mercoledì 17 settembre 2014

Di Martedì, ma anche tutti gli altri giorni


Matteo Renzi vuole acquistare una merce preziosa: il tempo. In cambio è disposto ad offrire l’abolizione dell’art. 18 e altri divorzi dalle residue tutele del lavoro. Tanto chi parla di abolizione dell’art. 18 personalmente non rischia nulla. Cosa c’entrano queste misure con la crisi? Nulla. La separazione tra la politica e la vita è riassunta in questi discorsi burocratici di smembramento programmato delle conquiste operaie. Il trattamento delle persone è deciso dalle istanze monetarie internazionali secondo il punto di vista del calcolo di bilancio. Ma non solo. Tutte le riforme strutturali invocate hanno in realtà un unico scopo: la lotta di classe. Quella che i padroni stanno conducendo senza risparmio da decenni.  Quella razza e i suoi galoppini sostengono che vanno conservati i posti di lavoro, non i diritti dei lavoratori. Una logica stringente, come dire che va garantita la libertà, non il diritto di ciascuno di essere libero.



Per il resto, lo spettacolo mediatico ha il compito di mettere in luce, come monito, le miserie della povertà afflitta, un sapiente miscuglio di cinismo e d’ingenuità, accompagnato dal discredito delle ideologie, tranne quella padronale che ci rivela come l’economia non sia altro che la gestione razionale della rapina, un’ideologia che esibisce la sua menzogna come indiscutibile verità, sicura di non avere davanti a sé alcun avversario, ed è perciò che non teme di mettere in scena il suo fallimento così come un tempo dispiegava i successi del benessere.

E tutto ciò, come sempre, nella finzione che lo schiavo sia libero di decidere delegando il potere a un’élite provvidenziale di disgraziati, nella finzione di un popolo sovrano, inerte e senza pensiero, incoraggiato alla passività dalla persistenza degli imperativi del consumo, schiacciato da una comunicazione dove le parole non hanno più importanza. Capitalismo, padronato, sfruttamento, sciopero, sono termini desueti, politicamente scorretti, tabù. Tanto più che quando si parla di privilegiati si fa riferimento a chi ha ancora un lavoro, un tetto sul quale pagare le tasse, ai lavoratori e ai pensionati i cui salari e pensioni gravano sul rendimento degli investimenti statali e privati.


Crescita è una parola chiave che si adatta a tutte le serrature, nel momento stesso in cui si chiudono fabbriche, cantieri e uffici, e il profitto di un’economia stagnante si rinserra nell’ambito della cibernetica, della speculazione, laddove l’aumento quotidiano di borsa di solo l’un per cento può significare un guadagno di milioni. È in tale quadro che il discorso umanitario, quando incontra la mendicità ad ogni angolo di strada, diventa premio alla miseria perché costa meno di una rivendicazione salariale.

6 commenti:

  1. Sarò ingenuo ma è veramene incredibile che alcuna forza politica si faccia portavoce delle istanze antipadronali - a parte quelle populiste e reazionarie che, notoriamente, usano tali istanze soltanto per far proseguire la guerra tra poveri.
    È proprio vero: la sinistra è morta e non si sa neanche dove sia stata sepolta per farla resuscitare.

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    1. meglio non resuscitare gli zombie. è necessario attendere, spinte in avanti sarebbero solo avventurismo.

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  2. L'art.18 per i giovani è già abolito.

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  3. Quando un sistema e un impero entrano nella fase di pura cannibalizzazione dei popoli sottoposti è il segnale per grossi temporali nel corso della storia.

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    1. di questi tempi d'arsura andrebbe bene anche solo una pioggerellina

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    2. E' sempre la stessa Storia. Cambiano le circostanze. Nihil sub sole novum.

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