Nel 150° anniversario dell’Unità, scopriamo una cosa che era nota da tempo e che cioè non siamo considerati nei paesi del nord Europa null’altro che un’espressione geografica che necessita di tutela. La responsabilità di questo stato di cose ovviamente non è solo dovuta alla condizione di minorità politica e governativa di cui il paese dà incondizionata prova oggi o appena ieri. Credere questo, consola e quasi ci lusinga, ma serve a lasciare in ombra quelle che sono le colpe vere della borghesia italiana e della classe dirigente nel suo insieme, ma anche quelle di un popolino di troppi Pulcinella.
Dove lo trovi un altro paese in Europa dove siano accaduti negli ultimi decenni tanti e tali misfatti come in l’Italia e sulla cui responsabilità e complicità diretta e occulta non è mai stata fatta luce? Di quale credibilità vogliamo parlare? Di quella di una borghesia che ha messo al potere un uomo non solo ridicolo e vanesio (non il primo e non il solo), ma di aver lasciato che il suo stile diventasse quello di larga parte di una nazione d'idioti?
Ma al di là di questo, che è il tema di doglianze diffuso e abbastanza sterile, la nostra riflessione deve poi uscire dallo schema delle geremiadi d’ordine ideologico che galleggiano in superficie e invece guardare a ciò che è stata ridotta la democrazia in Italia e dappertutto il mercato, cioè il capitale, ha avuto bisogno di vendere qualunque cosa a chiunque. Qualche decennio addietro ci voleva un po’ di lucidità per decifrare il contesto reale e percepire i segni dell’avvenire, cioè del fallimento; ora che cominciano a pignorarci i mobili e gli immobili, l’usura dello spettacolo, le toppe di un’economia rappezzata, il ridicolo del potere, appaiono nella loro nuda realtà come nella nota favoletta e non c’è ormai nessun travestimento che valga a coprire uno stato permanente di disagio e di vergogna.
Eppure c’è ancora chi, con la solita falsa e birbante coscienza, sostiene che il gusto del distruggere, la sete di guadagno e di potere, la costante bassezza lucrativa, sarebbero parte della natura dell’uomo allo stesso titolo della sua capacità di creare la propria storia. E così le cause e le colpe del disumano sono fatte pesare sull’umano invece che sull’interesse di pochi che decidono a danno dei molti che patiscono, assolvendo sostanzialmente un sistema economico che ha bisogno di svalutare congiuntamente i valori spirituali e materiali per venderne sempre di “nuovi”.
Ineccepibile, come al solito, l'analisi. Mestamente realista piuttosto che pessimista. Dove ho qualche difficoltà di condivisione, o comprensione, è dove si afferma genericamente che il nostro Presidente sia stato proposto da una non meglio identificata borghesia. A me sembra, invece, che la sua autocandidatura sia stata prima tollerata e poi, dai poteri tradizionali, accettata quando si è assunto l'onere del cosiddetto lavoro socialmente sporco. Il consenso, poi, manipolato o meno, gli è stato attribuito dalle moderne classi sociali popolari, quelle che si sarebbero un tempo definite, con disprezzo, plebe. Che fare? Torno alla lettura.
RispondiEliminaQuindi, (e in riferimento in particolare al finale del suo post) rivoluzione sociale, o politica?
RispondiEliminaPrima l'una, o prima l'altra?
saluti
Luigi
P.S-
Mitica quella foto.
Quanto vorrei anch'io sporgermi su un tale panorama, ma soffro di vertigini.