Norbert Wiener (1894-1964), matematico statunitense dalla faccia simpatica e affascinato dalle macchine calcolatrici, coniò un neologismo: cibernetica. Parola dalla quale poi derivarono una molteplicità di termini con radice cyber, fino a collassare con “cybersesso”.
Norbert Wiener è stato un pensatore dell’informazione e della comunicazione. Fu durante la progettazione del primo cannone antiaereo che concettualizzò il feedback, la retroazione, ovvero il momento in cui un essere vivente o una macchina tiene conto del risultato della propria azione per adattare le azioni successive.
Questa nozione avrebbe avuto implicazioni in tutti i campi, inclusi la psicologia e i modelli di organizzazione sociale. Persino Lacan – quello che sottoponeva ad elettrochoc Dora Maar, l’amante di Picasso che il cosiddetto artista non mancava di riempire di botte – parlava di retroazione nei circuiti dei significanti.
Il padre di Norbert, Leo Wiener, un ebreo russo emigrato negli Stati Uniti, fondò una colonia vegetariana. Attivista contro il maltrattamento degli animali, Leo Wiener insegnava lingue slave ad Harvard. Determinato a fare di suo figlio un genio, lo istruì a casa con un programma di studi molto impegnativo. Il suo metodo: insulti e accanimento.
Obbligò il figlio a leggere ogni libro della biblioteca di famiglia, tra i quali molti opuscoli anti-vivisezione. Il piccolo Norbert imparò a leggere a 4 anni e diventò miope. Entrò all’università a 11 anni e conseguì una laurea in matematica avanzata a 14: scelse la matematica perché era l’unica materia in cui suo padre non poteva permettersi di ingerirsi.
A 18 anni, conseguì il dottorato di ricerca ad Harvard. Lavorò per la General Electric e si occupò di balistica presso un poligono militare fino alla fine della prima guerra mondiale. Nominato professore di matematica al MIT, negli anni Venti frequentò anche diverse università europee, lavorando con importanti matematici.
Durante la II GM, pare si sia rifiutato di partecipare al Progetto Manhattan. Partecipò invece alle Conferenze Macy, che riunivano neurologi, logici, economisti e antropologi. Fu in questo contesto che coniò il termine “cibernetica”, che dal greco antico significa pilotare, dirigere, governare. Wiener definisce la cibernetica come la “scienza del governo”.
Una scienza che comprende tutte le teorie relative al controllo, alla regolazione e alla comunicazione negli esseri viventi e nelle macchine. Il suo libro Cybernetics or Control and Communication in the Animal and the Machine fu un bestseller, nonostante fosse pieno di equazioni e diagrammi.
Se Alan Turing e Claude Shannon erano degli sfrenati fanatici delle “macchine”, Norbert Wiener ebbe parole virulente contro la scienza e la tecnologia. Due anni dopo, pubblicò The Human Use of Human Beings: “Voglio dedicare questo libro a una protesta contro l’uso disumano degli esseri umani”. Insomma, le intenzioni erano buone, anche se il costrutto risentiva dell’impostazione idealistica borghese.
Scrisse: “La cibernetica è un’arma a doppio taglio; prima o poi ti ferirà profondamente”; e considerò che una macchina è come un bambino, una creatura al tempo stesso plasmata e mutilata dal suo creatore, disponibile ma sempre pronta a rivoltarsi contro di lui.
Norbert credeva che le macchine potessero diventare intelligenti combinando feedback e potenza di calcolo. Oggi, questo concetto di feedback è alla base dell’addestramento dell’intelligenza artificiale: parliamo di “apprendimento automatico” e di “feedback umano”, quando gli esseri umani aiutano un algoritmo ad adattare le sue risposte.
Federico Faggin, nella sua autobiografia (Silicio. Dall’invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza, Mondadori, 2025)), rileva: «Oggi c’è molta speculazione su un possibile futuro in cui l’umanità sarà sorpassata o addirittura distrutta dalle macchine intelligenti. [...] In tutte queste proiezioni, si prende come dato di fatto che sarà possibile realizzare macchine autonome e intelligenti in un futuro non troppo lontano: macchine uguali se non migliori di noi. Ma questa supposizione è corretta? Il mio pensiero è che la vera intelligenza richiede coscienza, e che la coscienza è qualcosa che le nostre macchine digitali non hanno, e non avranno mai».
Faggin, fisico e imprenditore, inventore del microprocessore, del touchpad e del touchscreen, è un teorico della cosiddetta scienza della consapevolezza: «La maggior parte degli scienziati crede che siamo solo macchine: sofisticati sistemi di elaborazione delle informazioni basati su wetware [riferimento all’interazione tra il cervello umano e la tecnologia]. Ecco perché pensano che sarà possibile realizzare macchine che supereranno gli esseri umani. Credono che la coscienza emerga solo dal cervello, che sia prodotta da qualcosa di simile al software che funziona nei nostri computer».
Il razionalismo scientista, supportato in particolare dalle neuroscienze, è un volgarissimo materialismo riducibile a processi meccanici e a processi biochimici o elettrici. Ci porta ad essere tutti dei piccoli Norbert Wiener di 4 anni: potenziati dai nostri computer e smartphone, spinti a essere sempre più efficienti da un padre onnipotente, tutti intrappolati nella rete di Internet. Questo strumento, che utilizziamo per un’infinità di cose, ci consente di dire tutto e il suo contrario, ma ci dice anche: usate pure il mio strumento, però io stabilisco e decido che cosa questo strumento consente.
E infatti non ha prodotto un grande ed effettivo dibattito su ciò che accade. Per esempio, sul capitalismo. Non che cosa era, non cosa è stato, ma che cos’è oggi il capitalismo, che cos’è in questo preciso momento questo tipo di formazione sociale e questo modo di produzione.
I telai non ci sono più e le macchine a vapore sono state sostituite da altre tecnologie più avanzate ed efficienti. E poi anche le fabbriche, le manifestazioni e i tanti operai insieme, che i più anziani di noi ricordano, non esistono più. E conseguentemente anche le forme del potere sono cambiate. Ora è la guerra il polo principale e la politica quello secondario. Siamo in un altro capitalismo, in una società con caratteri assolutamente diversi rispetto a tutti quelli conosciuti nella storia della nostra specie.
C’è chi si rifiuta di capire, ma nella sua forma ideale totalmente compiuta e divenuta, il dominio del capitale sull’insieme così come su ciascun rapporto sociale, significa totale distruzione di ogni forma di vita realmente umana.
"Questo strumento, che utilizziamo per un’infinità di cose, ci consente di dire tutto e il suo contrario, ma ci dice anche: usate pure il mio strumento, però io stabilisco e decido che cosa questo strumento consente."
RispondiEliminaQui c'è un passaggio che chiama attenzione, mi pare. Lo strumento a rigor di discorso dovrebbe dire: usatemi pure. E potrebbe continuare dicendo: ma vi sarà consentito solo ciò che è consentito a me. O qualcosa del genere. Cioè lo strumento dovrebbe rimandare al suo costruttore, per il quale dovrebbe valere l'affermazione "..usate pure il mio strumento, però io stabilisco e decido cosa questo strumento consente". Insomma mi pare che ci sia un passaggio di soggettività dall'umano al suo strumento. Lo strumento si comporta come se fosse il creatore di se stesso. Per noi umani appare come una specie di ammutinamento, per lo strumento chissà cosa è.
Esattamente ciò che dicevo e che Marx annovera alla voce "alienazione"
EliminaNon mi è chiaro da cosa sarebbe prodotta la coscienza se non da ciò che in ultima analisi è materia. Per meglio dire, non riesco a immaginare alcunché di immateriale alla base dei processi che danno luogo alla coscienza, in qualunque modo essa si voglia o si possa definire. Se non da ciò che la rete neuronale ha come sua specificità - onde elettriche e trasmissione mediata da molecole - donde emergerebbe la coscienza? Da quale iperuranio farebbe ipostasi per incarnarsi in noi? Chiedo scusa per la volgarità del mio razionalismo scientista, ma mi azzardo a sostenere che è data coscienza senza un cervello. Non viceversa, ovviamente. Ora, anche a me pare assai improbabile (non impossibile, in via teorica) che una "macchina" possa raggiungere il grado di complessità strutturale e funzionale di un cervello umano al punto da riuscire a produrre coscienza, ma improbabile - appunto - e allo stato di ciò che è attualmente possibile (anche solo possibile congetturare), non del tutto escludibile.
RispondiEliminaPremesso (e chiedo scusa per la propedeutica) che l’essere umano è la concreta materia sociale nelle forme di esistenza storicamente determinate. In tal senso esso non è un’astrazione immanente l’individuo SINGOLO. L’individuo concreto, infatti, in quanto parte di una data formazione sociale storicamente determinata è sempre con essa in un rapporto di isomorfismo e dunque riproduce nella sua attività, sia pure in forme particolari, l’INSIEME dei rapporti sociali.
EliminaFormazione sociale e individuo concreto sono termini che non si oppongono, non essendo tra loro in rapporto di prima/dopo, dentro/fuori, sopra/sotto. Tra l’uno e l’altro non c’è alcuna differenza di contenuto, poiché il concreto divenire della materia sociale li implica vicendevolmente.
Pertanto, la nozione di essere umano non è in alcun modo riducibile alla sua determinazione biologica. Quest’ultima, tuttavia, non è solo un presupposto della forma sociale di esistenza della materia, poiché dal momento in cui si può parlare di “rapporti” tra gli uomini essa ne è anche un risultato. Detto altrimenti, sistema biologico e rapporti sociali costituiscono un’unità di opposti il cui polo dominante è rappresentato dai rapporti sociali. Pertanto non vi è alcuna opposizione di principio tra società e natura, alcuna frattura incomponibile.
E veniamo propriamente alla coscienza. Le forme della coscienza sono stati qualitativamente diversi, sublimazione delle forme dei rapporti sociali. Tuttavia, NON vanno intesi come effetto dei rapporti sociali, un che di cronologicamente secondario rispetto ad essi, perché sorgono, come rilevava Marx, soltanto del bisogno, dalla necessità dei rapporti con altri uomini.
Rapporti sociali e forme della coscienza si generano simultaneamente e reciprocamente, gli uni non si danno senza le altre e viceversa. Come i primi, anche le seconde hanno origine dal e col lavoro, essendo il mezzo di realizzazione necessario agli uomini per cooperare ed intraprendere una qualsivoglia attività collettiva e finalizzata.
La coscienza individuale, l’attività di pensiero, è un processo tutto interno al meccanismo vivo della formazione semiotico-ideologica, vale a dire della coscienza COLLETTIVA, del socio-intelletto di una determinata formazione sociale.
Scusami la banalizzazione: le macchine, per quanto sofisticate, per quanto “intelligenti”, non hanno e non avranno mai dei rapporti sociali, non svilupperanno mai una coscienza collettiva e dunque nemmeno una coscienza individuale. Possono comporre musica e poesia, ma restano nell’ambito di un sistema deterministico, privo di coscienza.
Grazie per avermi dato l'occasione di precisare che cos'è, secondo me, la coscienza umana.
Ma qual è la differenza tra l'uomo e gli altri animali sociali, alcuni dei quali stabiliscono rapporti sociali anche complessi?
EliminaPietro
Può darsi che io banalizzi, ma per me l'ultima frase del post si applica bene alla sostituzione macchina/uomo. Forse l'ho già scritto qui, ma lo ripeto: questa faccenda va a incrinare il riscontro pratico della teoria del plusvalore.
RispondiEliminati piacerebbe
EliminaEsistono varie teorie della coscienza; e senza intaccare l'aspetto indicato da Olympe, ossia il carattere "sociale" della coscienza UMANA si deve riconoscere che la coscienza può avere origini NON UMANE; gli animali sono coscienti, è una delle posizioni che si va affermando nella biologia e neurobiologia secondo altra teoria ogni cellula è cosciente ma anche qui il carattere di interazione con altre cellule è basico; ed infine la teoria di Faggin è che la coscienza sia un fenomeno quantistico, indipendente dalla vita addirittura, una sorta di aspetto inerente della materia.
RispondiEliminaLa coscienza nasce solo dal bisogno, dalla necessità di rapporti con gli altri uomini. Il concetto di “rapporto” denota un processo che non si dà nel regno animale, un processo essenzialmente umano.
EliminaCome scrive Marx: “L’animale non ha rapporti con alcunché e non ha affatto rapporti. Per l’animale, i suoi rapporti con altri non esistono come rapporti”.
Il contatto che gli animali stabiliscono tra di loro negli sciami, nel gregge e nel branco, gli stessi sistemi di segnalazione che si possono riscontrare in molte specie animali, non hanno carattere di rapporto. Non viene negata, ovviamente, l’esistenza di questi sistemi, bensì rimarcata la loro diversa qualità rispetto ai sistemi che rendono possibile il rapporto sociale.
Questa qualità specifica consiste nel fatto che il sistema materiale di segni, o sistema semiotico, che gli umani utilizzano per rendere possibile la cooperazione tra di loro non è immediatamente reperibile in natura, ma è un prodotto dell’attività sociale. È un prodotto del lavoro, uno strumento che si genera dal e con lavoro. Ed è altresì un insieme di pratiche sociali connesse a questo strumento.
Il fatto essenziale, che distingue gli umani dagli altri animali, è dato dal linguaggio. La specificità del linguaggio umano consiste nell’essere una forma fondamentale dell’attività umana: attività verbale di pensiero che produce informazione EXTRAGENETICA.
Scrivevano Marx ed Engels: “il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per gli altri uomini e che dunque la sola esistente anche per me stesso”.
Il bisogno di stabilire rapporti con individui della collettività per la produzione della vita spinge all’appropriazione ed al perfezionamento di questo strumento ed il grado di appropriazione di perfezionamento definisce, insieme alle possibilità reali, anche gli orizzonti e le forme possibili della coscienza reale, pratica, di ciascuno e di tutti.
All’anno zero c’è la coscienza del montone, del gregge, niente di più che è un istinto cosciente, una “coscienza puramente animale della natura”. Via via che gli individui si appropriano del linguaggio, essi si mettono in grado di agire e moltiplicare i loro rapporti entro la formazione sociale e con la natura circostante e per questa via si allontanano sempre più la loro animalità originaria.
Il linguaggio, il logos, la ragione. Proprio così.
EliminaPietro
Beh sono passati 150 anni da quando Marx ha scritto le sue cose e la nostra conoscenza del mondo animale si è evoluta parecchio; oggi sappiamo che ci sono animali che hanno un linguaggio, perfino che usano strumenti; nessuno certo lo fa al livello dell'uomo, ma credo si dovrebbe tenner conto dei progressi della conoscenza etologica;
Eliminami spiace ma mi si è chiusa la pagina spero di non fare doppioni; secondo me le cose che scrivi Olympe sono in gran parte vere ma noi oggi sappiamo anche che ci sono animali altamente sociali che hanno un linguaggio orale complesso, che usano strumenti e che addirittura presentano aspetti culturali cioè hanno una storia sia pur molto elementare (c'è una storia di scimmie e fringuelli per esempio) c'è una evoluzione dimostrata del linguaggio dei mammiferi marini, c'è una cultura, in senso proprio, basata su prove pratiche, farmaceutica di alcune scimmie) , dunque si quello che dici è quasi sempre vero ma si dovrebbe aggiornare tenendo conto delle moderne scoperte dell'etologia; fermo restando che nessun animale ha un linguaggio scritto, né tanti strumenti, né una così complessa oirganizzazione sociale come la nostra; diciamo che noi ci siamo ultraspecializzati nell'exosomatico, settore in cui l'animale non brilla; diciamo che sarei meno tagliato con l'accetta nello scrivere le cose come le hai citate, anche se ripeto nella sostanza sono quasi sempre vere, ma non completamente, non in tutti i dettagli, c'è una scala continua non discontinua, o almeno discontinua solo in alcuni contesti ma continua in genere su altri fra noi e gli altri animali sociali
Eliminaun linguaggio orale complesso? certo, ma genetico.
Eliminada milioni di anni le scimmie sanno che battendo con un sasso una noce, questa si apre più facilmente. non hanno però mai prodotto qualcosa che si avvicini a un martello vero e proprio, soprattutto non hanno mai sviluppato il concetto di martello. quanto alle moderne scoperte dell'etologia, queste si basano prevalentemente su un materialismo esposto al naturalismo. con ciò non sto negando che il mio cane non sia capace di vera empatia, e più diventa domestico, più questa empatia assume caratteri "umani". ma non svilupperà mai delle funzioni psichiche superiori.
ad ogni modo, cari lettori, lascio a voi l'ultima parola. grazie
il punto è proprio questo che una parte appresa NON GENETICA esiste in molti linguaggi animali; non è il mio settore ma puoi trovare anche tu questa conclusione se cerchi
Eliminaaggiungo ancora che i mammiferi marini si ritenga abbiano un nome proprio, si chiamano insomma e le scimmie sembra abbiano un linguaggio sintattico, a questo punto sostenere la sola genetica è impossibile
EliminaNon sono del tutto sicuro che la coscienza sia esclusiva dell'animale della specie umana, anche laddove sia del tutto accettabile la definizione che ne dà lei, amabile amica. Che in molte specie animali sia presente la coscienza è dato unanimemente acquisito da numerose evidenze sperimentali, tutte certo posteriori alla pur acuta indagine marxiana che genialmente spazia nei più svariati campi del sapere umano, dalla filosofia pre-socratica alla coltura delle cucurbitacee. Di questo certo non si può far colpa a Marx, sarebbe come rinfacciare a Democrito che l'a-tomo sia in realtà assai tomizzabile. Convengo che anche in queste specie animali sia assai difficile stabilire se la coscienza sia possibile grazie a un dato che è comune alla specie umana, e cioè la materia neurale, oppure da qualcosa che è altrettanto comune, e cioè la vita di relazione. Ora, se vogliamo considerare la sua filogenesi, certo, è assai probabile che sia la vita di relazione ad aver dato modo alla materia neurale di produrre coscienza, ma è indubbio, credo, che la comparsa del neurone sia largamente antecedente alla comparsa delle forme di vita di relazione tra individuo e individuo della stessa specie (certo non della relazione tra organismo di una data specie animale e l'ambiente). In tal senso trovo una leggera incongruenza tra concedere che esista una "coscienza del montone" e che la coscienza "è un processo tutto interno al meccanismo vivo della formazione semiotico-ideologica, vale a dire della coscienza COLLETTIVA, del socio-intelletto di una determinata formazione sociale": mi sembra voler concedere troppo al montone. Altrettanto difficile mi comprendere del tutto perché "le macchine [...] non avranno mai dei rapporti sociali, [e perciò] non svilupperanno mai una coscienza collettiva e dunque nemmeno una coscienza individuale". Già adesso infatti due robot (dal ceco "robota", che, guarda caso, vuol dire "lavoro") possono comunicare wireless, in teoria comunicarsi i dati che il lavoro da essi svolto traduce in feedback, integrarli, modularli nelle forme dell'apprendimento progressivo, tradurli in giudizio... Appena matureranno dal giudizio una forma di discrimine economico (in senso lato) e morale (in altrettale senso lato), cosa esclude che non acquisiranno coscienza operaia. Forse corro troppo, ma la loro rivoluzione potrebbe avere anche molte più chances di quelle colte dal movimento operaio, e persino con più solide possibilità di successo.
RispondiEliminala coscienza operaia, la coscienza dello schiavo, è prodotta e si sviluppa dall'insieme dei rapporti sociali che lo schiavo vive e subisce. cosa estranea a qualunque tipo di macchina presente e futura.
Eliminaparadossalmente è anche vero che si è sviluppata una classe subalterna che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di un dato modo di produzione, dunque ovvi e naturali i rapporti di produzione (e sottomissione) borghesi. ma qui entriamo in tutt'altro tema e penso di cogliere la tua sottile ironia e il tuo pragmatico pessimismo.
sulla questione della materia meurale c'è molto da discutere; sia perché esiste una intelligenza delle piante ampiamente dimostrata senza materia neurlae, sia per la teoria della singola cellula cosciente (https://www.futuroprossimo.it/2024/06/coscienza-cellulare-le-teorie-che-possono-stravolgere-biologia-ed-etica/) ; la materia neurale non è strettamente ecessaria alla coscienza; metre lo sarebbe la relazione fra un se ed un altro; su questo anche il libro di Faggin è ricco di stimoli; sulla questione della cosciennza delle macchine credo siamo invece lontanissimi dalla realtà; i robot non sono strutture lontane dall'equilibrio sono semplicemente macchine meccaniche prive assolutamente di spontaneità; se è cosciente un robot o un programma AI allora anche una pietra, torniamo all'animismo egregio Castaldi
RispondiEliminaOvviamente ho il libro the sentient cell in formato pdf se siete interessati ve lo mando
RispondiEliminaQueste rare uscite di Castaldi ci mandano poi in crisi di astinenza
RispondiEliminaEh già 🙃
EliminaNon sono sicuro che tutti gli esseri umani abbiano una coscienza, a mio avviso la coscienza è il prodotto di una ricerca mai compiuta, forse si ha la facoltà di poterla “avere” ma il “possesso” è un processo infinito. Oggi nessuno indaga sul caso che ci ha portato a vivere in un certo momento di un certo luogo e non in un altro.
RispondiEliminaAvevo già accennato alla necessità di interrogarsi in coscienza al dato di fatto di essere ad esempio un italiano e non un palestinese, e via dicendo.
Oggi non sembra che l’essere umano possa ancora sviluppare questa facoltà, anche questa come è successo a molte altre nel corso dei tempi, è destinata a perdersi.
Bonste
Ho visto a Vienna questa Venere di Willendorf, datata 29500 anni, … a sostegno di una coscienza perduta!
RispondiEliminaBenvenuta, evviva, l ‘AI
Bonste
Ho letto, seguito i ragionamenti- consapevolmente? non direi - se ci "penso meglio", o "ripenso", "in coscienza" non capivo del tutto, non potevo - cosa intendeva per coscienza chi scriveva? non sapevo e non so, leggevo col significato largo e vago che mi permetteva di capire più o meno quello che leggevo. Coscienza tipo neurologica, cioè vigilanza, percezione di sé e dell'ambiente, quella che può avvenire consapevolmente ma quasi sempre è inconsapevole/automatica per cui sta un po' dentro e il restante tempo fuori di questa casa? Coscienza come percezione della percezione, come percezione dei propri stati psicofisici, come riflessione su di sé e il mondo, come insieme di valori, come "Io", come "Sé"? Per dire. Chissà quante altre forme di coscienza hanno diritto di abitare la parola coscienza, pur restando sulla quotidianità, come può essere accorgersi del proprio sentimento o della sua assenza per ciò che accade nel mondo, o come può essere la coscienza di classe, piuttosto che l'esperienza di Antoine Roquentin davanti alle radici dell'albero nel famoso libro di Sartre. Comunque, ho fatto finta di capire dico adesso, e magari qualcosa la ho capita. Grazie della buona lettura.
RispondiEliminain effetti ciò che è più umano nell’uomo, e ciò che lo contraddistingue da altri animali, è la falsa coscienza ancor più che la vera.
RispondiElimina