sabato 25 settembre 2021

Marx, "quell’unica cosa che sapeva"


Sull’ultimo Domenicale, compare in seconda pagina una dignitosa recensione (Comprendere Marx, non confutarlo) scritta da Mario Ricciardi per la nuova edizione di Adelphi della biografia intellettuale di Marx, che fu pubblicata negli anni Trenta da Isaiah Berlin con il titolo Karl Marx. His Life and Enviroment. È l’unica monografia pubblicata da Berlin, poiché tutti gli altri libri sono raccolte di saggi o testi di lezioni e conferenze.

Dando una scorsa in Infernet, mi capita a tiro un’altra recensione dedicata alla stessa nuova edizione del Karl Marx di Berlin, con il titolo: Il Marx di Isaiah Berlin aveva una sola idea. E tutt’altro che buona. Che cos’altro aspettarsi su il Giornale da un tizio che si chiama Giancristiano Desiderio? Il quale giudica il Karl Marx di Berlin “un’intelligente e laica interpretazione del marxismo”. Poi chiosa:

« [...] ciò che sappiamo è che Berlin, nel suo splendido saggio del 1951 che è uno studio su Tolstoj e il senso della storia, non cita Marx. Per lui i ricci sono Dante, Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust; e volpi sono Shakespeare, Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Molière, Goethe, Pukin, Balzac, Joyce».

Punto primo. Il volume Il riccio e la volpe (che non c’entra una mazza con la biografia di Marx scritta da Berlin!) non contiene solo “uno studio su Tolstoj e il senso della storia”, bensì, come scrive nella prefazione il suo Autore, una raccolta di saggi «scritti o presentati sotto forma di conferenze nel coso di quasi trent’anni, in occasioni diverse, e quindi non hanno l’unità di un’opera concepita intorno a un tema centrale». Tra questi saggi c’è quello che dà il titolo alla raccolta e che apparve nel 1951 con il titolo Lev Tolstoj’s Historical Scepticism, in Oxford Slavonic Papers. Vi sono inoltre raccolti saggi dal titolo Herzen, Bakunin e la libertà individuale, oppure La Russia e il 1848, ma anche Il populismo russo quale introduzione all’omonimo classico di Franco Venturi, e non mancano saggi dedicati a Herzen, Belinskij, Turgenev.

Punto secondo. Nel volume di Berlin, Il riccio e la volpe (mi riferisco all’edizione Adelphi del 1986), Marx è citato 25 volte. Nello specifico, ossia per quanto riguarda il saggio di Berlin su Tolstoj, richiamato nell’articolo del prof. Desiderio, Marx è citato un paio di volte. Per esempio a p. 85, laddove Berlin scrive:

«Karl Marx fu forse, tra tutti pensatori, quello che prese più sul serio questo assunto; e fece il tentativo più coraggioso, ma anche uno dei meno fortunati, per scoprire le leggi generali che governano l’evoluzione storica [...]. Come Marx (del quale egli non doveva ancora sapere niente al tempo in cui scriveva Guerra e pace), anche Tolstoj vede chiaramente che, se la storia era una scienza, doveva essere possibile scoprire ed enunciare una serie di leggi esatte che, unendosi ai dati di osservazione empirica, avrebbero consentito la predizione del futuro».

Conclude Desiderio come se la sua ipotesi avesse un valore effettivo: «Ma in quell’elenco di ricci non c’è il riccio Marx, perché quell’unica cosa che sapeva – la fine della borghesia e la nascita della società giusta del socialismo scientifico – negava totalitariamente la libertà».

Vero che nell’elenco dei personaggi suddivisi tra ricci e volpi (p. 72) il nome di Marx non compare. Berlin però precisa subito: «Naturalmente, come accade per tutte le classificazioni riduttive di questo tipo, la dicotomia diventa, se si esagera, artificiosa, scolastica e alla fine assurda».

Secondo Desiderio, che salta di palo in frasca, il nome di Marx sarebbe stato omesso da Berlin in quell’elenco per quell’unica cosa che sapeva Marx, vale a dire “la fine della borghesia”, una “negazione totalitaria”! Marx «ritiene di avere in mano nientemeno che le leggi necessarie dell’evoluzione storica che, appunto, una volta conosciute non possono non essere applicate e realizzate per il bene dell’umanità». Quindi: “Qui vi è la radice del male totalitario del Novecento”, sentenzia Giancristiano regalando un orgasmo ai bendisposti lettori del suo articolo che già stavano con la mano sulla patta aperta.

Ragionamento macchinoso e deduzione semplicistica, che però ci porta a sapere l’unica cosa che sapeva anche Marx: basta la “conoscenza delle leggi” del movimento storico per non poter resistere dal farle proprie ed essere spinti irresistibilmente ad applicarle. Perciò si diventa demiurghi chiamati a rispondere del “male totalitario”. Distillato di determinismo storico che stabilisce il primato delle idee sulle cose. Alla stessa stregua si potrebbe inferire che Darwin, il quale conosceva le leggi dello sviluppo biologico, non può non essere responsabile del cosiddetto darwinismo sociale e di tutto ciò che vi è stato messo dentro.

Ecco com’è letta la concezione marxiana della storia, e non mi pare il caso di riempire questo post di citazioni marxiane per evincere la malafede di Giancristiano. Quanto al totalitarismo e alle sue cause domanderei ragguagli proprio a quella borghesia che Desiderio teme di perdere per strada e che in non piccola parte ha tenuto bordone al nazifascismo provocando la più grande tragedia bellica della storia.

Che Berlin non abbia colto il vero della concezione della storia e di tutto il resto che riguarda Marx, è un fatto noto da quasi un secolo. Che il prof. Desiderio non possa concepire qualcosa di onesto su Marx per via del suo pregiudizio ideologico si poteva sospettare ed egli non manca di offrirne puntuale conferma scritta su il Giornale. 

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