo reale avere un’immagine fedele della realtà? Alcuni filosofi, per esempio Hume e Kant, contestavano la possibilità di una conoscenza del mondo, o almeno una conoscenza esauriente di esso. Per altri invece, anzitutto Hegel per esempio, ciò che noi conosciamo del mondo reale è precisamente il suo contenuto ideale, in tal modo è evidente che il pensiero può conoscere in contenuto il quale è già, preventivamente, un contenuto ideale. Ed è altrettanto evidente che ciò che si deve provare è già contenuto qui, tacitamente, nelle premesse.

Forse ora la citazione di Marx riportata sopra è più chiara: per gli idealisti di ogni risma il pensiero pensante è l’uomo reale e il mondo pensato è, in quanto tale, la sola realtà. Per contro Marx afferma che la realtà, come concreto del pensiero è sì un prodotto del comprendere, ma tale prodotto del pensiero non genera esso stesso la realtà.

Sembra oggi questa una questione che va da sé, altrimenti una questione eminentemente filosofica e lontana nel tempo, ma essa invece ci riguarda ancora da vicino anche se viene posta in termini mutati e più sofisticati, in ambiti in cui non si sospetterebbe. Infatti, mutatis mutandis è un po’ quello che succede, per esempio, alla fisica teorica e in particolare alla meccanica quantistica: è la realtà che si deve uniformare alle equazioni matematiche!

La risposta che diedero i materialisti, per contro, fu più ingegnosa che profonda, per dirla con Engels. La confutazione più decisiva di questa ubbia idealistica è data dalla pratica, particolarmente dall’esperimento e dall’industria. Se possiamo dimostrare che la nostra comprensione di un dato fenomeno naturale è giusta, creandolo noi stessi, producendo le sue condizioni e, quel che più conta, facendolo servire ai nostri fini, l’inafferrabile “cosa in sé” di Kant è finita. Sia chiaro che con il progredire della scienza e dell’industria anche i sistemi idealistici si riempivano sempre più di contenuto materialistico e cercavano di rimuovere il contrasto tra lo spirito e la materia a loro modo. Insomma, il neokantismo è rimasto una semplice curiosità speculativa. Alla fine anche gli idealisti divennero, per il contenuto delle loro idee, dei materialisti, ma di un materialismo posto idealisticamente con la testa all’ingiù.


Anche il materialismo, sia ben chiaro, è passato per una serie di fasi di sviluppo, quello ottocentesco e per larga parte anche quello novecentesco era prevalentemente meccanico, ossia incapace di concepire il mondo come un processo, come una sostanza soggetta a un’evoluzione storica.

3 commenti:

  1. Infatti, mutatis mutandis è un po’ quello che succede, per esempio, alla fisica teorica e in particolare alla meccanica quantistica:

    Da fisico con una certa conoscenza della meccanica quantistica posso dire che in fisica il problema e' stato perfettamente risolto proprio nell' esigenza di introdurre questa "meccanica".
    E'infatti la realta' che determina la teoria come sua spiegazione e la teoria trova la sua validita' non solo nello spiegare aspetti noti della realta' quanto nel prevederne di nuovi poi effettivamente verificati.
    Quindi la quantizzazione della materia " c'era prima di noi " , essa e' un dato di fatto " a priori" di qualunque nostra idea che per essere considerata giusta ne deve conseguire "a posteriori"

    Va detto pero' che questo tipo di chiarezza conoscitiva e' valida solo nelle scienze " esatte", cioe' in quelle i cui fenomeni sono misurabili in modo riproducibile pur nei limiti statistici dell' inderminatezza delle nostre osservazioni.

    Stando fuori da questo ambito le scienze "umane" sono invece un luogo dove le teorie POSSONO esistere anche " a priori" cioe' essere in grado di determinare una realta' " a posteriori" ( che è poi quello che stiamo osservando nel trionfo della "teoria liberista" :-) )

    Per tornare quindi all' argomento, le scienze esatte sono sempre socialmente neutre . Non e' la "tecnologia" che determina il nostro mondo ma l' uso che ne viene deciso da " chi può" usarla .

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    1. ci sono fisici che hanno opinioni molto diverse dalla sua, in un senso e nell'altro. non spacci la fisica teorica per ciò che non è e non può, allo stato, essere.

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  2. "Forse ora la citazione di Marx riportata sopra è più chiara: per gli idealisti di ogni risma il pensiero pensante è l’uomo reale e il mondo pensato è, in quanto tale, la sola realtà."

    ma quando mai ! Il pensiero pensante ( l' Io di Fichte o lo Spirito di Hegel ) non si può mai identificare con l'uomo reale, empirico.

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