lunedì 7 luglio 2025

La guerra di sterminio come programma del sionismo

 

La guerra a Gaza, che è una guerra contro Gaza, continua, in una strategia di invisibilità delle tragedie, della disperazione, dei viaggi individuali nel caos, che è terrificante. I bambini sono onnipresenti, sono il futuro, il significato di ogni cosa, il puro presente, ma per i loro assassini sono diventati bersagli privilegiati.

Non vediamo nulla, non sappiamo quasi nulla, i giornalisti vengono assassinati. Perché? Se sostieni che il sionismo controlla direttamente o indirettamente gran parte dei media, ti becchi l’accusa di antisemitismo. Tale accusa, secondo una retorica consolidata, è diventata il comodo pretesto per opporsi a qualsiasi critica e denuncia contro i crimini in corso a Gaza e in Cisgiordania perpetrati dello Stato ebraico-sionista.

È sufficiente essere ebrei e si diventa intoccabili. Dire a un ministro israeliano di “smettere di uccidere donne e bambini a Gaza” e si viene tacciati di rasentare l’antisemitismo. È successo a Macron, non proprio a uno qualsiasi. Oppure denunciare la politica di apartheid in Cisgiordania e ci si becca la stessa etichetta. Persino il segretario nazionale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ne è stato accusato.

Il noto criminale di Stato, Benjamin Netanyahu, ha definito il procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, come “un grande antisemita moderno”, dopo che Khan aveva richiesto un mandato di arresto per lui e i leader di Hamas per “crimini di guerra”.

L’accusa di antisemitismo è così infame, carica del peso dell’orrore nazista, da soffocare ogni discussione. Ci si sente in trappola. Questa accusa sistematica ci impedisce di riflettere sulla questione del sionismo, sulla sua natura e gli obiettivi dello Stato ebraico.

Il sionismo è l’ideologia dello Stato d’Israele, un’ideologia su base genetica, religiosa e culturale. Infatti, Israele si proclama Stato di tutti gli ebrei. Ciò vale come se lo Stato di una qualsiasi nazione si proclamasse Stato di tutti coloro che, sparsi per il mondo, hanno anche solo una traccia di ancestrale discendenza dallo stesso ceppo nazionale.

Dal momento in cui il progetto sionista prese forma e si immaginò come un “ritorno” alla patria originaria del popolo ebraico, che, contrariamente al mito, non era una terra senza popolo, ma era popolata da un popolo sempre più percepito come una versione moderna delle nazioni di Canaan o, peggio, di Amalek, la nozione di milhemet mitzvah, cioè di guerra di sterminio, venne riattivata (*).

In ogni guerra, dal 1982 ad oggi, i limiti riconosciuti a livello internazionale imposti alla condotta degli eserciti dopo la fine della Seconda guerra mondiale furono gradualmente accantonati dall’IDF, in conformità con il comando di Dio, nel tentativo di liberare la Palestina dai suoi abitanti originari.

Né va trascurato il fatto, che l’eredità europea che gli israeliani rivendicano oggi non solo li separa dagli “arabi” che li circondano, ma serve anche a gerarchizzare le stesse popolazioni ebraiche di Israele (basti pensare ai Falasha) in base alla loro vicinanza alla cultura europea. Inoltre, la cultura europea a cui questa gerarchia si riferisce è decisamente quella dell’Europa occidentale e centrale, piuttosto che la “terra yiddish” dell’Europa orientale, dove viveva la stragrande maggioranza della popolazione ebraica mondiale prima del secondo conflitto.

Questa è una delle non poche contraddizioni del progetto coloniale sionista. La cultura ebraica esistente, in tutta la sua diversità e complessità, fu negata dal sionismo, cioè ridotta a nulla. Doveva nascere una nuova cultura e un nuovo ebreo, spogliati di tutto ciò che, secondo i sionisti, ricordava la presunta debolezza e il parassitismo degli ebrei, persino i loro nomi, fossero essi arabi, ladini o yiddish. Fu attraverso questa trasformazione, intesa come risultato e non come condizione originaria, che l’autentica comunità d’Israele doveva attualizzarsi.

La nuova cultura, tuttavia, si riduce a una protesi originale: la cultura sionista è nuova in virtù del suo ritorno alle glorie della repubblica ebraica istituita da Mosè, residente nella terra che fu promessa da Dio al popolo ebraico, e che costituisce la legittimità invocata oggi dai leader sionisti israeliani, anche laici, quando sono interrogati sulla validità delle loro rivendicazioni sulla Palestina.

Vale la pena ricordare che Netanyahu è stato in grado di dichiarare i suoi obiettivi genocidi davanti alle telecamere (in ebraico, la lingua in cui esprime più liberamente il suo razzismo e le fantasie genocide che genera), ricordando ai soldati dell’IDF, il comando di Dio trasmesso tramite Samuele a Saul riguardo agli Amaleciti, una nazione che cercava di impedire il ritorno degli ebrei nella terra promessa (**).

Questa guerra, che è, ripeto, una guerra contro Gaza e il popolo palestinese, la frequenza delle guerre di Israele dalla sua fondazione, così come il suo rifiuto di offrire una soluzione praticabile ai palestinesi, fanno parte del progetto coloniale sionista.

Nel processo di colonizzazione della Palestina e di costruzione della Grande Israele, il sionismo si è espresso con manifestazioni teoriche e pratiche di pregiudizio contro gli arabi in generale e di odio per i palestinesi, ossia gli abitanti millenari di quella che gli ebrei ritengono essere Eretz Israel. Non è solo il desiderio di vendetta, ancora e sempre insoddisfatto, a muovere Israele.

Secondo il NYT, Il 94% degli ebrei israeliani crede che l’esercito abbia usato “forza adeguata o insufficiente” a Gaza e circa l’88% di tutti gli ebrei israeliani “crede che il numero di palestinesi uccisi o feriti a Gaza sia giustificato dalla guerra”.

Lo Stato d’Israele, con le sue politiche di colonizzazione ed espropriazione sia abusiva che legalizzata ad hoc, perpetrate per decenni, non ha altro scopo evidente se non la distruzione totale della presenza palestinese attraverso una combinazione di violenza genocida contro la popolazione civile e l’espulsione dei sopravvissuti. Lo si denunciava mezzo secolo or sono, i fatti continuano a confermarlo.

Questo stato di cose è il prodotto di un equilibrio di potere globale sempre più favorevole a Israele, che gli ha concesso di fatto un’esenzione dal diritto internazionale, nonostante Israele continui a ricevere dagli Stati Uniti tutti i mezzi più sofisticati di distruzione di massa. Il senso di potere illimitato contro una popolazione palestinese semi-affamata, già prima dell’attuale guerra, si esprime in un messianismo che si realizzerà solo con lo sterminio della popolazione indigena.

Chi straparla di due Stati per due popoli, o è un ignorante o è in malafede. L’unico modo per porre fine alle guerre del sionismo e al suo progetto razzista ed egemonico, è porre fine al sionismo come teoria e come strategia. Tuttavia non si può porre fine al sionismo e ai suoi propositi genocidi se non nell’ambito di un nuovo e radicale equilibrio mondiale. Dunque, solo dopo un altro conflitto mondiale. Ahimè, non vedo altra soluzione.

(*) Fu nel periodo della prima colonizzazione che la destra israeliana (sia religiosa che laica) discusse la questione della guerra, così come trattata nella Torah e nel Talmud, così come nei commentari di Rashi (1040-1105), Maimonide (1138-1204), Nahmanide (1194-1270) e Bahya ben Asher (1255-1340). La questione in discussione era cosa fosse proibito e cosa permesso in guerra, il che portò a una distinzione tra due tipi fondamentali di guerra.

Il primo tipo è la guerra facoltativa (milhemet reshut), in cui è proibito uccidere donne o bambini o distruggere i raccolti e che deve essere preceduta da una proposta di pace respinta dalla parte avversa prima che le ostilità possano iniziare. L’altro tipo di guerra, è la milhemet mitzvah, la guerra obbligatoria comandata da Dio. Queste guerre possono, senza la minima esagerazione, essere considerate guerre di sterminio, in cui tutti gli uomini, le donne e i bambini devono essere uccisi, i loro animali e i raccolti distrutti e persino il ricordo della loro esistenza “cancellato”. Questo non è uno stato di eccezione in cui tutto è permesso. Al contrario, la guerra di sterminio è obbligatoria e, se non viene condotta secondo la lettera del comandamento scritto nella Torah, sarà punita da Dio (Deuteronomio, 20).

(**) Non c’è nulla di nuovo in queste affermazioni; subito dopo la guerra del 1973, il fiorente movimento dei coloni iniziò a conciliare il sionismo laico e quello religioso. Il terrorismo dell’Irgun (1931-1948), laico, e del Lehi (una scissione dell’Irgun del 1940, chiamata Gruppo Stern), prima e durante la Nakba, fu retroattivamente giustificato in termini halakhici, ovvero citando la legge ebraica.

1 commento:

  1. Quando leggo i contenuti di questo blog spesso, ma non sempre penso: meno male che è letto da poche decine di persone!
    Non tanto per i contenuti, che sono eccellenti, ma per le conclusioni, vere e proprie... Commemorazioni funebre!


    Il tuo anonimo "preferito".

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