domenica 19 marzo 2023

L'ultima follia

 

I sintomi della crisi globale del capitalismo si sono manifestati nel 2007, e un anno dopo, nel settembre 2008, interi settori del sistema finanziario statunitense sono crollati, la produzione è entrata in recessione e la crisi ha assunto una dimensione globale. È chiaro che quella è stata la prima fase di una crisi importante, probabilmente decisiva nella storia del capitalismo.

Un tale evento può essere compreso solo se inserito nel contesto delle dinamiche storiche del modo di produzione capitalistico. Il precedente più frequentemente addotto è la crisi del 1929, tuttavia si tratta di un’analogia che non può essere apprezzata oltre un certo limite. E così per un altro confronto, apparentemente altrettanto rilevante, ossia la crisi strutturale degli anni 70. I punti in comune e le differenze sono rivelatori che in gioco non ci sono solo le determinanti economiche, ma anche le condizioni che hanno portato alla crisi e le sue conseguenze politiche e strategiche.

La ragion d’essere del capitalismo è l’accumulazione illimitata di capitale. Per accumulare capitale, i capitalisti devono trarre profitto dai loro investimenti. Va notato che benché la massa dei profitti si accresca notevolmente, il rapporto tra investimenti e profitti tende a decrescere. Ciò avviene in forza di una legge ben precisa, che agisce come legge di natura.

Qui si apre la lotta tra capitali, per la spartizione dei profitti. Ogni volta che l’economia mondiale si espande in modo significativo, si può osservare che ci sono un certo numero di prodotti leader soggetti a un relativo monopolio. Sono questi prodotti che consentono la realizzazione di grandi profitti e l’accumulazione di grandi masse di capitale. È un’evidenza che abbiamo sotto gli occhi.

I rapporti stabiliti a monte e a valle di questi prodotti sono alla base dell’espansione generale dell’economia-mondo. La seconda condizione imposta alla realizzazione dei profitti è che prevalga un ordine mondiale almeno relativo, una situazione relativamente stabile. Il compito di mantenere una situazione relativamente stabile spetta a un potere egemonico, cioè abbastanza forte da imporre questa stabilità al sistema-mondo nel suo insieme.

Storicamente tale stabilità è stata ottenuta poche volte: prima dalle Province Unite (i Paesi Bassi), a metà del XVII secolo, dal Regno Unito a metà del XIX secolo e dagli Stati Uniti a metà del XX secolo. L’ascesa di una potenza egemonica è il risultato di una lunga lotta con le altre potenze che possono aspirare a tale egemonia (pensiamo alla Francia napoleonica e alla Germania nel XX sec.).

L’egemonia statunitense è messa a dura prova dall’ascesa capitalistica della Cina, che è riuscita a mettere in piedi la più efficiente macchina produttiva, tanto da essere definita come la “fabbrica del mondo”.

L’errore strategico di Washington è di averlo permesso. Detto in breve, è prevalso il motivo del profitto, ossia la forza del capitale sulla ragione politico-strategica, per cui il quasi- monopolio del potere geopolitico americano s’è incrinato. Il problema per i capitalisti è che tutti i monopoli sono autodistruttivi, e ciò è dovuto all’esistenza di un mercato mondiale in cui entrano nuovi competitori, indipendentemente dalla qualità della difesa dei monopoli, e giocoforza l’intensità della concorrenza aumenta. Ovviamente anche sul piano geostrategico e non solo mercantile.

Dal lato economico, è notorio che quando la concorrenza aumenta, i prezzi scendono e i profitti diminuiscono contemporaneamente. Schematicamente: quando i profitti sui prodotti più avanzati sono sufficientemente diminuiti, l’economia entra in stagnazione. La risposta alla stagnazione, alla scomparsa delle opportunità di grandi profitti nella produzione, è stata la finanziarizzazione dell’economia. Il capitale tende ad accorciare il ciclo, a non passare più dalla produzione per poi realizzare profitto, ma ad andare dritto verso un’accumulazione guidata dalla manipolazione finanziaria.

Sul piano politico e ideologico, il neoliberismo esprime un’offensiva che in nome dell’efficienza ha in realtà per obiettivo la massimizzazione dei ritorni finanziari, cui ha fatto seguito la più grande follia speculativa. Le bolle si sono spostate in tutto il sistema globale: dai crediti facili ai debiti nazionali, quindi ai titoli spazzatura delle grandi società. Il sistema è così passato da una bolla all’altra. Il mondo sta attualmente gonfiando un’ultima bolla: salvataggi bancari e stampa di denaro.

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