lunedì 15 settembre 2014

Vieni avanti, ennesimo cialtrone


All’estero ha avuto molta eco il libro di Thomas Piketty dal titolo Il Capitale nel XXI secolo, e c’è da credere che anche in Italia, dove è appena uscito, farà molto discutere senza peraltro essere letto da molti che ne parleranno. Vale la pena acquistare e leggere questo libro di 928 pagine? Dipende da ciò che ci si aspetta e soprattutto se si è disposti a dare retta alle molte fraudolente bugie che racconta, e credere che l’origine della disuguaglianza di reddito sia anche la causa fondamentale delle crisi capitalistiche (e non semplicemente un effetto, per quanto dirompente), e che tale disuguaglianza possa essere ricomposta in qualche modo per via politica, con una tassazione progressiva della ricchezza. Ecco dunque in sintesi la tesi fondamentale di questo ennesimo cialtrone.



Dico subito che non m’interessa perdere tempo con tali cialtronate proposte a buon mercato dagli indirizzi e dalle scuole del pensiero borghese. Né sarà tema di questo post – ma di un prossimo – il trattamento che questo Achille Loria del XXI secolo riserva nel suo libro a  Marx, volgarizzando e falsificando in modo indecente, nel sesto capitolo, la legge sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, spacciandola anzi per sua, e sostenendo che la legge scoperta da Marx non avrebbe supporto ed evidenza matematica!

Va comunque ancora una volta rilevato che in alcun modo la teoria economia borghese, sempre più in crisi, ha interesse a fare riferimento alle leggi concrete e reali di movimento del sistema economico capitalista, perché ciò porterebbe in luce le contraddizioni reali ed oggettive del modo di produzione capitalistico, e ciò sarebbe oltremodo pericoloso dal punto di vista politico e dell’ordine sociale. In nessun caso la teoria economia borghese si occuperà d’indagare nell’ambito della produzione la contraddizione su cui si fonda l’intera società capitalistica, ossia l’opposizione tra valore d’uso e valore di scambio, perché ciò significherebbe indagare il capitalismo nel suo sviluppo e nella sua rovina, e sia perché la contraddizione interna alla merce rimanda al duplice carattere del lavoro (lavoro concreto/lavoro astratto; processo tecnico di lavoro e processo di valorizzazione), vale a dire al movimento in senso inverso della massa dei valori d’uso, da una parte, e dei valori, dall’altra, in seguito all’aumento della forza produttiva del lavoro.

Agli economisti sono demandati due compiti: il primo è di tentare di restituire alla teoria economica una parvenza di solidità e di scientificità in forza dell’uso “neutrale” ed “obiettivo” di formule matematiche, statistiche e stratagemmi di stampo monetarista, con risultati che perfino una Merkel si è sentita in fregola di ridicolizzare in pubblico; il secondo – assai più importante – è quello di sviare l’attenzione, come detto, dalle contraddizioni reali ed oggettive del sistema, ossia dalle cause reali della crisi, non più ciclica ma storica, facendo gioco – anche da parte di coloro che a chiacchiere dicono di opporvisi – al carattere strumentale e di classe delle politiche di austerità e di smantellamento del welfare, in buona sostanza curando il paziente che non vuole (almeno secondo la vulgata) rimettersi in forze, sottoponendolo a continui salassi (*).

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Piketty, nel suo libro non può esimersi dal citare, all’inizio e poi in modo molto vago nel sesto capitolo, l’opera più famosa in tema di “capitale”, ossia Il Capitale di Karl Marx. E basta leggere cosa scrive a p. 23 per farsi un’idea del livello scientifico del libro di Piketty e di come egli falsifichi, da subito, screditandolo presso il lettore ingenuo e preconcetto, il fondamentale contributo marxiano alla critica dell’economia politica:

Marx nei due decenni successivi [alla pubblicazione del Manifesto], si dedicherà alla stesura del voluminoso trattato che dovrà giustificare la conclusione del Manifesto e porre le fondamenta dell’analisi scientifica del capitalismo e del suo crollo. L’opera resterà incompiuta: il Libro I del Capitale viene pubblicato nel 1867, ma marx muore nel 1883 senza aver terminato i due volumi successivi, che verranno pubblicati postumi dall’amico Engels, sulla base dei frammenti manoscritti, a tratti oscuri, che Marx ha lasciato.

L’idea che se ne può fare il lettore di cui sopra è che l’opera critica di Marx sia rimasta incompiuta per larga parte e che ciò che ci è pervenuto dopo la sua morte sia costituito meramente da “frammenti” (ciò è vero solo per alcuni capitoli del III Libro), e che insomma il suo apporto all’analisi scientifica del capitalismo sia lontano da averci dato una teoria esaustiva che ponga in luce le contraddizioni reali ed oggettive del modo di produzione capitalistico, sulla base delle sue leggi di movimento, delle sue tendenze e controtendenze, e che invece illustri, a tratti con oscurità, una teoria del “crollo”.

E tutto ciò, come sa chiunque si sia effettivamente approcciato all’opera di Marx, ossia come sanno tutti quelli che non parlano per sentito dire o per aver leggiucchiato di seconda e terza manao, è assolutamente falso, a cominciare dal fatto che Marx abbia postulato, in quanto tale, una teoria del “crollo” del capitalismo come scrive Piketty. Ma di questo dirò, appunto, in un prossimo post, mentre ora è mio desiderio mettere in luce quali sono effettivamente i meriti scientifici di Marx e che tronfi economisti borghesi di ogni epoca hanno tentato di falsificare e di screditare, oggi con più successo di ieri stante la pigrizia teorica e la tristezza politica dei nostri giorni.

*

L’elaborazione dei concetti fondamentali dell’economia politica marxista ha il suo periodo culminante negli anni 1850-1863. È in questo periodo che Marx sviluppa in modo organico la sua teoria del valore e del plusvalore, nonché la sua teoria del profitto medio, prezzo di produzione e rendita fondiaria.

Tuttavia, già prima di tale periodo, Marx, a 29 anni, scrive la sua prima opera di carattere economico, ossia La miseria della filosofia, edita a Parigi e Bruxelles, in cui indica chiaramente il difetto metodologico principale dell’economia politica borghese, cioè il suo carattere astorico, il suo tentativo di esporre le leggi economiche del capitalismo come leggi eterne (vedi più avanti). Formula quindi l’importantissima tesi: i rapporti di produzione non sono, come sostengono gli economisti borghesi, rapporti tra cose, bensì rapporti tra uomini in relazione a cose. Inoltre mostra come l’economia di Proudhon rappresenti un passo indietro rispetto a Smith e Ricardo.

Marx in quest’opera resta però ancora sostanzialmente sul terreno delle “teoria del valore-lavoro di Ricardo”, mancando la duplice distinzione del carattere del lavoro (lavoro concreto/lavoro astratto) e, quindi, l’individuazione della merce come unità contraddittoria di valore d’uso – valore di scambio.

In un opuscolo del dicembre dello stesso anno, Lavoro salariato e capitale, raccolta di lezioni tenute presso l’Associazione dei lavoratori tedeschi di Bruxelles, Marx mette al centro della sua analisi la “merce lavoro”, la relazione tra capitale e lavoro salariato, e giunge a un passo dalla soluzione del problema dello scambio tra lavoro salariato e capitale. Definisce il lavoro che si scambia con capitale “forza creativa, attraverso cui l’operaio conferisce al lavoro accumulato un valore maggiore di quel che prima possedeva”.

Nel 1849 a Londra Marx ha modo di approfondire lo studio della storia dell’economia politica inglese, soprattutto Petty, Smith, Ricardo. Dall’agosto 1850 al giugno 1853, riempie oltre 24 grossi quaderni che egli stesso enumera I-XXIV (inoltre esiste una serie di quaderni di estratti non numerati).  Nel luglio 1857, scrive lo Schizzo sugli economisti Bastiat e Carey (rimasto incompiuto), dove per la prima volta delinea esattamente i confini storici dell’economia politica inglese: fine sec. XVII (Petty e Boisguillebert), primo ventennio del sec. XIX (Ricardo e Sismondi); gli economisti successivi li definisce “epigoni o critici reazionari dei classici”.

Tra la fine dell’agosto e l’inizio di settembre 1857, scrive la celebre Einleitung (Introduzione a Per la critica dell’economia politica). A metà settembre ne interrompe la stesura e, più tardi, dichiarerà: “sopprimo un’introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che voglia seguirmi deve decidersi a salire dal particolare al generale”.

L’Einleitung mostra comunque che nell’estate del 1857, Marx aveva già elaborato dettagliatamente i fondamenti metodologici della sua teoria economica. In essa afferma per la prima volta il primato della produzione sociale: produzione, distribuzione, scambio e consumo sono parti di una totalità unitaria in cui ha luogo interrelazione. Osserva che gli economisti classici, che si attenevano alla “teoria del valore-lavoro”, avrebbero dovuto essere “i teorici della produzione”, e tuttavia dichiarano che la distribuzione è l’unico oggetto dell’economia politica, come del resto avviene ancor oggi per tutti loro, prescindendo dagli attuali fantasmagorici approdi teorici.

È importante sottolineare questo fatto, poiché essi ritenevano (e ritengono) la produzione eterna ed immutabile ed invece le forme di distribuzione, indipendenti dalla produzione, storiche. In tal modo, gli economisti si precludono la possibilità di studiare scientificamente le forme di distribuzione, perché queste ultime non sono altro che espressioni delle forme della produzione. Al contrario, solo lo studio delle forme di produzione, concepite come storiche, permette di capire anche le forme storiche in cui avviene la distribuzione.

È proprio la mancata comprensione di questo aspetto, come di altri importanti, che impedisce a quest’asino di Thomas Piketty di afferrare, posto che egli sia in buona fede, cosa sulla quale possiamo fortemente dubitare, come la critica dell’economia marxiana non sia riducibile agli aspetti circolatori e della distribuzione, né la sua contraddizione fondamentale risulti semplicemente, come pretende di attribuire a Marx questo falsificatore,  dall’inarrestabile tendenza all’accumulazione (tra l'altro assimila tra loro concetti come ricchezza privata e accumulazione di capitale). Inoltre, quando Piketty afferma che Marx “come Ricardo intende concentrare il proprio lavoro nell’analisi delle contraddizioni logiche connotate al sistema capitalistico”, ciò rivela che egli non sa nulla del metodo d’indagine marxiano, della vera e propria rottura epistemologica compiuta da Marx, la quale costituisce un altro suo merito scientifico, filosofico e storico.

Già nell’Einleitung Marx espone il metodo scientifico del “salire dall’astratto al concreto” e critica, nello stesso tempo, la concezione idealistico-hegeliana di esso. L’interpretazione dialettico-materialistica di questo metodo implica che la realtà (concreto sensibile), che costituisce il punto di partenza dell’analisi, al termine dell’indagine si esprima come “unità del molteplice”, sintesi di molteplici determinazioni (concreto del pensiero). È questo un punto che magari tratterò più diffusamente in un post successivo.

Dall’ottobre 1857 al maggio dell’anno dopo, Marx scrive il manoscritto Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, più noti come Grundrisse (pubblicati nel 1939-41). Iniziano con il Capitolo del denaro, che Marx contrassegna con il n. II. Ciò si spiega con il fatto che aveva intenzione di premettergli un capitolo a cui voleva dare originariamente il titolo di Valore e che più tardi, in Per la critica dell’economia politica, intitolò La merce.

Nel capitolo successivo, il Capitolo sul capitale, vengono analizzati: il duplice carattere del lavoro e della merce; il concetto di forza-lavoro; il plusvalore; il plusvalore assoluto e relativo; la composizione organica  del capitale; il saggio del profitto; la caduta del saggio del profitto; il capitale fisso, il capitale circolante; la trasformazione del plusvalore in profitto; l’interesse. Tale capitolo è diviso in tre sezioni: 1) Il processo di produzione del capitale; 2) Il processo di circolazione del capitale; 3) Il capitale fruttifero. Interesse, profitto.

Nei Grundrisse, Marx espone per la prima volta organicamente la sua teoria economica, evidenziandone le profonde differenze con quella dei “classci” e di Ricardo in particolare. Partito dall’acquisizione del carattere storico delle leggi economiche, Marx individua nel lavoro, nello specifico modo di produzione capitalistico, un duplice carattere: in quanto produttore di “oggetti utili” è lavoro concreto; in quanto produttore di “oggetti vendibili” è lavoro astratto.

Ciò vale a dire che nel capitalismo ogni prodotto del lavoro assume la forma di merce, caratterizzandosi così per due specifiche determinazioni: come “oggetto utile” possiede un valore d’uso, come “oggetto vendibile” possiede un valore di scambio. In questa duplicità di carattere, quello dominante è il valore di scambio, tanto che Marx definisce il modo di produzione capitalistico “produzione di valori d’uso in forma esclusiva di valori di scambio”.

Al contrario dei modi di produzione precedenti, quello capitalistico è un modo di produzione duale, unità dialettica di due momenti contraddittori tra loro compenetranti: quello del “valore d’uso” e quello del “valore di scambio”. Mettere in luce le leggi specifiche di questo modo di produzione vuol dire allora analizzare il movimento di questa contraddizione fondamentale.

In questo sta la profonda differenza dell’economia marxista da quella classica. Infatti, Ricardo e con lui gli economisti borghesi più in generale, abbagliati dal “feticismo della merce”, eleggono ad oggetto privilegiato della loro ricerca i fenomeni del mercato, il “valore di scambio” in particolare. Ma limitando, in tal modo, ad un solo aspetto della contraddizione, non sono in grado di spiegare nemmeno i movimenti di questo (sintomatica l’incapacità di Ricardo a motivare la nascita del profitto-plusvalore in base alla sua stessa legge del valore-lavoro).

La teoria economica marxista, invece, partendo dalla produzione, può individuare la contraddizione fondante e seguirne il movimento nella sua globalità. Espone così le leggi di sviluppo del sistema complessivo e scioglie, nel contempo, i nodi lasciati irrisolti dalla limitata impostazione classica.

Per contro, ogni teoria borghese, di destra o di sinistra che essa si proclami, privilegiando i fenomeni del mercato, si illude inevitabilmente di trovare la soluzione degli “squilibri” capitalistici nella “regolamentazione” dei movimenti del valore di scambio, o in una tassazione progressiva "più equa"!!!.

Il marxismo, al contrario, individuando nella contraddizione valore d’uso-valore di scambio la causa prima degli “squilibri”, indica, come unica possibilità per la loro soluzione, l’abolizione della stessa produzione di valori di scambio. Come diceva Marx: “Non attacca solo singoli risultati del modo di produzione capitalistico, ma tutti i suoi presupposti”.

Nel gennaio 1859, Marx invia all’editore il manoscritto del Primo Quaderno di Per la critica dell’economia politica, che verrà pubblicato nell’estate. Questo Quaderno contiene il primo capitolo dei Grundrisse (quello sul Valore, diventato ora La merce) e il secondo (il Capitolo del denaro). Il Capitolo del capitale, nel quale è esposta la teoria del valore e del plusvalore, e che doveva costituire il Secondo Quaderno, non apparve. Al suo posto fu pubblicato, nel 1867, il Primo Libro de Il Capitale. Vediamo perché.

Nell’agosto 1861, Marx si accinge a lavorare al Secondo Quaderno di Per la critica dell’economia politica. Dall’agosto 1861 fino al luglio 1863, scrive un grosso manoscritto, abbastanza disomogeneo, di ben 23 quaderni. I primi cinque quaderni, scritti tra agosto e dicembre 1861, riflettono il suo lavoro al Secondo Quaderno. In essi vengono trattati la trasformazione del denaro in capitale e la produzione del plusvalore assoluto e relativo. Giunto però al Capitolo sulle macchine s’interrompe l’esposizione in positivo e, nel gennaio 1862, inizia una minuziosa analisi critica della storia dell’economia politica borghese.

Questa parte storico-critica del manoscritto (18 quaderni) fu chiamata da Marx stesso Teorie sul plusvalore. In essa Marx non si limita a sottoporre l’economia politica borghese ad una considerazione storico-critica, ma elabora ulteriormente la sua teoria economica. Qui, infatti, è sviluppata per la prima volta la teoria del profitto medio, prezzo di produzione, valore di mercato, prezzo di mercato, rendita fondiaria, lavoro produttivo e improduttivo.

Alla fine del 1862, Marx decide di cambiare il titolo della sua opera economica, che doveva essere pubblicata in un volume e non più in forma di singoli Quaderni (cfr. lettera a Kugelmann del 28 dicembre 1862). La chiama: Il Capitale. Per la critica dell’economia politica. Il manoscritto del 1861-’63, nel suo complesso, costituisce il primo abbozzo di tutti e quattro i libri de Il Capitale.

Nefli anni 1864-’65, Marx riscrisse i primi tre libri de Il Capitale, mentre la parte di Storia della teoria (il quarto libro) mantenne la sua forma originaria degli anni 1862-’63. Scrive Marx a tale proposito nella sua lettera a S. Schott del 3 nov. 1867: “Di fatto ho iniziato in privato Il Capitale esattamente nell’ordine inverso (cominciando con la terza parte storica) rispetto a quello in cui esso viene presentato al lettore, con la sola limitazione che il primo libro, che fu iniziato per ultimo, fu preparato subito per la stampa, mentre gli altri due rimasero nella forma grezza [ma tutt’altro che frammentaria come pretendono i falsificatori odierni] che ogni indagine possiede all’origine”.

Un anno prima della pubblicazione del Primo Libro de Il Capitale, nella lettera a Kugelmann del 13 ott. 1866, Marx delinea per la prima volta e chiaramente la struttura definitiva de Il Capitale: “Tutta l’opera si divide nelle seguenti parti: Libro I, processo di produzione del capitale; Libro II, processo di circolazione del capitale; Libro III, configurazione del processo complessivo; Libro IV, per la storia della teoria”.

Come tutte le cose di questo mondo, anche l’economia politica marxista ha avuto un processo storico di formazione. Questo processo, che ha negli anni 1850-1863 il periodo culminante, trova nei Grundrisse il suo primo momento di sintesi: in essi, infatti, la nuova teoria è già delineata nei suoi tratti fondamentali. Gli anni successivi (fino al 1867, pubblicazione de Il Capitale) sono anni di messa a fuoco, approfondimento e inquadratura storica di aspetti particolari di essa. Vi è, quindi, una stretta continuità logica e sostanziale tra i Grundrisse e Il Capitale; proprio per questo i Grundrisse vengono anche chiamati Primo Abbozzo de Il Capitale.


(*) Dal lato della teoria, per coloro che si richiamano al neokeynesismo – comunque denominato – il sistema capitalistico, lasciato alla sua spontaneità, non tende all’equilibrio ma allo squilibrio dei vari fattori a causa della crescente divaricazione tra domanda e offerta. All’origine di tale divaricazione – secondo costoro – sta la legge psicologica della “diminuzione della propensione al consumo” (di questa “legge” ne esistono ormai diverse varianti). Per ricondurre il sistema all’equilibrio di piena occupazione, è necessario produrre una domanda aggiuntiva (“aggregata”) tramite l’intervento della spesa pubblica che si esplica essenzialmente mediante la definizione del saggio d’interesse (ormai ridotto allo zero), dunque l’emissione di credito, la politica fiscale, forme di controllo sulla massa complessiva degli investimenti per determinarne il volume complessivo, ecc.. Questo genere d’interventi subisce ovviamente le determinazioni della situazione di ogni singola epoca. Oggi, per esempio, questo tipo d’interventi deve tener conto dell’enorme debito pubblico e del fallimento delle banche, in altri termini dell’ulteriore aggravarsi della crisi storica del capitalismo.


Questo genere di teorie prendono atto di una contraddizione reale, ma sono impossibilitate, data la posizione di classe di coloro che le esprimono, di individuarne le cause reali, ed ecco dunque privilegiare l’aspetto “umano”, o “politico”, della crisi, e dunque escogitare “soluzioni” dal lato della spesa pubblica, della distribuzione e del controllo politico di essa.

7 commenti:

  1. Credo di fare cosa gradita. Sullo stesso tema...https://sebastianoisaia.wordpress.com/2014/09/15/brevi-note-critiche-al-capitale-nel-xxi-secolo-di-thomas-piketty/

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  2. Grazie per questo post davvero formidabile. Il successo di Piketty presso i padroni del vapore e i loro sottopancia è proporzionale all'uso mistificatorio che essi ne fanno, e inversamente proporzionale alla validità dell'analisi. Del resto, se fosse valida non avrebbe ottenuto un miliardesimo del battage pubblicitario di cui gode.

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  3. Brava Olympe, ottima analisi concreta della situazione concreta: per Piketty al centro di tutto c'è sempre il sistema capitalista e la finanza: è puro e semplice riformismo non una Rivoluzione.

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  4. Io ho l'impressione che tu sia una persona estremamente religiosa e che in sostituzione del dio cristiano, musulmano,ebraico abbia posto Marx.
    Io sto leggendo il libro di Piketty e pubblico per tutti quello che scrive terminando il capitolo sei ( che tu citi e che mi sembra che ti abbia notevolmente irritato ) : " Marx pare voler fare a meno del tutto della contabilità nazionale che si sviluppa intorno a lui: un fatto increscioso, perchè, se ne avesse tenuto conto, avrebbe potuto in una certa misura confermare le proprie intuizioni sull'enorme accumulo di capitale privato peculiare dell'epoca , e soprattutto avrebbe potuto chiarire meglio il proprio modello interpretativo"
    Queste non mi sembrano parole ne offensive ne di disprezzo nei confronti di Marx ma una semplice critica da parte di chi attualmente ha a disposizione strumenti e dati che all'epoca non era possibile reperire e soprattutto analizzare, attraverso strumentazione estremamente potente come sono i "computer " attuali.Mi pare che questo sia il vero scopo di Piketty quello di mettere a disposizione dati su cui discutere.
    Naturalmente come tutte le persone di questo mondo ( compreso Marx)
    scrive delle cose estremamente discutibili ma penso che prima di "buttare
    nel cesso" tanti bei dati ci penserei un po'.
    Ho l'impressione , leggendo una serie di blog in rete, più che discutere il libro e usarne i dati che contiene , si discuta con i giornalisti che hanno fatto la solita propaganda mediatica senza neanche aver letto una riga del libro,magari traducendo in modo errato blog e commenti della stampa estera .

    buona giornata a tutti








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    1. rispondo solo per quanto riguarda il merito:
      ho accennato nel post che del 6° capitolo mi occuperò in un prossimo post, si tratta di avere un po' di pazienza

      buona giornata a lei

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