martedì 15 maggio 2012

Più che il quando, il come



Vivremo abbastanza a lungo per vedere una rivoluzione politica? Questo chiedeva il venticinquenne Marx ad Arnold Rouge e cinque anni più tardi la rivoluzione c’era. La fine di un’epoca è sempre l’inizio di un’altra e nel nostro caso non si tratta di profetizzare nulla, ma di prendere atto di quello che sta sotto i nostri occhi. Del resto le condizioni materiali di una nuova società sono pronte da così tanto tempo che un giorno ci si chiederà perché si sia atteso tanto.

Ma più che il quando dovrebbe interessarci il come: il proletariato ritornerà a essere protagonista come classe storica, partendo dal rifiuto del lavoro alienato e fino a coinvolgere gli ordinamenti statuali ed economici che reggono questo sistema comandato – come scrive oggi il manifesto e come a mia volta ripeto da anni – da gente troppo idiota per non fallire? Non mi pare che al momento circolino idee molto simili a queste e che vi sia organizzazione della lotta ma solo episodi sempre più diffusi di rabbia e di malcontento.

Da un lato, com’è giusto e naturale, si parla di coloro che si trovano dentro la tagliola della disoccupazione e della cassaintegrazione, disperati per i soldi che mancano per campare. E tuttavia, posta tale drammaticità e urgenza, è assente nel dibattito pubblico, ossia fuori dai soliti luoghi circoscritti ed esulando dalle romantiche teorie neo-pauperistiche, il tema di una nuova dimensione e organizzazione sociale ed economica diversa dall’attuale e sua antagonista.

Dall’altro lato c’è chi vuole solo difendere i propri soldi (pochi o tanti), ha paura dell’euro e dei mercati finanziari. Tra questi ci sono i produttori tedeschi, ma anche gli investitori internazionali, la galassia di stipendiati e pensionati francesi, italiani e spagnoli. Quelli che votavano Sarkozy e Berlusconi e sono ora disposti a votare qualsiasi cosa purché la situazione cambi o almeno non peggiori. Non chiedono un cambiamento radicale, ma un po’ della solita colla d’intervento pubblico per aggiustare il giocattolo, ossia altra carta moneta, credito e qualche lavoro pubblico.

Questo stato di cose evolverà in parallelo con la crisi, ma già ora si sta diffondendo la convinzione che le vecchie potenze della politica politicante sono miserabili illusioni funzionali alla conservazione di un sistema esaurito e completamente screditato. Un po’ alla volta anche il vissuto negativo troverà la propria strada per uscire dall’inganno, per organizzarsi e muoversi autonomamente diventando sempre più cosciente dei modelli e dei programmi di controllo ufficiali. Ma c’è anche il rischio d’infilarci in altre avventure e solo il futuro ci dimostrerà quanto ci stiamo sbagliando tutti nella nostra monotona immagine del possibile.

6 commenti:

  1. Si tratta di prendere atto come dici tu, ma mi creda Olympe, io giornalmente lotto, sto in piazza, mi accampo pure se necessario, cerco di sensibilizzare sulla questione, ma la gente, o meglio, il proletariato, è quasi del tutto sordo. O perso in mille rivoli fra: comitati No Debito, M5S, sindacati vari di base e non, galassie di fantomatici partiti rivoluzionari e, soprattutto, inazione, depressione e menefreghismo totale. Ultimamente sono più demoralizzato del solito, so che non dovrei esserlo a 29 anni ma è così. Faccio attività politica con la mia linea internazionalista che forse ricorda (le ho postato qualcosa), e ci credo davvero in quello che faccio, ho studiato e sto studiando molto, ma faccio davvero fatica a trovare contatti con gli italiani. Mi sembra di parlare con muri di gomma. Ci sono innumerevoli barriere qui in Italia, mentali e non. Burocrazie mentali infinite. Dov'è la classe, ci si chiede. Ci sono i presupposti per un movimento rivoluzionario, eppure tutto tace. E le nostre (poche) grida, tra cui le sue, sembrano sempre di più urla nel deserto. Persone che si spaventano se gli parli di "comunismo", che si terrorizzano per la falce e martello, per un simbolo che, insieme al sole e al grano è forse il più bello prodotto dalla storia umana (unione fra campagna e città, armonia con la natura e rinascita) che si tappano le orecchie neanche stesse parlando Stalin o Mao redivivi. Rifiuto totale per il passato che si traduce in inazione nel presente e menefreghismo per il futuro. E vince Grillo, e lo credo bene. Non mi stupisce.
    Scusi lo sfogo :)
    Con grande stima.

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  2. Dici bene, si vedono solo episodi di ribellione rispetto al presente stato di cose, che si perdono in mille rivoli, senza riuscire a trovare un'unità di intenti, perché, come sottolinei, è assente nel dibattito pubblico, ossia fuori dai soliti luoghi circoscritti ed esulando dalle romantiche teorie neo-pauperistiche, il tema di una nuova dimensione e organizzazione sociale ed economica diversa dall’attuale e sua antagonista.
    Laddove il tema dell'alternativa “globale” viene toccato o affrontato, questa assume la forma del puro e semplice rifiuto del presente, in termini appunto “neoromantici”, e quindi la “colpa” del presente è associata allo sviluppo, che non viene semplicemente sottoposto a critica, ma rigettato in blocco. Si pensa che la “natura” possa salvarci dalle “colpe” della cultura. Questo porta a un ripiegamento nei confini della “piccola comunità”, che immagina di potersi staccare dal “caos” del macrocosmo economico; la dimensione della “piccola comunità” (la “comune autogestita” di produzione; la fattoria “a misura d'uomo”; i gruppi d'acquisto solidale; ecc.) viene considerata la dimensione ideale per creare un “laboratorio di alternativa”, che coltivi solo le virtù “della natura”, tenendo fuori del proprio recinto le “miserie” dello “sviluppo brutto e cattivo”, figlio della “cultura avida”.
    Non è escluso che qualcuno pensi (versione “hard” di questa tendenza) di tornare completamente, almeno in certe aree geografiche più “sfortunate” dal punto di vista dell'industrializzazione, a una “felice” (?) economia di sussistenza, tutta a “chilometro zero”, senza più scambi commerciali di vasta portata con l'esterno. Sarebbe un ritorno a un certo modello “medievale” di economia e di società; d'altra parte, sotto il profilo della politica “politicante”, stiamo assistendo alla “feudalizzazione” dei partiti. Qualcuno scambia la parte con il tutto, e si illude che alcune soluzioni buone per rivitalizzare certi settori economici (alcune produzioni agricole, ad es.) possano diventare un modello politico tout court. Il fatto è che manca un “piano generale”, che non limitandosi (come ora avviene) ad additare questa o quella contraddizione del “sistema” (la disoccupazione, il precariato, ecc.), disegni una alternativa di sistema realmente praticabile (su vasta scala e non in qualche “microcosmo virtuoso”) e all'altezza dei tempi.
    Il rischio che tu indichi (d’infilarci in altre avventure) lo intravedo anch'io, al momento, impigliati come siamo in questa monotona immagine del possibile (ben detto...).

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  3. caro Mauro, quanto ddescrivi è normale. dalle mie parti, ma credo anche dalle altre, c'è un detto, assai crudo ma molto pragmatico: alla gente fai prima a metterglielo in culo che in testa.

    a Ivan: tutta gente che sta bene di panza perciò immagina le robinsonate. dopo un mese che non trova più le camice stirate come si deve, cambia opinione

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  4. "Del resto le condizioni materiali di una nuova società sono pronte da così tanto tempo che un giorno ci si chiederà perché si sia atteso tanto."

    Non c'è più bel pensiero di questo per descrivere la situazione attuale.

    Olympe sei sempre grande!

    E voi del del blog: su con la vita, che la strada per quanto accidentata e faticosa è ben tracciata!

    Ciao, gianni

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  5. Come qualcuno ha detto, la sinistra è congelata ormai da 30 anni e che la sinistra non sa' cosa sia il mondo

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  6. Bel post davvero. Il problema è metterlo in pratica però.

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