“Offro tremila euro al mese per un aiuto cuoco ma non trovo nessuno”: e così il titolare del ristorante “Gentedimare” di Golfo Aranci, che lancia un appello attraverso i suoi social. Malgrado infatti uno stipendio di tutto rispetto, “quando qualcuno mi scrive, nella maggior parte dei casi neanche si presenta ma subito parte con la domanda ‘Che orari devo fare?’”, dice l’imprenditore.
“La paga di tremila euro, spiega, è per mezza giornata perché ha scelto di tenere aperto tutti i giorni ma solo la sera”.
Questi aiuti di cucina sono veramente degli scansafatiche. Giusto l’ennesimo grido di dolore dell’ennesimo imprenditore che si duole a mezzo stampa dell’ennesima difficoltà di trovare personale qualificato.
Prosegue il ristoratore: “Da inizio estate a oggi al “Gentedimare” sono passati e andati via circa quindici dipendenti. Divergenze su orari, carichi di lavoro, rapporto con i clienti. La verità, confida il manager [sic!], “è che questo mestiere non lo vuole più fare nessuno”.
Viene da pensare che se in un paio di mesi si sono licenziati ben una quindicina di lavoratori, forse qualche “divergenza” sorge non solo su orari, carichi di lavoro, ma magari anche, ipotizzo, su regolare retribuzione e contribuzione? Dato il livello e la centralità del locale, non credo. E per quanto riguarda i rapporti con la proprietà?
Leggo una recensione, per ciò che vale, perché altre cento recensioni potrebbero smentirla: “Il titolare piuttosto freddino, manca quel savoir faire che ti mette a tuo agio e ti fa passare una bella serata”. Per chi paga un’aragosta 320 euro un po’ più di empatia con il cliente dovrebbe essere d’obbligo. Ripeto, molti ne parlano bene, anche se poi lamentano che “manca una tovaglia di stoffa a tavola”. Ma che pretese.
C’è anche un certo Paolo T., che tra le altre doglianze (dev’esser un rompiscatole), scrive: “Quando è arrivato il momento di pagare, mi hanno dato una ricevuta non fiscale di default. Ho dovuto chiedere specificamente la ricevuta fiscale ufficiale, il che mi ha dato l’impressione che stiano cercando di essere un po’ troppo intelligenti su come gestiscono i pagamenti”. Si sarà trattato sicuramente di un disguido, ma che pignolo.
Leggo tra le righe delle successive dichiarazioni del proprietario: “Adesso in sala siamo a posto, mi servirebbe qualcuno bravo in cucina perché al momento sto dando una mano io”. Che cosa significa che sta dando una mano lui? A chi la sta dando questa benedetta mano da manager? Al cuoco, si direbbe. Oppure è lui, il proprietario, nelle funzioni di cuoco? Se è il proprietario che sta facendo le veci del “cuoco”, allora cerca non un aiuto cuoco, in realtà un cuoco professionista, uno “bravo” ma riconoscendogli solo la qualifica di aiuto cuoco.
Prendo per buono quanto afferma il “manager”: cerca uno “bravo” per fargli fare l’aiuto cuoco.
La questione dell’orario. Andrebbe precisato che in un ristorante di mare in cucina non si lavora solo nelle ore in cui il locale è aperto (e quanto al rispetto dell’orario ufficiale di chiusura non la bevo che chiude alle 11.30). La preparazione di piatti di pesce non richiede, ovviamente, lo stesso tempo di come cucinare una bistecca alla piastra.
Inoltre, in quel ristorante è previsto il “brunch”, dalle 12 alle 14.30. Domanda che mi brucia le labbra: siamo sicuri che l’aiuto cuoco non centri nulla, neanche di striscio, con i famosi “carichi di lavoro” e la preparazione del brunch? La questione tuttavia è un’altra: i turni di riposo. Se il ristorante è aperto tutti i giorni, com’è indicato nel sito, per il “qualcuno bravo in cucina” i turni di riposo sono previsti ed effettivamente goduti? Chiedo, non insinuo nulla.
Quel “qualcuno bravo in cucina”, che una volta chiamavano “sottocuoco”, il quale non è escluso possa effettivamente, ripeto, espletare saltuariamente o continuativamente le funzioni di cuoco (proprio perché è “bravo”), avrà bisogno di un alloggio, di una lisciviatura per i panni e altre cosucce che costano assai nel Golfo degli Aranci. Domanda di cui non conosco la risposta: chi paga, il ristoratore o l’aiuto cuoco?
Conclusione: quel “qualcuno bravo in cucina” non serve si trasferisca in Sardegna per guadagnare 3000 euro il mese per 2-3 mesi di lavoro. Il titolare del ristorante sarebbe disposto, dice, pagarlo anche 5000 euro. Questa è la remunerazione di un cuoco professionista di stagione. Qualcosa di più, qualcosa di meno. Mi rimane in mente una domanda: cerca effettivamente un cuoco o un aiuto cuoco?
Il nostro “imprenditore” dice di aver bisogno di un “aiuto cuoco”. Ad ogni modo, lo classifichi e lo retribuisca per la mansione che effettivamente svolge. Soprattutto conto sul fatto che lo tratti per quello che è: una persona e un lavoratore.
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