Questo post fa seguito a quest’altro.
In teoria, la sinagoga consente il divorzio (noto come “gerushin”) a tutti, per un numero illimitato di volte. A differenza del passato, dove il divorzio era principalmente una decisione del marito, oggi si richiede il consenso di entrambi i coniugi per la validità del divorzio.
La formula è semplice: l’uomo deve consegnare quello che viene chiamato il “ghet” (documento di ripudio) alla donna, che così riacquista la sua libertà. Certo, la procedura è umiliante per la donna, poiché la formula stabilisce che l’ex marito “la restituisca ad altri uomini”; ma almeno il divorzio esiste.
Il ghet è riconosciuto nel diritto ebraico come lo strumento legale per il divorzio. La procedura del ghet è fondamentale per garantire che il divorzio sia valido secondo la legge ebraica e che la donna non sia lasciata in una condizione di “aguna” (una donna legalmente sposata ma non divorziata).
Non è facile per un ebreo che vive al di fuori di Israele rifiutarsi di concedere il “ghet” alla moglie, ma l’uguaglianza tra i sessi è particolarmente compromessa dal fatto che l’ebraismo conserva memorie poligame, anche se questa pratica è stata abolita nell’XI secolo. D’altra parte, non c’è traccia di poliandria. Pertanto, è molto più grave per una donna risposarsi senza aver divorziato (religiosamente), che per un uomo.
Se una donna non divorziata ha figli con un altro uomo, saranno degli abominevoli mamzerim, dei “bastardi” che non avranno altra scelta di vivere ai margini della comunità. E se pensate che queste considerazioni siano obsolete da secoli, o che si applichino solo agli ebrei ultraortodossi, vi sbagliate di grosso.
Facciamo un esempio concreto, quello di una donna che non può ottenere il divorzio religioso perché il marito intende rimanere sposato. Un piccolo ma importante dettaglio: la donna si è convertita all’ebraismo.
A prima vista, la storia di questa donna è estremamente ordinaria: si sposa, ma il matrimonio va rapidamente in frantumi e presto decidono di divorziare. Per la legge civile, la questione è una formalità. Nel giro di poco tempo, i coniugi non sono più sposati. Ma per i rabbini, le cose sono ben diverse. La donna deve completare la procedura religiosa e ottenere il “ghet”, altrimenti, se non segue correttamente la procedura, i suoi (possibili futuri) figli saranno mamzerim e lei non potrà risposarsi in sinagoga.
Cosa c’è che non va? Qui è dove dovremo smettere di essere moderni e tornare all’epoca in cui l’unica legge era quella della Torah, in altre parole un’avventura teologico-medievale. Questo perché il marito da cui la donna vorrebbe divorziare, ha dovuto presentare il certificato di matrimonio rabbinico dei suoi genitori, in ebraico la “Ketouba”. Ora, su questa “Ketouba” si dice che è “figlio di un Cohen” (il nome viene scritto anche con la kappa). Per chiunque sarebbe un dettaglio, ma per gli ebrei significa molto.
Essere un “Cohen”, non significa solo avere lo stesso cognome di un Daniele o di un Elia, ma significa anche, e soprattutto, nell’ebraismo, essere discendente di sacerdoti e quindi avere diritti e doveri. Non sei più un ebreo come tutti gli altri, in particolare un Cohen non ha il diritto di sposare una donna divorziata o convertita.
Ma la donna, nel caso specifico che sto raccontando, è una convertita! Ecco perché, per sposarsi, i due piccioncini hanno dovuto chiedere ai rabbini di indagare per assicurarsi che il Cohen non fosse tale e che avesse il diritto di sposare una donna convertita. Solo che per coronare la loro storia d’amore, il marito aveva presentato un certificato di matrimonio dei propri genitori falso, ossia da dove risultava che lui non era “figlio di un Cohen”.
Quando la moglie, convertita all’ebraismo, chiede il divorzio, il marito rivela che il certificato di matrimonio era falso e che lui pretende di essere riconosciuto come il “figlio di un Cohen”. La questione diventa kafkiana davanti a un tribunale rabbinico. Come si può dimostrare che un uomo sposato, senza essere un Cohen, si ritrova tale al momento del divorzio?
E non vuole concedergli il divorzio. Va detto che in Israele non esiste il matrimonio civile e se l’uomo rifiuta alla moglie il “ghet”, finisce al gabbio. Non così altrove. Ed infatti questa è una storia vera accaduta in Europa.
Quindi la storia cambia, diventa uno scontro tra tradizione ebraica e legge civile. La legge civile può anche volere che le donne siano libere e uguali agli uomini, ma la religione le tiene sotto tutela e accetta che un marito possa ricattare la moglie per impedirle di riconquistare la sua libertà. Mettiamo un giudice dietro ogni rabbino?
Girando a caso per varie TV del mondo senza capirci niente di quello che dicevano - come quando da piccolo non sapevo leggere e sfogliavo le riviste - ho visto scene di Gaza che sulle nostre TV non si vedono. Alcune tremende. Non diverse da quelle dei documentari girati quando furono scoperti i campi di concentramento e sterminio. Dico questo per aggiungere che mi sono perso poi nel divorzio ebraico, anche se ora avevo il vantaggio della lingua e tu sai dire le cose. Perso con sollievo da quelle imagini tragiche, dico. Tanto che nei momenti di distrazione dalla lettura delle complicazioni divorziste ebraiche un giullarino mi si è presentato coi sonaglini e due domande: il rabbino è il marito della piccola rabbia? (non gran che, ma tant'è) - e poi: ti sei accorto che ora leggendo o sentendo "genocidio degli Ebrei" i significati sono diventati due? (questa era migliore, le parole hanno un potere sui fatti ma a volte i fatti hanno un potere sulle parole).
RispondiEliminaPenso vi sia poco da sorridere su questa cosa
EliminaMolto interessante.
RispondiEliminaPietro
grazie, Pietro
EliminaUn tempo, quando ancora non era apparsa la razza "homo" sedicente "sapiens", c'era meno burocrazia e le cose erano più semplici. Zeus si prese sette mogli, una meglio dell'altra, senza divorziare: Metis, Temi, Eurinome, Demetra, Mnemosine, Leto, Era.
RispondiEliminaE l'ultima era pure la dea del matrimonio e della famiglia.
Poliandria e poligamia potrebbero essere una soluzione problema demografico? Problema demografico è in gran parte dovuto all'attuale organizzare sociale per cui i vecchi sono sottoposti regime di obsolescenza programmata
EliminaAh, i ricordi di gioventù. Quando in Italia per sciogliere il matrimonio ci voleva il permesso del prete. E la storica campagna referendaria del 1974, l'ultima occasione nella quale essere laici ha voluto anche dire essere anticlericali. Con qualche dubbio sulla laicità del PCI berlingueriano.
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