Alle 17,25 l’aereo pilotato da Bertuzzi con a bordo il presidente Enrico Mattei e il giornalista William McHale s’alza in volo. Il cielo è sereno, ma a Milano piove a dirotto, come ben sanno i viaggiatori. Bertuzzi aveva conosciuto Enrico Mattei, del quale divenne amico fidato, pilota personale e comandante della flotta aziendale, alcuni anni prima. Mattei stimava le doti aviatorie e umane di Bertuzzi, tanto da chiudere un occhio sul suo passato. Qualcuno rimproverava a Mattei l’amicizia con un ex-repubblichino, ma egli era solito rispondere che si volava sicuri «perché Dio non può avercela contemporaneamente con un fascista ed un partigiano!». Lui, no.
Bertuzzi chiede alla torre di Linate il permesso di atterrare. Tre minuti dopo, a Bascapè (Pavia), il contadino Mario Ronchi vede “una palla di fuoco” precipitare dal cielo nero. I resti quasi disintegrati – scrive un giornalista del Corriere – del piccolo aereo con i tre cadaveri saranno recuperati accanto a un filare di pioppi con i rami più alti bruciati, come se fossero stati “pettinati” dalla tragica discesa dell'aereo già in fiamme. Il contadino in seguito ritratterà.
La notizia della morte di Enrico Mattei suscita ovviamente enorme clamore, le agenzie di stampa estere annunciano che è morto l'italiano "più conosciuto nel mondo". Il ministro della Difesa, Giulio Andreotti, nomina una commissione d’inchiesta presieduta dal generale Ercole Savi (la mattina dopo, il 28, si trova già sul luogo dell'incidente!) e di cui fa parte il generale Giuseppe Casero (tessara P2 n. 488, poi coinvolto nell’affaire golpe Borghese, sposò Margherita Paulas, detta Grety, vedova di Mattei) che chiuderà alcuni mesi dopo con questa frase: si suppone sia stato un incidente, causato da un malore o un errore di stanchezza del pilota. I resti dell'aereo saranno recuperati e lavati! Dopo la chiusura dell'invhiesta della magistratura, nel 1966, saranno restituiti alla Snam che provvede a fonderli! Passeranno trent’anni prima che un giudice di Pavia, Vincenzo Calia, riapra l’inchiesta, per stabilire che si è trattato di un attentato:
“l’aereo […] venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962. Il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. Nell'aereo, si è certificato, fu inserita una bomba stimata in 150 grammi di esplosivo posto dietro al cruscotto dell'apparecchio che si sarebbe attivata durante la fase iniziale di atterraggio. Ma l’esplosivo non basta, ci vogliono gli inneschi, per esempio del stifnato di piombo o fulminato di mercurio, delle predisposizioni, ecc.. Un lavoro da esperti, non da picciotti. Soprattutto un’incombenza per chi conosce come funziona un aereo.
Solo un “dettaglio”, molto eloquente, tra i tanti di questa sinistra e a dir poco misteriosa vicenda: le bretelle del giornalista americano (*) furono rinvenute a 400m dal punto d’impatto dell’aereo. Sul quotidiano La Stampa di quei giorni si legge: «i poveri corpi sono stati straziati in una maniera non descrivibile per umana pietà dallo scoppio dell'aereo al momento dell'impatto contro il suolo e i brandelli erano sparsi per un raggio di circa cento metri […] Era partito dall'aeroporto di Catania alle 17 circa ed è caduto alle 18,51 esatte. Questo orario è fissato con sicurezza dal quadrante di un orologio Omega di una delle persone a bordo, trovato ieri mattina fra l'erba, settanta metri oltre il punto di caduta. […] Il comandante Bertuzzi era arrivato in prossimità dell'aeroporto di Linate alle 18.17 e aveva chiesto alla torre di controllo le consuete istruzioni per l'atterraggio. La torre rispondeva che la pista era libera e il pilota precisava che si trovava ad una quota di seimila piedi, cioè 1800 metri. “Faccio un giro per scendere”, aveva aggiunto il comandante. Poco dopo la torre riceveva un'altra comunicazione: “Sono a 2 mila piedi (600 metri); fra due minuti sarò sul beton (pista), anzi fra un minuto”. Poi più nulla […]. L'aereo è caduto esattamente un minuto e mezzo dopo perdendo quota, ha urtato le cime di un filare di pioppi e si è schiantato a fianco di un canale di irrigazione dopo l'ultima, comunicazione del pilota: lo ha indicato l'orologio di bordo. Può darsi che per un'avaria agli altimetri la quota non fosse di 600 metri come credeva il pilota, ma inferiore, e che l'aereo non si sia potuto reggere a causa di un vuoto d'aria. Dai primi rilievi tecnici pare che sia precipitato in forte picchiata, perché non è stata trovata sul terreno alcuna scia. […] In quel momento procedeva con un angolo di venti gradi rispetto alla direttrice nord-sud. Ha toccato il suolo con l'ala sinistra e la prima esplosione deve essere avvenuta da quella parte».
E ora la prima testimonianza dei familiari del contadino:
«I primi ad accorgersi del sinistro sono stati i familiari del contadino Mario Ronchi che abita alla cascina Albaredo a 300 metri di distanza. La moglie del Ronchi, Elide Sofientini, di 34 anni, e la madre, Gesuina Marini, di 71, anni, erano in casa quando hanno udito un sibilo sulle loro teste. “Ai rombi ci siamo abituate — ha raccontalo la Sofientini — perché sopra di noi gli aeroplani si preparano all'atterraggio all'aeroporto di Linate: tra il giorno e la notte ne sentiremo cinquanta o sessanta; ma quello di ieri era un romito diverso, un frastuono enorme, poi trasformato in sibilo. Credevamo che l'aeroplano ci cadesse sulla testa e dopo il sibilo abbiamo sentito uno scoppio. Immediatamente, attraverso i vetri della finestra, sono entrati i bagliori dell'incendio. Siamo andate sull'aia, ma non abbiamo avuto il coraggio di proseguire verso l'incendio, anche perché pioveva a dirotto”. Dieci minuti dopo è rincasato da Bascapè il Ronchi. Visto il fuoco, ha deciso di correre in paese. C'è andato in bicicletta e appena arrivato si è rivolto all'assessore Pellegrino Panigada. Questi, prima di dare l'allarme, ha voluto andare a vedere se veramente si trattava di un aereo. E' arrivato fin vicino al luogo del sinistro con la sua 500 », poi è tornato velocemente in paese ed ha telefonato ai carabinieri della stazione più vicina, quella di Landriano. Erano le 19,1,0 quando il maresciallo Pelosi è giunto, a bordo della propria auto, nei pressi del luogo della sciagura. Le fiamme erano ancora alte».
Molto contraddittoria questa cronaca giornalistica, anche perché nella prima intervista il Ronchi dice di essere stato a casa al momento della esplosione e della caduta dell'aereo. Un’altra testimonianza, di cui tener conto, è quella di Margherita Maroni, detta Rita, anch’essa abitante del luogo: “Ho sentito lo scoppio, poi ho visto le scintille che venivano giù come delle stelle filanti o delle piccole comete. Sono certa di quello che ho visto e non ho mai dichiarato cose diverse, sin dalla sera in cui sono arrivati i primi giornalisti…”. Scrive il giudice Calia che il caso “Mattei” sarebbe un “complotto tutto italiano” e nella richiesta di archiviazione annota: «L’esecuzione dell’attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza [in scadenza] dell’ente petrolifero. La programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e comportarono – quantomeno a livello di collaborazione e di copertura – il coinvolgimento degli uomini inseriti nello stesso Ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano». Roba forte, quindi. Ma nomi certi di mandanti ed esecutori, nessuno. E anzi si rinvia a giudizio il povero contadino Ronchi.
(*) I funerali del giornalista William McHale si sono svolti stamane nella chiesa americana di Santa Susanna in via XX Settembre. […] Ha celebrato la Messa funebre padre James Tucek. Dalla famiglia del defunto erano presenti la vedova con due figlioletti e il fratello Edward, diplomatico presso l'ambasciata americana di Londra. […] Al termine del rito, la salma è stata trasportata al Cimitero della Piramide Cestia per la tumulazione (La Stampa, 31-10-1962).
[continua]
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