domenica 6 luglio 2025

I lustrascarpe del capitalismo


Sul crollo di Wall Street del 1929 si raccontano tante storielle quasi tutte inventate in seguito, però quasi tutte verosimili. Come quella del celeberrimo lustrascarpe. Joseph Kennedy, personaggio equivoco e poi ambasciatore in odore di filonazismo, padre di un noto puttaniere, raccontava che un mattino del 1929 il suo lustrascarpe rifiutò la mancia, giudicandola troppo misera. “Signore, ieri mattina ho guadagnato 250 dollari in Borsa. Sì tenga pure i suoi 5 cents, non mi servono”. Kennedy fece il seguente ragionamento: “Se il mio lustrascarpe ne sa più di me, c’è qualcosa che non va nel mondo della finanza”. Il giorno stesso liquidò tutto il suo portafoglio azionario.

Va da sé che un lustrascarpe che guadagna 250 dollari in borsa (cifra notevole per quel tempo), non rifiuta la mancia, ma cambia mestiere. Le crisi borsistiche, le crisi che coinvolgono la speculazione finanziaria, sono un dato storico strutturale e dunque implicito in quel genere di attività. Laddove i prezzi non corrispondono per nulla o quasi ai valori di riferimento, prima o poi c’è gente che si brucia le dita. E a bruciarsele, c’è da scommettere, sono sempre i soliti incauti.

In base a questa premessa, ci sarà sempre qualcuno, ex post, che dirà: io l’avevo detto; io l’avevo previsto; io avevo avvertito. Una sequela inesausta di io, io, io. Ora anche il giornale di Confindustria, in data odierna, titola in prima e terza pagina: Borse record ma sale il rischio. Chiarendo: “I fondamentali contano sempre meno: gli acquisti sono guidati dagli investimenti del retail, da basket e da Eft, dalla volatilità che determina comportamenti automatici e da buyback”. Un linguaggio da iniziati che significa semplicemente: si tratta di azzardo. Un azzardo affidato prevalentemente a degli algoritmi, cioè a dei robot trader ultraveloci.

Tutti sappiamo, chi più chi meno, che cosa sono gli stop-loss. Quando un titolo (asset) scende repentinamente, scattano le vendite automatiche per limitare le perdite del proprio portafoglio. Ebbene, come ci racconta il quotidiano di cui sopra: “Gli algoritmi ultra veloci sanno dove si trovano questi livelli. E possono inviare migliaia di ordini in vendita mirati proprio su quei punti, in modo da farli crollare”.

Significa che è un gioco truccato. Gli stop-loss si attivano, le liquidazioni si incatenano, i prezzi scendono ancora, e chi aveva scommesso su una discesa fa cassa. I trader in preda al panico fissano i loro schermi, increduli. Gli ordini stop-loss sono inghiottiti in un abisso senza fondo. C’è anche chi ne approfitta, un qualche miliardario che compra la paura a un prezzo sempre più basso. In pochi secondi, la marea cambia. Ma per alcuni, è già troppo tardi. In questo modo, gli algoritmi non seguono il mercato: lo guidano. Lucrando anche su scostamenti di prezzo minimi, in su o in giù. Fotte nulla di bilanci aziendali e valori reali.

Il capitale finanziario, nella sua dimensione monetaria, è stato a lungo fondamentalmente guidato dalle condizioni di estrazione del plusvalore che genera profitti, ovvero attorno alle fluttuazioni del processo di accumulazione (essenzialmente guidato dal saggio di profitto). L’attuale situazione di capitalismo finanziarizzato, è assai lontana da un capitalismo che è effettivamente esistito storicamente, ma che non esiste più da tempo se non marginalmente.

In tale situazione, ogni pretesa schematica (di modello matematico), basata sulla famigerata e tautologica “crescita”, che si richiami ad un mitico equilibrio, sia pure in una prospettiva di dinamica ciclica, perde di senso sia teorico che pratico (*). Resiste l’illusione, presso una consistentissima schiera di pompieri del sistema, che questa intrinseca instabilità del capitalismo possa essere mitigata dalle istituzioni che lo governano, dunque di poter portare la realtà anarchica e imprevedibile del ciclo capitalistico in un quadro d’intervento politico predefinito (e dalle sue opacità decisionali!). L’intrinseca instabilità, da sola, distrugge ogni velleità, e la prossima crisi finanziaria s’incaricherà di dimostrare, ancora una volta e di più che nel recente passato, quanto sia profonda la distanza tra teoria e conflitto sociale reale (oggi cavalcato dall’estrema destra, e dai tamburi di guerra, come sempre si conviene in simili circostanze).

(*) La disoccupazione, ad esempio, non è il prodotto di disfunzioni del mercato del lavoro, ma è legata all’esistenza di un’instabilità fondamentale nell’economia, che implica una tendenza spontanea a generare una domanda effettiva insufficiente a garantire decenti livelli di occupazione che i meccanismi di mercato non sono in grado di correggere. E ciò si paleserà sempre più man mano che procederà la rivoluzione tecnologica in atto. Quando la disoccupazione di massa toccherà le professioni di "cresta", allora suonerà la campana a martello della rivoluzione sociale, che avrà esiti che oggi non possiamo prevedere.

4 commenti:

  1. Sì, però non ti attardare a descrivere sempre i conati mortali del capitalismo. Dicci cosa succede dopo la rivoluzione.

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    1. Se cerchi imbonitori, devi cambiare osteria 😝

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    2. Ora si punta su Korac 👣 boni🤣

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    3. Cazzo, è un nazionale! Lussemburghese, d'accordo. Ma poteva essere del Liechtenstein, di Andorra, o, peggio, della Città del.Vaticano

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