sabato 2 gennaio 2016

Le "idee" sono come l'intendenza: seguono


Nel suo manuale per aspiranti despoti, Machiavelli cercò di indovinare una giustificazione per le bassezze del potere in uno dei dogmi della religione cristiana: è il peccato originale che fa l’uomo naturalmente dedito al male, e solo la necessità può spingerlo al bene. È questa la classica scusa di ogni assolutismo che prende di mira l’uomo astratto. Trasformando una mezza verità in una menzogna assoluta, Machiavelli indicò tre sole forme di governo efficace: quello basato sulla forza, il terrore, la corruzione.

L’esperienza storica ci mostra che quanto più è forte il dominio di una classe sociale, o di un’oligarchia, tanto più quella società è dispotica. Le classi dominanti, non ultima la borghesia, hanno solo diversamente modulato e graduato forza, terrore e corruzione. Sono queste le forme del loro governo, ma non costituiscono la base stessa del potere delle classi dominanti. La borghesia è arrivata a dissimulare e sublimare queste forme del suo governo nella moderna democrazia, laddove il potere politico sembra soggiacere alla volontà popolare espressa con il voto, allo stesso modo che la schiavitù imposta dal bisogno assume le sembianze della libera contrattazione.



Noi sappiamo con quali forze e strumenti la borghesia – ossia i padroni del mondo – riescono a condizionare le nostre “libere” scelte (*). Vediamo anche come le grandi forze economiche, lasciate agire senza un effettivo controllo sociale, producano più problemi di quanti possano risolverne. E ciò va detto anche prescindendo da qualsiasi altra considerazione in tema di contraddizioni immanenti al modo di produzione capitalistico.

Nella nostra epoca, in particolare, la struttura della rete di controllo delle multinazionali detiene un potere d’indirizzo e di condizionamento come mai si era dato alle forze economiche su una scala così vasta e in forme così penetranti. Un potere, delle vere e proprie “super-entità”, che incide in modo decisivo sulla concorrenza del mercato globale e la stabilità finanziaria, tanto che è risibile parlare di libero mercato a fronte di una rete internazionale così totalitaria.

Chi si pone il problema del che fare deve necessariamente porsi anche quello implicito da che cosa partire. L’aver abbandonato il “vecchio” Marx sul piano dell’analisi e dell’indicazione rivoluzionaria, o, per altri versi, la sua “riscoperta” come “filosofo”, “economista” addirittura, per farne un profeta disarmato, ci priva dell’arma più potente a disposizione di chi questo sistema non lo vuole semplicemente riformare. La sconfitta e l’eclisse di prospettiva della sinistra sta in radice in questo fatto, anche se sul piano sociale molto più di questo.

Il perdurare della crisi e il suo acuirsi, il coinvolgimento di strati sociali sempre più vasti, stanno facendo maturare una situazione d’instabilità senza precedenti negli ultimi decenni, sul piano interno e nel quadro dei rapporti internazionali. I vecchi partiti riformisti sono allo sbando totale. Il riformismo mostra tutta la sua incapacità culturale e politica ad affrontare le contraddizioni del sistema sul piano delle proposte e dell’iniziativa, anche perché soluzione reali e di lungo periodo non ve ne sono. Sullo sfondo c’è sempre il pericolo della deriva reazionaria, tante volte sperimentata delle classi dirigenti.

È su questa strada che le “democrazie” si stanno incamminando già da un pezzo. Non lo scrivo da oggi, ma insistentemente da sei anni. E non è casuale il nome del blog. Nessuna consolazione, anzi. Al prossimo scossone finanziario – che non tarderà, cosa che non è diventata di senso comune posto che la gente si fa fregare ancora a quel modo dalle banche – verranno giù cenere e lapilli. A quel tempo non ci sarà più scampo, a dimostrazione, ancora una volta, che prima vengono le maledette “cose” e poi le “idee” seguono.


(*) Un caso di scuola è dato dai neri negli Usa, laddove anche quando hanno votato per un loro candidato alla presidenza, il risultato non ha cambiato nulla nella loro condizione se non in peggio.

7 commenti:

  1. O.T.

    In merito ad un suo post sull'Arabia Saudita pubblicato qualche settimana fa, le passo questo, diciamo così, aggiornamento: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/01/02/arabia-sauditagiustiziati-47-terroristi_8eaf833d-0fca-4e5e-b0c1-fe0b24d7d2a4.html

    Auguri di buon anno!

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  2. «cosa che non è diventata di senso comune»
    La nostra società e la nostra epoca sono una prigione perfetta le cui sbarre si chiamano democrazia e libertà. Fuor di metafora: per il senso comune, libertà e democrazia si sono già realizzate, non esiste alcun oltre (se non nell'irrazionale, beninteso, nel quale si rifugiano i cosiddetti disadattati).

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    1. Riconosco che i principi della democrazia borghese non vanno buttati via, tutt’altro, ma come ben rilevi essi finiscono per essere un comodo guinzaglio per la schiavitù di base. Una schiavitù di base che il benessere profuso dal welfare nella fase alta del ciclo ha illuso quasi tutti e molti continua ad illuderli. La cosa proseguirà ancora così fino a quando la crisi del sistema e la disoccupazione e la precarietà di massa non darà la stura ad una svolta. Che, come sappiamo, potrebbe essere di natura reazionaria, e condurre anche a uno scontro tra Stati-nazione. Forse farò in tempo a vedere qualcosa, credo mio malgrado. Tu, mio caro, hai più tempo davanti. Poi, caso mai, mi racconterai.

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    2. Le racconterà nell'aldilà? Ma non era ateo lei? (ironia).

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  3. (ironia).Porca vacca se non fosse stato per la precisazione non l'avrei capito.
    Si vede che ai Comunisti manca il senso oppure. apprezzano solo quella di qualità.

    Caino

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  4. noto che le contraddizioni inter-imperialistiche oggi sembrano non ostacolare l'integrazione nel mercato mondiale ma anzi la cosiddetta, fittizia a mio modo di vedere, perdita di sovranità degli apparati burocratico statuali viene in favore delle leggi fondamentali di movimento del Capitale e della sua natura cosmopolita.

    io non credo più ad un momento (1945-1971) in cui ci fu un controllo sociale sulla espansione dei mercati, credo ci fu un momento in cui era efficiente per i mercati stessi quel tipo di evoluzione con al centro lo stato come investitore e redistributore di prima istanza (momento peraltro iniziato attorno al 29) -di qua e di là della cortina di ferro (giappone compreso)- e nel resto del mondo una lenta assimilazione a spizzichi e bocconi del modo di produzione capitalistico

    le contraddizioni inter-imperialistiche erano estroflesse nella guerra fredda, ma con la fine della stessa non si è evoluti verso un unico trust mondiale: oggi coesistono senza darsi per ora troppo fastidio grandi accumulazioni legate a diverse società civili, cioè le comunità dei specifici interessi materiali, dal punto di vista prima produttivo e solo poi commerciale; le contraddizione del movimento espansivo del modo di produzione sono invece pesantemente proiettate all' interno di quelle società. In questi termini pongo i nuovi compiti degli stati nazionali che oggi, ne abbiano intenzione o meno, non possono che fare gli interessi del Capitale globale, di sue frazioni.

    la concorrenza tra le grandi holding oligopolistiche (in cui si è saldato, come vide bene Lenin, il Capitale finanziario-bancario con quello industriale) non è che non ci sia, si è però incentrata sulla innovazione tecnologica e sul marketing e molto meno sul prezzo finale.

    per concludere mi pare che si siano moltiplicati i centri di potere che si possono sovrapporre solo in parte alle nazionalità e contemporaneamente essi non possono astrarre completamente dal riferimento ad alcune società civili, il movimento economico si realizza e rinnova comunque nel Capitale umano. in quest' ambito si pone anche la questione della democrazia

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    1. Le contraddizioni inter-imperialistiche non ostacolano (ma solo fino a un certo punto) l'integrazione nel mercato mondiale per il semplice fatto che il mercato mondiale è l’ambito su cui sono costrette a operare le entità economiche qualunque ne sia la dimensione; resta però la lotta tra gli Stati-nazione per il controllo e la supremazia; storia vecchia, affatto non superata;

      la lotta di fazione tra componenti stataliste e privatistiche ha una lunga storia, come ben sai, ed è stata assai cruenta in Italia; oggi il neoliberismo trionfante mostra chi ha vinto;

      un unico trust mondiale contestuale agli Stati-nazione è impossibile, non siamo in questa fase. Sul concetto di “società civili” andrei con più cautela, propendo ancora per la definizione di Stati-nazione: il conflitto tra i diversi imperialismi è ben vivo, non trarrei conclusioni troppo deterministiche;

      perfettamente d’accordo dove dici che la concorrenza tra le grandi holding oligopolistiche e la saldatura tra capitale finanziario-bancario con quello industriale si è incentrata sulla innovazione tecnologica e sul marketing e molto meno sul prezzo finale (altrimenti a cosa servirebbe il monopolio?). Resta il fatto che la competizione tra Stati-nazione, dunque tra i diversi imperialismi, si mostra ancora viva e decisiva. Perciò non escludo un altro conflitto generalizzato le cui forme e i cui esiti posso solo ipotizzare poiché ci sono sconosciuti in gran parte i reali sviluppi tecnologici raggiunti in campo militare da parte delle grandi potenze;

      va da sé che si sono moltiplicati i centri di potere e che essi si possono, come ho appena detto, sovrapporre solo in parte agli interessi degli Stati-nazione. Il movimento complessivo segue comunque le linee che si dipartono dalla contraddizione fondamentale. La borghesia si rende conto perfettamente che lo sviluppo tecnologico ha determinato un salto di binario e che non c’è più trippa per gatti. Perfino nel discorso di Mattarella ciò appare evidente.

      Grazie per gli spunti dell’interessante commento.

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