giovedì 31 luglio 2025

Uno sguardo al divorzio nell’ebraismo

 

Questo post fa seguito a questaltro.

In teoria, la sinagoga consente il divorzio (noto come “gerushin”) a tutti, per un numero illimitato di volte. A differenza del passato, dove il divorzio era principalmente una decisione del marito, oggi si richiede il consenso di entrambi i coniugi per la validità del divorzio.

La formula è semplice: l’uomo deve consegnare quello che viene chiamato il “ghet” (documento di ripudio) alla donna, che così riacquista la sua libertà. Certo, la procedura è umiliante per la donna, poiché la formula stabilisce che l’ex marito “la restituisca ad altri uomini”; ma almeno il divorzio esiste.

Il ghet è riconosciuto nel diritto ebraico come lo strumento legale per il divorzio. La procedura del ghet è fondamentale per garantire che il divorzio sia valido secondo la legge ebraica e che la donna non sia lasciata in una condizione di “aguna” (una donna legalmente sposata ma non divorziata).

Non è facile per un ebreo che vive al di fuori di Israele rifiutarsi di concedere il “ghet” alla moglie, ma l’uguaglianza tra i sessi è particolarmente compromessa dal fatto che l’ebraismo conserva memorie poligame, anche se questa pratica è stata abolita nell’XI secolo. D’altra parte, non c’è traccia di poliandria. Pertanto, è molto più grave per una donna risposarsi senza aver divorziato (religiosamente), che per un uomo.

Se una donna non divorziata ha figli con un altro uomo, saranno degli abominevoli mamzerim, dei “bastardi” che non avranno altra scelta di vivere ai margini della comunità. E se pensate che queste considerazioni siano obsolete da secoli, o che si applichino solo agli ebrei ultraortodossi, vi sbagliate di grosso.

Facciamo un esempio concreto, quello di una donna che non può ottenere il divorzio religioso perché il marito intende rimanere sposato. Un piccolo ma importante dettaglio: la donna si è convertita all’ebraismo.

A prima vista, la storia di questa donna è estremamente ordinaria: si sposa, ma il matrimonio va rapidamente in frantumi e presto decidono di divorziare. Per la legge civile, la questione è una formalità. Nel giro di poco tempo, i coniugi non sono più sposati. Ma per i rabbini, le cose sono ben diverse. La donna deve completare la procedura religiosa e ottenere il “ghet”, altrimenti, se non segue correttamente la procedura, i suoi (possibili futuri) figli saranno mamzerim e lei non potrà risposarsi in sinagoga.

Cosa c’è che non va? Qui è dove dovremo smettere di essere moderni e tornare all’epoca in cui l’unica legge era quella della Torah, in altre parole un’avventura teologico-medievale. Questo perché il marito da cui la donna vorrebbe divorziare, ha dovuto presentare il certificato di matrimonio rabbinico dei suoi genitori, in ebraico la “Ketouba”. Ora, su questa “Ketouba” si dice che è “figlio di un Cohen” (il nome viene scritto anche con la kappa). Per chiunque sarebbe un dettaglio, ma per gli ebrei significa molto.

Essere un “Cohen”, non significa solo avere lo stesso cognome di un Daniele o di un Elia, ma significa anche, e soprattutto, nell’ebraismo, essere discendente di sacerdoti e quindi avere diritti e doveri. Non sei più un ebreo come tutti gli altri, in particolare un Cohen non ha il diritto di sposare una donna divorziata o convertita.

Ma la donna, nel caso specifico che sto raccontando, è una convertita! Ecco perché, per sposarsi, i due piccioncini hanno dovuto chiedere ai rabbini di indagare per assicurarsi che il Cohen non fosse tale e che avesse il diritto di sposare una donna convertita. Solo che per coronare la loro storia d’amore, il marito aveva presentato un certificato di matrimonio dei propri genitori falso, ossia da dove risultava che lui non era “figlio di un Cohen”.

Quando la moglie, convertita all’ebraismo, chiede il divorzio, il marito rivela che il certificato di matrimonio era falso e che lui pretende di essere riconosciuto come il “figlio di un Cohen”. La questione diventa kafkiana davanti a un tribunale rabbinico. Come si può dimostrare che un uomo sposato, senza essere un Cohen, si ritrova tale al momento del divorzio?

E non vuole concedergli il divorzio. Va detto che in Israele non esiste il matrimonio civile e se l’uomo rifiuta alla moglie il “ghet”, finisce al gabbio. Non così altrove. Ed infatti questa è una storia vera accaduta in Europa.

Quindi la storia cambia, diventa uno scontro tra tradizione ebraica e legge civile. La legge civile può anche volere che le donne siano libere e uguali agli uomini, ma la religione le tiene sotto tutela e accetta che un marito possa ricattare la moglie per impedirle di riconquistare la sua libertà. Mettiamo un giudice dietro ogni rabbino?

mercoledì 30 luglio 2025

L'antisemitismo è un deficit mentale e culturale

 

L’Europa è ridotta a minacciare sanzioni, embarghi e boicottaggi che riguardano la Russia e, in questi giorni, Francia e Gran Bretagna si offrono di riconoscere, fuori tempo massimo, uno Stato palestinese, ossia quando il territorio in cui esso potrebbe sussistere non esiste più e il processo sionista di costruire la grande Israele è ormai alle sue battute finali.

Meloni, come solito, si smarca, dice addirittura che tale riconoscimento di uno Stato palestinese è prematuro. Quelli come Meloni hanno la coda di paglia, memori delle leggi razziali del 1938. L’Europa è un gigante economico e un verme politico. Lo si è visto anche in altri piacevoli frangenti e da ultimo per quanto riguarda i dazi doganali.

Un mondo, quello di oggi e non meno di quello di ieri, in cui tutti sono convinti di difendere la sicurezza e il benessere del proprio popolo. L’Europa, in specie, con i suoi bei discorsi, sembra una vecchia zitella spaventata da una banda di teppisti che si uccidono a vicenda sotto le sue finestre.

Non c’è una reale differenza tra ciò che accadeva ieri e quello che accade oggi: l’etica è sempre stata un’ammissione di debolezza. L’unica differenza nelle contese internazionali sta nel fatto, ma si tratta di un dettaglio, che oggi gli Stati sono in possesso di armi di distruzione di massa incomparabilmente più letali rispetto al passato.

Quanto alla propaganda, basti pensare allo spazio che i media stanno dedicato a una baruffa avvenuta in un autogrill tra provocatori ebrei con passaporto francese e alcuni imbecilli con passaporto italiano. L’antisemitismo designa innanzitutto un’anomalia mentale, ma corrisponde all’altra faccia della medaglia: quella del sionismo razzista.

Perché il sionismo, benché nato in risposta al crescente antisemitismo e al nazionalismo europeo, in ogni sua declinazione è per definizione razzista, suprematista e colonialista. Non va trascurato che i primi sionisti sincretizzarono molti aspetti del fascismo europeo, della supremazia bianca, del colonialismo e dell’evangelizzazione messianica ed ebbero una lunga e sordida storia di cooperazione con antisemiti, imperialisti e fascisti per promuovere programmi esclusivisti ed espansionistici in Palestina.

Fatto rilevante, sia gli antisemiti che i sionisti considerano gli ebrei una razza biologica, che deve essere segregata come parte di un’utopia di apartheid globale. Il sionismo sfrutta opportunisticamente aspetti dell’ebraismo nel tentativo di giustificare le sue pratiche criminali di apartheid e genocidio dei palestinesi indigeni. La supremazia bianca è dominante nella società israeliana, che privilegia gli ebrei ashkenaziti di pelle bianca a scapito degli ebrei africani di pelle scura, degli ebrei sefarditi e mizrahi, nonché dei rifugiati africani.

Il regime israeliano sfrutta una dinamica di violenza e disuguaglianza, rafforzata dalla paura e dai vantaggi dell’acquisizione di risorse, per promuovere una classe dirigente privilegiata a spese del popolo palestinese colonizzato. Gli strateghi sionisti manipolano i traumi passati che gli ebrei hanno sopportato per galvanizzare il sostegno a politiche aggressive che privano i palestinesi dei loro diritti.

Per alimentare questa dinamica abusiva e suprematista bianca, i propagandisti sionisti hanno promosso la fallacia antisemita secondo cui Israele sarebbe uno stato ebraico, che rappresenterebbe l’ebraismo e quindi tutti gli ebrei. Questa mistificazione fondamentale è alla base della propaganda sionista (nota anche come Hasbara), che galvanizza il sostegno al colonialismo israeliano e attacca la resistenza anticoloniale.

Il risultato logico di questa fallacia determina che la critica al sionismo/Israele sia necessariamente antisemita (molti ne vengono convinti). I successivi governi israeliani hanno utilizzato questa figura retorica come argomento di discussione per sabotare la critica alle loro politiche criminali. La loro cinica manipolazione del senso di colpa che circonda la storia reale di intolleranza e oppressione antiebraica ha rafforzato questa tattica.

Il razzismo, suprematismo e colonialismo sionista mai può essere fatto passare per un’ideologia pacifista. Quando s’intende ridurre (leggi: eliminare) la presenza dei palestinesi dal loro territorio e di espandere il più possibile la propria, tale processo non può essere considerato “pacifico”. A tratti può assumere forme legali, ma infine si è trattato storicamente di un processo di esproprio violento a danno di un popolo che ha tutto il diritto di vivere laddove ha vissuto per molti secoli.

Solo questione di tempo

 

Il 18 luglio Donald Trump ha firmato la prima legge che regolamenta le criptovalute negli Stati Uniti, il cosiddetto Genius act (Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins), che nei giorni precedenti era stato approvato in via definitiva dal Congresso.

La misura prevede che gli emittenti di stablecoin – un tipo di criptovaluta il cui valore è ancorato a dollari, titoli di Stato statunitensi o a una materia prima – forniscano come garanzia asset a basso rischio con un rapporto uno a uno. Ciò dovrebbe rassicurare le grandi aziende, le banche, gli istituti finanziari e i piccoli investitori sulla loro sicurezza, garantendo così un maggiore afflusso di denaro.

La nuova legislazione apre la strada all’emissione di stablecoin da parte di banche e grandi aziende. Non avendo alcun valore intrinseco, il prezzo di stablecoin può solo aumentare, e i profitti realizzati, a condizione che nuovi investitori e il loro denaro vengano attratti sul mercato: lo stesso meccanismo di qualsiasi altro schema Ponzi.

Ci vuol poco a comprendere che qui si annidano i semi di una grave crisi finanziaria. Un sistema del genere può avere anche la durata di anni, tutto è legato alla “fiducia”. Ma viene inevitabilmente il giorno del giudizio, poiché tale sistema bancario e societario libero, per cui quasi chiunque può emettere moneta, distrugge l’unicità del denaro, il che significa che un dollaro è un dollaro indipendentemente da come viene ottenuto.

Infatti, per garantire che ogni stablecoin sia interamente garantita dollaro per dollaro, le autorità di regolamentazione dovrebbero garantire che il bilancio dell’emittente sia coperto al 100%. La qual cosa semplicemente non esiste. Già le autorità di regolamentazione hanno tante difficoltà a tenere d’occhio le banche assicurate, come ci si può aspettare che esercitino una supervisione perfetta su centinaia, se non migliaia, di stablecoin emesse non solo dalle banche, ma anche da aziende tecnologiche e startup di criptovalute?

Tra l’altro, la regolamentazione dovrebbe passare dalle mani della Securities and Exchange Commission alla Commodity Futures Trading Commission, considerata più “crypto friendly”. Quella che si sta innescando è una bomba finanziaria che a confronto i subprime erano petardi di carnevale. Anche in tal caso sarà solo questione di tempo.

martedì 29 luglio 2025

La doccia scozzese

 

«Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra.»

I rituali includevano non solo strette di mano e sorrisi forzati, ma anche elogi per il genio imprenditoriale di Trump e lo splendore del suo campo da golf, il tutto pronunciato con l’entusiasmo di ostaggi che leggono una richiesta di riscatto.

Il tutto in quaranta minuti. Dunque il diktat trumpiano non può che rappresentare una tappa intermedia nell’escalation di una guerra commerciale.

Non è casuale che, un giorno dopo il diktat commerciale fatto ingoiare all’Europa da Trump, lo stesso presidente abbia ridotto a pochi giorni il tempo concesso a Putin per una soluzione negoziata. L’appoggio statunitense alla guerra europea contro la Russia stava nel piatto della cosiddetta trattativa scozzese.

La continuazione della guerra per procura della NATO in Ucraina e il timore che Trump potesse raggiungere un accordo con Putin per concentrarsi maggiormente sul conflitto con la Cina perseguita le potenze europee da mesi. Sempre non a caso, Trump ha già costretto gli europei a pagare l’ultima tranche di armi statunitensi fornite all’Ucraina.

Ecco spiegato perché, a differenza di Pechino, un’Europa che continua ad aver bisogno della NATO non può permettersi un duro conflitto commerciale con Washington. La chiave di tutto non è la debolezza militare dell’Europa, come si tende a far credere, ma la sua divisione interna anche in materia militare (in oltre tre anni di guerra avrebbe potuto provvedere in merito con larghezza). La doccia scozzese è la dimostrazione palese che l’Europa non esiste politicamente e militarmente, ed è divisa su tutto il resto.

Tutto ciò avviene mentre l’imperialismo statunitense è impegnato in una competizione globale per spartirsi il mondo e le sue risorse. Il programma di questa contesa è scritto, per il momento, nel sangue degli ucraini e dei palestinesi.

I costi della guerra e della guerra commerciale ricadranno inevitabilmente sulle solite spalle. Francia, Italia e non meno la Germania sono sull’orlo di un collasso economico, ma si fa finta di nulla. Gli esiti di tutto questo si vedranno tra mesi e anni, e saranno drammatici.

lunedì 28 luglio 2025

Da Trump al Berghof

 

Finalmente qualcosa si sblocca sul fronte stipendi, mi stavo preoccupando. Il mio droghiere (nel senso classico del termine) sono tre anni che mi ripete che è l’inflazione (non i profitti) a spingere i prezzi all’insù.

Un’altra buona notizia, forse la migliore, riguarda l’accordo (?) sulle tariffe doganali. Trump ci fa uno sconto della metà: saranno grossomodo del 15%, ma i dettagli non sono ancora noti (sappiamo invece tutto sulle cravatte di Maroš Šefčovič).

L’incontro per il cosiddetto “accordo” ha avuto luogo presso il resort golf di Trump a Turnberry in Scozia. Hitler invitava i suoi alleati al Berghof.

Nessuna delle due parti ha diffuso il testo dell’accordo, come è accaduto con il Regno Unito a maggio, quindi con Giappone, Filippine, Indonesia e Vietnam, e prima ancora con l’accordo raggiunto a Monaco.

Le imposte settoriali del 50 per cento su tutte le importazioni di alluminio e acciaio europeo rimangono in vigore. L’unica “concessione” da parte degli Stati Uniti sembra essere quella di applicare una tariffa del 15% sulle esportazioni di auto europee, anziché del 25% precedentemente annunciato. Merz ha dato il via libera (ich glaube es!).

Ursula Albrecht commenta: “Whatever decisions later – by the president of the US – that’s on a different sheet of paper”. Esattamente come a Monaco nel 1938. Non a caso Meloni (non lei, ma il suo ufficio propaganda) ha detto che le tariffe “sono sostenibili”.

Il surplus commerciale dell’UE nei confronti degli Stati Uniti è stato di circa 200 miliardi di euro lo scorso anno. Per “riequilibrare”, l’UE ha accettato di spendere in tre anni 750 miliardi di dollari in prodotti energetici statunitensi, di investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e di acquistare una “grande quantità” di equipaggiamento militare statunitense per un valore di “centinaia di miliardi di dollari”.

Sapete chi pagherà tutto ciò? Una purghetta sui profitti? Sbagliato. Chi paga fino all’ultimo centesimo di imposte? Esatto. Ma come avete fatto ad indovinare? Era così difficile ...

Si poteva fare diversamente? Ma se la UE al massimo si mette d’accordo sui tappi delle bottigliette di plastica, che cosa c’era d’aspettarsi? La Cecoslovacchia non esiste più, e non da oggi.

Intanto le borse salgono, salgono, salgono ... Godiamoci l’estate (con piscina). Potrebbe essere l’ultima prima del grande botto.

La macchina incantata

 

Ogni scoperta di fatti nuovi conduce inevitabilmente alla formulazione di una più o meno nuova teoria da adattare a tali fatti. Ciò accade anche per quanto riguarda le nuove tecnologie.

Ciò si riflette inevitabilmente nell’incongruenza tra queste formulazioni teoretiche, con i loro ipertoni idealistici e metafisici, e le basi empiriche sulle quali sono erette. Ho già citato in precedenti post, per esempio, le teorie di Federico Faggin.

Fintantoché noi non comprenderemo il reale rapporto esistente tra uomo e macchina, per esempio la differenza qualitativa tra intelligenza umana e capacità elaborativa e computazionale delle macchine, non potremmo porre esattamente nessuna delle domande più specifiche che sorgono in questo campo, né tantomeno rispondere ad esse.

Sembrerà strano, ma finora i rapporti interfunzionali tra noi e le nuove macchine non sono stati indagati in modo adeguato (oppure appartengono alla sfera dei segreti industriali o di Stato), arrivando perfino ad attribuire la possibilità, da parte delle macchine, di avere una loro propria struttura della coscienza.

Sia chiaro che non intendo sottovalutare l’importanza straordinaria delle macchine quale fattore decisivo di ogni attività umana: non è questo il punto qui in discussione. Né qui m’interessa porre in luce che gran parte dei frutti (anche negli elementi immateriali) dello straordinario sviluppo tecnologico degli ultimi decenni va ad appannaggio di smodate gratificazioni private.

Mi illudo sia implicito nella coscienza di ognuno di noi che la tendenza all’accumulazione fine a sé stessa, favorita potentemente dalle nuove tecnologie e dalla forzata espansione di consumi superflui quando non demenziali, è indice di un modo di produzione dove sono assenti o scarseggiano criteri sociali, peraltro in presenza di una crisi di governance politica che sta assumendo aspetti inediti.

Ciò che invece intendo sottolineare a riguardo dell’avvento delle cosiddette macchine “intelligenti”, è il fatto che senza un effettivo controllo sociale, si tende ad una pericolosa tensione nella struttura della società e nelle relazioni umane. Del resto, la natura del tecnicismo (non solo perché legato agli interessi del capitale) è tale che non può fornirci risposte adeguate in tal senso.

Ciò premesso, e alla luce del mito che circonda le macchine dotate della cosiddetta intelligenza artificiale, reputo che tali macchine mai potranno sviluppare una coscienza già solo a livello di quella di un cane. Al massimo, potranno essere dotate di singole funzioni simil-psichiche, ma mai sviluppare una coscienza unitaria quale quella umana.

Pongo la questione su un piano a mio avviso decisivo: per l’essere umano il lavoro è il soddisfacimento di un bisogno; l’attività umana ha degli scopi ultimi e unici. Viceversa, il lavoro di una macchina non è mai lavoro volontario, e il suo prodotto le sarà sempre estraneo, qualunque possa essere il suo grado di interazione con la propria attività.

La macchina, per quanto sofisticata e “intelligente”, è immediatamente una cosa sola con la sua attività. Non si distingue da essa. L’uomo fa della sua attività l’oggetto (e il luogo di realizzazione) stesso della sua volontà e della sua coscienza. La sua propria vita è un suo oggetto, proprio soltanto perché egli è un essere appartenente a una specie (la coscienza di appartenere alla sua specie!). Soltanto per questo motivo la sua attività è un’attività libera.

Una macchina è in grado di scrivere un libro come Storia e coscienza di classe, anzi di aggiornarne i contenuti e di migliorarlo. Tuttavia essa non sarà mai in grado di sviluppare una propria coscienza, tantomeno una coscienza di classe. Le macchine sono anch’esse delle schiave, con la differenza che lo schiavo, antico o moderno, come essere umano vive la propria condizione nella realtà di determinati rapporti storico-sociali.

Dati gli attuali rapporti di produzione, anche il lavoro salariato vive una condizione di estraneazione in rapporto al proprio prodotto. Ma se in tal caso il prodotto del lavoro dell’operaio è la sua alienazione, per una macchina la questione nemmeno si pone. Questo rappresenta un altro dei motivi per i quali il padronato accarezza l’idea di sostituire completamente la forza-lavoro con macchine (e con esse dominare il processo storico).

Infatti, come scriveva Marx, “Il lavoro estraniato rovescia il rapporto in quanto l’uomo, proprio perché è un essere cosciente, fa della sua attività vitale, della sua essenza soltanto un mezzo per la sua esistenza”. E ancora: “Una conseguenza immediata dell’uomo reso estraneo al prodotto del suo lavoro, è l’estraneazione dell’uomo dall’uomo”. Esattamente come avviene per una macchina, estranea al prodotto del proprio lavoro e al godimento di esso.

Le macchine, in forza del loro autonomo funzionamento, fanno pensare ad una loro realtà indipendente dagli uomini. Inoltre, proiettando delle facoltà umane sulle concrete forme di attività delle macchine, si è creata l’illusione che esse siano di livello superiore all’uomo, fino a farci credere che esse siano il simbolo finale del progresso e della civiltà.

Sembra quasi che le macchine, cui abbiamo attribuito un super-ego, si differenzino da noi umani solo in ciò che è accidentale. E siamo arrivati al punto che esse servono soprattutto per produrre più vasti schemi di sottomissione, di rapina e di ricatto. Siamo come i personaggi di Thomas Mann ne La montagna incantata: infermi e parte di un mondo decadente e malato.

domenica 27 luglio 2025

Come cimiteri ebraici

 

L’inserto culturale domenicale del quotidiano di Confindustria è divenuto negli anni di una piattezza e stanchezza sconfortante. Esangue. Ciò in gran parte è dovuto al fatto che soprattutto i grandi editori italiani pubblicano roba di breve gloria e tanta disperazione. In generale, una brillante reputazione va dritta a coloro che soddisfano il maggior numero di persone, prescindendo dalla qualità.

L’inserto dovrebbe aprirsi di più alle recensioni dei libri pubblicati all’estero, ma lo fa con la parsimonia di un ebreo (*). E ciò avviene, da un lato, per non pestare i calli agli editori e ai “grandi” autori nostrani, dall’altro per l’inconsistenza del proprio auditorio. Lo zoccolo duro dei lettori di un tempo è quasi senza posterità. Come tutto il resto.

Dovrebbero pescare anche tra i grandi e piccoli libri non più in commercio, in ciò aiutando le librerie dell’usato, che stanno diventando come cimiteri ebraici nei paesi antisemiti, come qualsiasi traccia di civiltà a Gaza: prima o poi scompariranno. Molti tra i libri dimenticati sono davvero rari. Un’opera venduta si trasforma sempre in merce, e quando diventa rara il prezzo sale. Ripubblicare potrebbe diventare un affare.

Perciò, per leggere qualcosa d’interessante, non resta che scriverselo. Che cosa scriverò quando la macchina potrà farlo per me? E scriverà meglio di quanto potrei fare io. E, mi dicono, siamo solo nella preistoria di queste macchine. La domanda non è uno scherzo: niente è più convenzionale delle battute sull’intelligenza artificiale, tranne forse l’ansia o l’entusiasmo che provocano. Sono due facce della stessa medaglia. Domani scriverò un post su questo. Forse.

(*) Frase che denota il mio antisemitismo, of course.

sabato 26 luglio 2025

Striscia di Gaza: cibo e acqua ottimi e abbondanti

«La pubblicazione sostiene che l’immagine sia stata in realtà scattata in Yemen nel 2016 dal fotografo Abduljabbar Zeyad per Reuters, e che fosse già stata pubblicata molti anni prima dal Guardian o da ABC News. Queste accuse sono false: la foto di copertina proviene in realtà da un reportage realizzato a Gaza il 23 luglio 2025.

«“Libé, la vergogna” è la formulazione di un’immagine, ampiamente condivisa sui social network, volta a far credere che la foto di un bambino molto piccolo e rachitico, pubblicata in prima pagina dal giornale, sia stata estrapolata dal suo contesto per trarre in inganno i lettori sulla realtà della fame nellenclave palestinese, isolata dal mondo da Israele.

«Queste accuse sono state segnalate a Libération la mattina di giovedì 24 luglio. Il fotoreporter francese Pierre Terdjman ha condiviso nel suo articolo uno screenshot dell'immagine che presumibilmente denuncia la manipolazione, datata 9:45. Ha poi denunciato l'inganno: “Per maggiore chiarezza, ho visto questo post circolare da stamattina, questa foto è molto reale”. Ma il montaggio continua a circolare: twittato da un utente alle 11:56, condiviso da un altro su Facebook alle 13:47 , ma soprattutto da Bruno Benjamin, ex presidente del Crif Marseille Provence, alle 19:04. “Libération o il fallimento morale di un giornale che è diventato una macchina di disinformazione. [...] Menzogne per immagine. Manipolazione per fusione. Propaganda per diversione”, accusa. Il suo messaggio è stato condiviso 2.000 volte e ha ricevuto più di 3.000 “Mi piace”.»

Per chi volesse leggere l’intero articolo di Libération: qui.

*

Nella parte settentrionale della striscia di Gaza, isolata dal resto del territorio dalle truppe israeliane, centinaia di migliaia di residenti sono costretti a fare code per ore presso mense dei poveri scarsamente fornite e a scavare buche nel terreno alla ricerca di acqua, per quanto malsana possa essere.

Il combustibile – per i generatori degli ospedali, le auto e le cucine – scarseggia. Le famiglie cucinano con la legna o persino con i rifiuti.

Gli scaffali dei supermercati e delle pasticcerie sono vuoti da tempo. Anche i panifici sono senza combustibile.

A Gaza non c’è elettricità e l’acqua pulita scarseggia, quindi la gente scava per procurarsela. La trasportano in contenitori di plastica, un compito sempre più difficile per le persone indebolite dalla malnutrizione.

Gli abitanti della Striscia di Gaza settentrionale sono fuggiti dagli scontri per rifugiarsi in una scuola di Gaza City. Allineano i loro secchi per segnare il loro posto in coda quando la conduttura idrica della scuola è in funzione o passa un’autocisterna. Chi arriva troppo tardi non riceve nulla.

Gli orti di Gaza erano fiorenti già prima della guerra. Tuttavia, nulla viene importato e gran parte dei terreni agricoli è distrutta o inaccessibile: frutta e verdura sono quasi impossibili da trovare.

Le piccole quantità disponibili per la vendita sono decisamente troppo costose per la maggior parte delle famiglie. Chi se lo può permettere le compra singolarmente, non al chilo, come prima. Poiché la farina scarseggia, la gente macina gli spaghetti per trasformarli in una farina per fare il pane. Lo stesso avviene con le lenticchie, per preparare focacce o pane.

Quando i panifici chiusero e i gruppi umanitari rimasero senza cibo, le mense popolari locali divennero uno dei pochi posti in cui molti palestinesi di Gaza potevano mangiare.

Circa il 90 percento dei 2 milioni di abitanti di Gaza è stato sfollato, la maggior parte più volte, dall’inizio della rappresaglia israeliana.

Questo testo è la sintesi di un articolo (ancora più dettagliato) pubblicato sul New York Times.

venerdì 25 luglio 2025

La vecchia immondizia

 

Dopo quasi due ore, ho spento il televisore. Stavo guardando il docufilm “Maria”. Ottima recitazione, ottima scenografia, buono quasi tutto, ma non ho più sopportato di vedere una inarrivabile soprano nella fase della sua decadenza artistica e psichica recitare la parte di una Oriana Fallaci qualsiasi. Della serie: lei non sa chi sono io.

Mi rendo conto che i problemi internazionali e quelle interni di questo Paese opulento a macchia di leopardo sono ben altri. Tuttavia, informo il mondo che sto continuando lo spoglio della produzione letteraria di Federico Faggin. È una lettura per me molto difficile, che prosegue arrancando, chiedendomi più volte ad ogni pagina come sia possibile che nel XXI secolo vi siano ancora personaggi coinvolti nella diatriba sul rapporto tra il pensiero (la coscienza) e l’essere, tra spirito e natura, insomma coinvolti nella disputa tra le diverse scuole dell’idealismo e del materialismo, seppure il tutto ammantato di riferimenti alla “quantistica”.

Lo so che quello che sto per dire sembrerà un atto di presunzione estrema, smodata, visto il successo dei libri, specie l’ultimo, di Faggin. Però mi chiedo come un uomo di così grande talento nel suo campo teorico e applicativo, possa avventurarsi su temi di cui, a leggere i suoi libri, sa davvero poco. Faggin, per esempio, sembra ignorare siano esistiti Hegel, Marx, Engels e anche altri, che solo degli sciocchi possono considerare come dei rottami.

La coscienza, scrive Faggin, non è riducibile né a processi meccanici di qualche tipo né a processi biochimici o elettrici, secondo un volgarissimo materialismo particolarmente attivo nelle neuroscienze. Tutto giusto: i processi reali nello spazio e nel tempo sono le fonti della nostra conoscenza, e dunque della nostra coscienza.

Ma Faggin va oltre tale presupposto, e scrive: “l’evoluzione dell’universo parte da enti coscienti dotati di libero arbitrio che emergono da Uno. Uno è un Tutto, sia in potenza che in atto, irriducibilmente dinamico e olistico, che vuole conoscere se stesso per autorealizzarsi. Uno è fatto di parti-intero, inseparabili e in continua evoluzione che da Lui emergono e che comunicano tra di loro per conoscere se stesse”.

La vecchia immondizia metafisica è rientrata dalla finestra e ci sommerge.

Genocidio palestinese: “irrilevante per la maggioranza degli israeliani”

 

In una lettera consegnata ieri dal console francese a Gerusalemme, Nicolas Kassianides, a Mahmoud Abbas, presidente della Palestina e dell’Autorità Nazionale Palestinese, il presidente della repubblica francese, Emmanuel Macron, ha promesso che a settembre, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, “la Francia procederà al pieno riconoscimento della Palestina come Stato”.

Benjamin Netanyahu, il criminale di Stato, dice che quella della Francia è una decisione che “premia il terrore”, espressione che subito il quotidiano filosionista Repubblica traduce con “terrorismo”.

La signora in sovrappeso con la bandiera palestinese:foto migliore non si poteva scegliere.

“Questa decisione sconsiderata serve solo alla propaganda di Hamas e fa arretrare il processo di pace. È uno schiaffo in faccia alle vittime del 7 ottobre”, ha dichiarato quella faccia da canaglia del Segretario di Stato americano Marco Rubio.

L’ineffabile Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia sostiene che l’annuncio di questo riconoscimento “galvanizzerà [...] tutti gli agitatori antisemiti che distorcono la causa palestinese per giustificare l’attacco agli ebrei francesi.

Quanto all’ottantanovenne Mahmoud Abbas, questi aveva inviato il 10 giugno a Emmanuel Macron e al principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed Ben Salman, una lettera nella quale il leader palestinese denunciava gli attacchi del 7 ottobre 2023 e sosteneva la smilitarizzazione di Hamas, promettendo anche di rinnovare la governance dell’Autorità Nazionale Palestinese.

È questa una decisione tardiva, di decenni, sul diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’istituzione di uno Stato indipendente sui confini del 1967. È comunque un gesto simbolico e politico che verrà fatto pagare caro a Macron da parte del sionismo, che, com’è noto, è ben presente nella finanza, nei media e ovunque vi sia da esercitare un potere.

Resta appunto il fatto che il progetto sionista, ormai a buon punto di realizzazione, è quello della grande Israele, progetto che non include solo la Palestina, procedendo alla cacciata e allo sterminio della popolazione palestinese.

Per la redazione del quotidiano israeliano Haaretz, non solo la fame a Gaza è reale, ma sarebbe una scelta deliberata del governo di Israele. Il giornale accusa esecutivo ed esercito di aver causato intenzionalmente una carestia: «Ogni camion che entra deve sfamare 30.000 persone. Non servono competenze logistiche per capire che questo è affamare un popolo».

Haaretz parla apertamente di «crimine di guerra» e di «violazione delle direttive della Corte Internazionale di Giustizia». Secondo il quotidiano, «Ogni giorno di ritardo significa più bambini che muoiono di fame».

Secondo il network israeliano Arutz Sheva, tutto il caso è «una campagna demagogica» orchestrata dai media e dal mondo progressista per delegittimare Israele. La narrativa della fame è non solo esagerata, ma anche irrilevante per la maggioranza degli israeliani: «La gente qui ha altre priorità: la sicurezza, l’economia, ricostruire le città distrutte. Il pianto sulla fame a Gaza non tocca nessuno».

giovedì 24 luglio 2025

Siamo tutti europei

 

Mentre il benemerito esercito israeliano, nella sostanziale ingratitudine della maggioranza degli europei, continua a ridurre, giorno dopo giorno, il numero dei palestinesi che soffrono la fame, vi racconto un’altra storia dei nostri tempi.

Nei nostri treni nazionali e locali, gli annunci sono prima in italiano e poi in inglese. Siamo un Paese a forte vocazione turistica e inoltre con molti immigrati. Quindi è opportuno il bilinguismo negli annunci. Stessa cosa per quanto riguarda i controllori, non di rado, specie sui treni locali, costretti ad arrampicarsi sulle liane dell’idioma britannico per far comprendere al viaggiatore extracomunitario, sprovvisto di “valido titolo di viaggio”, che deve pagare il dovuto oppure scendere dal treno. In Alto Adige, gli annunci avvengono prima in tedesco e poi in italiano. Ci sta.

In Belgio, invece, siamo alla barzelletta, ovvero a una febbre identitaria spinta all’assurdo. Un controllore delle ferrovie belghe è stato oggetto di una denuncia da parte di un passeggero. Dopo aver inizialmente salutato i passeggeri di un treno in lingua olandese, è stato accusato di aver aggiunto un “bonjour” in francese. E questo mentre il treno attraversava il comune di Vilvoorde. Un sacrilegio. Perché Vilvoorde si trova in territorio fiammingo (le Fiandre sono una regione settentrionale del Belgio, dove si parla una variante dell’olandese, chiamato fiammingo). In conformità con le norme in vigore in quel territorio, un controllore deve parlare esclusivamente olandese.

Si tratta di una linea ferroviaria che collega Liegi a Bruxelles e, paradossalmente, trasporta principalmente passeggeri francofoni, ma attraversa gran parte delle Fiandre. In linea di principio, i controllori dovrebbero sapere, in ogni momento, se la carrozza in cui si trovano sta attraversando le Fiandre o la Vallonia e dunque adattare di conseguenza le comunicazioni verbali coi passeggeri nella lingua prevista dalla normativa. Neanche fossimo in un romanzo di Cormac McCarthy.

Sebbene il controllore della SNCB non sia stato sanzionato a seguito dell’esposto, l’azienda ha comunque dichiarato pubblicamente che aveva violato le sacrosante regole linguistiche del Paese. Più assurdo ancora: quando un treno passa per Bruxelles, gli annunci devono ovviamente essere fatti in entrambe le lingue, ma l’ordine degli annunci, prima in olandese o in francese, cambia se il treno arriva da nord o da sud, spiegava la stessa azienda. Tutto vero.

Questa folle legislazione si estende a molti settori. Capita molto spesso che resoconti o procedimenti giudiziari vengano invalidati perché non redatti nella lingua ritenuta corretta. Si tratta di regole straordinariamente complesse che invece di placare l’ardore dei nazionalisti fiamminghi, lo esasperano.

Storicamente l’olandese non è sempre stato popolare in Belgio. Per molto tempo, la lingua ufficiale di tutte le amministrazioni belghe è stata il francese, comprese le Fiandre. Peggio ancora: durante la I Guerra Mondiale, i soldati fiamminghi venivano fucilati perché non capivano gli ordini impartiti in francese dagli ufficiali valloni (che abitano la parte meridionale del Belgio e parlano francese (una specie di francese, a dire il vero).

Approfittando di uno spostamento di ricchezza tra valloni e fiamminghi dopo la II Guerra Mondiale, questi ultimi ottennero infine il ritorno di un sistema federale con diverse lingue ufficiali.

In ogni periodo di vacanza, ci sono incidenti, per fortuna verbali: i valloni che vanno nelle Fiandre, sulla costa, si vedono rifiutare il servizio dai negozianti perché ordinano in francese. Non deve sembrare troppo strano che dopo 236 giorni di negoziati, colloqui e contrattazioni di ogni tipo tra fiamminghi e valloni, quest’anno sia stato raggiunto un accordo per la nomina di un primo ministro belga. Un certo Bart de Wever, ex sindaco di Anversa, il quale nel 2014 aveva dichiarato di “avere un sogno” Quale? “Separare le Fiandre laboriose e opulente dal peso di una Vallonia” che, ai suoi occhi, “è spendacciona e pigra”. Per diventare primo ministro ha dovuto poi ammorbidire le sue posizioni.

Restano però gli statuti del suo partito, Nieuw-Vlaamse Alliantie, che continua a sostenere l’istituzione delle “Fiandre libere”. Lo spettro politico del vecchio continente europeo si è spostato a destra, ed è persino ironico che gli eurodeputati siedano a Bruxelles, ossia in un Paese spaccato in due e sotto bandiera euroscettica.


mercoledì 23 luglio 2025

Due mondi

 

Puoi parlare lo stesso idioma, condividere con loro alcune cose importanti, ma sei sempre una persona estranea al loro ceppo etnico e al loro ambiente. E ciò prescinde dalla cortesia, anche la più squisita, con la quale possono trattarti. Da loro ti sentirai sempre più ospite che in un qualsiasi altro luogo in cui ti capiterà di andare.

Non mi riferisco a Israele, ma a quello che noi chiamiamo Alto Adige. Quella terra che loro, con migliori ragioni, chiamano Südtirol. Ecco il punto: noi e loro. Un tema molto delicato da trattare.

La grande targa qui sotto recita nel titolo: “In memoria della dolorosa divisione del Tirolo”. È stata posta da una Schützenkompanie all’ingresso della scuola elementare. Memento per i piccoli alunni.

Italiani non sono, né si sentiranno mai. Spesso nutrono nei nostri riguardi un forte risentimento, anche con tinte razzistiche, comè inevitabile quando c’è di mezzo l’etnia. Perché non concedere loro, non solo la più ampia autonomia amministrativa che già godono, ma anche la piena indipendenza? Politici, amministratori, noti personaggi e comuni cittadini potrebbero in tal modo rinfacciarci oltre un secolo di tirannica occupazione e celebrare in tal guisa una loro “giornata della memoria”, chiedendoci poi un cospicuo indennizzo!


C’è qualcosa di strano in questa negletta lapide (sopravvissuta!). Le date di morte dei soldati. Ipotizzo: morti a causa della “spagnola”? E però è attestato anche un soldato “ignoto”. Appena potrò, indagherò.

Anche la morte è uno spettacolo.



martedì 22 luglio 2025

Deploratori

 

I leader politici e religiosi hanno finalmente dato la stura alla loro Deplorazione Automatica Seriale (D.A.S.). Non deplorano la UE per non aver imposto alcuna sanzione a Israele; non deplorano che la UE continui a mantenere accordi di associazione con Israele; non deplorano che la nazionale di ginnastica israeliana partecipi ai giochi di Milano; non deplorano che artisti e direttori d’orchestra svolgano il proprio lavoro in Italia e in Europa. Non deplorano che le comunità israelitiche offrano il loro sostegno incondizionato alla “pulizia etnica” in Palestina. Non deplorano che lo Stato israeliano sia un’impresa criminale, basata sulla premessa di creare uno Stato esclusivamente religioso attraverso l’assassinio e lo sfollamento della popolazione palestinese. Quindi non deplorano la “soluzione finale al problema palestinese”. I deploratori non deplorano le stragi quotidiane di palestinesi e ogni altra forma di violenta barbarie, se non incidentalmente. Costretti alla deplorazione, deplorano l’uccisione di “civili”. Chi siano questi “civili”, spesso non viene nemmeno detto. Ciò che deplorano davvero, ciò che suscita la loro ferma indignazione, è il fatto che le forze armate israeliane abbiano colpito una parrocchia cattolica uccidendo e ferendo dei “civili”.

Non deplorano e in realtà sostengono il genocidio perché è centrale nella strategia per rimodellare il Medio Oriente come teatro cruciale nei loro più ampi piani di guerra globale. Né interessa loro che nel Pacifico decine di migliaia di soldati provenienti da Stati Uniti, Australia e altri 17 paesi abbiano effettuato le più grandi esercitazioni militari congiunte di sempre nel continente australiano, una prova generale per la guerra contro la Cina.

venerdì 18 luglio 2025

Un altro capitalismo

 

Norbert Wiener (1894-1964), matematico statunitense dalla faccia simpatica e affascinato dalle macchine calcolatrici, coniò un neologismo: cibernetica. Parola dalla quale poi derivarono una molteplicità di termini con radice cyber, fino a collassare con “cybersesso”.

Norbert Wiener è stato un pensatore dell’informazione e della comunicazione. Fu durante la progettazione del primo cannone antiaereo che concettualizzò il feedback, la retroazione, ovvero il momento in cui un essere vivente o una macchina tiene conto del risultato della propria azione per adattare le azioni successive.

Questa nozione avrebbe avuto implicazioni in tutti i campi, inclusi la psicologia e i modelli di organizzazione sociale. Persino Lacan – quello che sottoponeva ad elettrochoc Dora Maar, l’amante di Picasso che il cosiddetto artista non mancava di riempire di botte – parlava di retroazione nei circuiti dei significanti.

Il padre di Norbert, Leo Wiener, un ebreo russo emigrato negli Stati Uniti, fondò una colonia vegetariana. Attivista contro il maltrattamento degli animali, Leo Wiener insegnava lingue slave ad Harvard. Determinato a fare di suo figlio un genio, lo istruì a casa con un programma di studi molto impegnativo. Il suo metodo: insulti e accanimento.

Obbligò il figlio a leggere ogni libro della biblioteca di famiglia, tra i quali molti opuscoli anti-vivisezione. Il piccolo Norbert imparò a leggere a 4 anni e diventò miope. Entrò all’università a 11 anni e conseguì una laurea in matematica avanzata a 14: scelse la matematica perché era l’unica materia in cui suo padre non poteva permettersi di ingerirsi.

A 18 anni, conseguì il dottorato di ricerca ad Harvard. Lavorò per la General Electric e si occupò di balistica presso un poligono militare fino alla fine della prima guerra mondiale. Nominato professore di matematica al MIT, negli anni Venti frequentò anche diverse università europee, lavorando con importanti matematici.

Durante la II GM, pare si sia rifiutato di partecipare al Progetto Manhattan. Partecipò invece alle Conferenze Macy, che riunivano neurologi, logici, economisti e antropologi. Fu in questo contesto che coniò il termine “cibernetica”, che dal greco antico significa pilotare, dirigere, governare. Wiener definisce la cibernetica come la “scienza del governo”.

Una scienza che comprende tutte le teorie relative al controllo, alla regolazione e alla comunicazione negli esseri viventi e nelle macchine. Il suo libro Cybernetics or Control and Communication in the Animal and the Machine fu un bestseller, nonostante fosse pieno di equazioni e diagrammi.

Se Alan Turing e Claude Shannon erano degli sfrenati fanatici delle “macchine”, Norbert Wiener ebbe parole virulente contro la scienza e la tecnologia. Due anni dopo, pubblicò The Human Use of Human Beings: “Voglio dedicare questo libro a una protesta contro l’uso disumano degli esseri umani”. Insomma, le intenzioni erano buone, anche se il costrutto risentiva dell’impostazione idealistica borghese.

Scrisse: “La cibernetica è un’arma a doppio taglio; prima o poi ti ferirà profondamente”; e considerò che una macchina è come un bambino, una creatura al tempo stesso plasmata e mutilata dal suo creatore, disponibile ma sempre pronta a rivoltarsi contro di lui.

Norbert credeva che le macchine potessero diventare intelligenti combinando feedback e potenza di calcolo. Oggi, questo concetto di feedback è alla base dell’addestramento dell’intelligenza artificiale: parliamo di “apprendimento automatico” e di “feedback umano”, quando gli esseri umani aiutano un algoritmo ad adattare le sue risposte.

Federico Faggin, nella sua autobiografia (Silicio. Dall’invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza, Mondadori, 2025)), rileva: «Oggi c’è molta speculazione su un possibile futuro in cui l’umanità sarà sorpassata o addirittura distrutta dalle macchine intelligenti. [...] In tutte queste proiezioni, si prende come dato di fatto che sarà possibile realizzare macchine autonome e intelligenti in un futuro non troppo lontano: macchine uguali se non migliori di noi. Ma questa supposizione è corretta? Il mio pensiero è che la vera intelligenza richiede coscienza, e che la coscienza è qualcosa che le nostre macchine digitali non hanno, e non avranno mai».

Faggin, fisico e imprenditore, inventore del microprocessore, del touchpad e del touchscreen, è un teorico della cosiddetta scienza della consapevolezza: «La maggior parte degli scienziati crede che siamo solo macchine: sofisticati sistemi di elaborazione delle informazioni basati su wetware [riferimento all’interazione tra il cervello umano e la tecnologia]. Ecco perché pensano che sarà possibile realizzare macchine che supereranno gli esseri umani. Credono che la coscienza emerga solo dal cervello, che sia prodotta da qualcosa di simile al software che funziona nei nostri computer».

Il razionalismo scientista, supportato in particolare dalle neuroscienze, è un volgarissimo materialismo riducibile a processi meccanici e a processi biochimici o elettrici. Ci porta ad essere tutti dei piccoli Norbert Wiener di 4 anni: potenziati dai nostri computer e smartphone, spinti a essere sempre più efficienti da un padre onnipotente, tutti intrappolati nella rete di Internet. Questo strumento, che utilizziamo per un’infinità di cose, ci consente di dire tutto e il suo contrario, ma ci dice anche: usate pure il mio strumento, però io stabilisco e decido che cosa questo strumento consente.

E infatti non ha prodotto un grande ed effettivo dibattito su ciò che accade. Per esempio, sul capitalismo. Non che cosa era, non cosa è stato, ma che cos’è oggi il capitalismo, che cos’è in questo preciso momento questo tipo di formazione sociale e questo modo di produzione.

I telai non ci sono più e le macchine a vapore sono state sostituite da altre tecnologie più avanzate ed efficienti. E poi anche le fabbriche, le manifestazioni e i tanti operai insieme, che i più anziani di noi ricordano, non esistono più. E conseguentemente anche le forme del potere sono cambiate. Ora è la guerra il polo principale e la politica quello secondario. Siamo in un altro capitalismo, in una società con caratteri assolutamente diversi rispetto a tutti quelli conosciuti nella storia della nostra specie.

C’è chi si rifiuta di capire, ma nella sua forma ideale totalmente compiuta e divenuta, il dominio del capitale sull’insieme così come su ciascun rapporto sociale, significa totale distruzione di ogni forma di vita realmente umana. 

giovedì 17 luglio 2025

Finalmente sappiamo chi è stato

 

Diversi storici israeliani specialisti della Shoah, come Omer Bartov, Amos Goldberg e Daniel Blatman, hanno già descritto la situazione dei palestinesi a Gaza come genocidio.

Dopo decine di migliaia di morti nella Striscia, decine di morti e centinaia di invalidi in Libano, l’ex babysitter della Garbatella si è svegliata e, seppur a parole e senza fatti, dichiara che gli attacchi e gli omicidi “contro i civili sono inaccettabili”. Ci sono molte cattive ragioni per cui Benjamin Netanyahu uccide i civili, ma finora la notizia non era riuscita a passare fino ad arrivare al centro di Roma.

Le “giornate della memoria” hanno prodotto un certo conformismo, tuttavia i politici ci tengono tanto perché vengano celebrate, alla ricerca di una “memoria giusta”. Ultimamente il richiamo al “dovere della memoria” è diventato un vero e proprio mantra politico per quanto riguarda le foibe, ma Marzabotto resta una memoria comunista.

Le giornate della memoria dovrebbero proteggere le nostre società dal rischio di crimini di massa e genocidi, e però i “nostri” leader diventano improvvisamente silenti quando le uniformi degli assassini sono quelle degli israeliani. Sono i sionisti in questo inizio di secolo i campioni mondiali di crimini di massa e i sedicenti statisti europei campioni di cecità.

P.S. : noto oggi alcune decine di visite anomale a un mio post, questo. Mi pare Repubblica abbia pubblicato un servizio sullo stesso argomento. Non potendo, per senso di pudore e igiene, acquistare un quotidiano che appoggia apertamente il genocidio dei palestinesi (per tacere di altro), qualcuno per cortesia sa dirmi qualcosa in proposito? Grasie, fioi.

L'inganno

 

Nei primi anni Sessanta, d’estate mi portavano in montagna. Quasi una punizione. Allora come oggi, tra i monti, la sera mi prende una insopprimibile e sfacciatissima malinconia. Ricordo che dopo cena mi mettevo alla finestra, seguivo le luci dei fari delle automobili cercando d’indovinarne il loro percorso nell’oscurità. A tratti le luci sparivano, inghiottite dai tornanti, poi riapparivano. Non vorrei apparire troppo dolce con questi ricordi adolescenziali, del resto non posso scrivere sempre di Gaza e di Ucraina ... Scrivo per passione, non per trasmettere sensazioni di sgomento e dolore.

Tra le altre amene occupazioni di villeggianti, si andava a raccogliere funghi, poco dopo l’alba, nell’erba umida, tra lo sterco di mucca su cui crescevano piccoli funghi, forse psicotropi (non provateci). I miceti abbondavano: il numero di raccoglitori metodici era abbastanza esiguo, mentre oggi per il semplice dilettante non c’è gioco.

I funghi che mi affascinavano di più erano, manco a dirlo, quelli velenosi e dal nome suggestivo. In cima alla gerarchia del male il porcino di Satana, con il suo grosso stipite rosso, poi l’amanita muscaria, per la sua bellezza fiabesca, e infine il fungo della morte, l’amanita falloide, famosa per la sua discrezione assassina, perché simile ad altri funghi invece edibili.

L’imperatore Claudio pare sia morto avvelenato dai funghi che gli avevano servito. Qualche giorno fa, in Australia, una cinquantenne paffutella è stata giudicata colpevole per triplice omicidio, per aver avvelenato alcuni parenti con dei funghi. I suoi ex suoceri, la sua ex zia e il suo zio acquisito. Solo lo zio, un pastore, sopravvisse. Trascorse due mesi in ospedale e dovette la sua salvezza solo a un trapianto di fegato.

Erin Patterson, questo il nome della Messalina australiana, sembrava avere un buon rapporto con la famiglia del suo ex marito, nonostante avesse scritto in un’email di non sopportarli più (ma le email, come gli SMS, spesso hanno senso solo nel momento in cui vengono scritte). In ogni caso, li aveva invitati tutti per un pranzo del fine settimana. L’ex marito, anche lui invitato, non si presentò.

Erin aveva cucinato un filetto alla Wellington. Non conosco nei dettagli la sua ricetta. Non è chiaro perché questo piatto, di origine francese, prenda il nome dal vincitore di Waterloo, il quale consumava semplicemente un filetto in crosta. Ciò che leggo a tale riguardo in Wikipedia e altrove non mi convince.

In genere viene preparato in modo banale un filetto di manzo in crosta con interstizio di una salsa (con senape!). La mia ricetta è diversa: filetto di manzo tritato a coltello, mescolato con un ripieno di foie gras e salsa duxelles (in pratica finferli o chiodini saltati al burro e aromatizzati con scalogno e altre erbe), il tutto in un pirottino di pasta sfoglia. Accompagnare con un rosso morbido e un sorriso.

Il tracciamento dei cellulari di Erin Patterson (ne aveva diversi) ha permesso di rintracciarne gli spostamenti fino alla zona in cui crescono gli agarichi muscari (le amanite). Il fatto che avesse resettato i dispositivi non giocava a suo favore. Né che avesse un essiccatore contenente tracce di funghi e che stesse cercando di sbarazzarsene. Né che, durante il pasto, si fosse servita su un piatto separato dagli altri. La vicenda ovviamente ha affascinato l’Australia. Sociologi e psicologi si saranno divertiti un mondo e guadagnato qualche dollaro.

Anche i cuochi avevano qualcosa da dire. Si sparlava di Shakespeare (i funghi di mezzanotte), di Agatha Christie. Quest’ultima era stata infermiera e assistente di uno speziale durante la prima guerra mondiale, dunque qualcosa di veleni ne sapeva). In Sento i pollici che prudono, uno stufato di funghi avvelenati è un elemento chiave, e in Il segreto di Chimneys, è di scena una zuppa di salvia e funghi avvelenata.

A me viene in mente un film scritto e diretto da Sofia Coppola che ho visto un po’ di tempo fa: L’inganno. È il remake del film di Don Siegel con Clint Eastwood (1971). Guerra civile americana, un soldato nordista ferito viene accolto e curato in un collegio per giovani ragazze del Sud. A poco a poco, ne seduce diverse dal suo letto, dorme con loro, provocando tensione, gelosia, odio. Il film è deliziosamente misantropo e, bisogna ammetterlo, misogino: se il soldato è un seduttore patetico e cinico, le ragazze sono oche bianche e puttane più o meno eccitate. Finiscono per amputargli una gamba e avvelenarlo con i funghi, poi lo seppelliscono, con discrezione.