giovedì 17 luglio 2025

L'inganno

 

Nei primi anni Sessanta, d’estate mi portavano in montagna. Quasi una punizione. Allora come oggi, tra i monti, la sera mi prende una insopprimibile e sfacciatissima malinconia. Ricordo che dopo cena mi mettevo alla finestra, seguivo le luci dei fari delle automobili cercando d’indovinarne il loro percorso nell’oscurità. A tratti le luci sparivano, inghiottite dai tornanti, poi riapparivano. Non vorrei apparire troppo dolce con questi ricordi adolescenziali, del resto non posso scrivere sempre di Gaza e di Ucraina ... Scrivo per passione, non per trasmettere sensazioni di sgomento e dolore.

Tra le altre amene occupazioni di villeggianti, si andava a raccogliere funghi, poco dopo l’alba, nell’erba umida, tra lo sterco di mucca su cui crescevano piccoli funghi, forse psicotropi (non provateci). I miceti abbondavano: il numero di raccoglitori metodici era abbastanza esiguo, mentre oggi per il semplice dilettante non c’è gioco.

I funghi che mi affascinavano di più erano, manco a dirlo, quelli velenosi e dal nome suggestivo. In cima alla gerarchia del male il porcino di Satana, con il suo grosso stipite rosso, poi l’amanita muscaria, per la sua bellezza fiabesca, e infine il fungo della morte, l’amanita falloide, famosa per la sua discrezione assassina, perché simile ad altri funghi invece edibili.

L’imperatore Claudio pare sia morto avvelenato dai funghi che gli avevano servito. Qualche giorno fa, in Australia, una cinquantenne paffutella è stata giudicata colpevole per triplice omicidio, per aver avvelenato alcuni parenti con dei funghi. I suoi ex suoceri, la sua ex zia e il suo zio acquisito. Solo lo zio, un pastore, sopravvisse. Trascorse due mesi in ospedale e dovette la sua salvezza solo a un trapianto di fegato.

Erin Patterson, questo il nome della Messalina australiana, sembrava avere un buon rapporto con la famiglia del suo ex marito, nonostante avesse scritto in un’email di non sopportarli più (ma le email, come gli SMS, spesso hanno senso solo nel momento in cui vengono scritte). In ogni caso, li aveva invitati tutti per un pranzo del fine settimana. L’ex marito, anche lui invitato, non si presentò.

Erin aveva cucinato un filetto alla Wellington. Non conosco nei dettagli la sua ricetta. Non è chiaro perché questo piatto, di origine francese, prenda il nome dal vincitore di Waterloo, il quale consumava semplicemente un filetto in crosta. Ciò che leggo a tale riguardo in Wikipedia e altrove non mi convince.

In genere viene preparato in modo banale un filetto di manzo in crosta con interstizio di una salsa (con senape!). La mia ricetta è diversa: filetto di manzo tritato a coltello, mescolato con un ripieno di foie gras e salsa duxelles (in pratica finferli o chiodini saltati al burro e aromatizzati con scalogno e altre erbe), il tutto in un pirottino di pasta sfoglia. Accompagnare con un rosso morbido e un sorriso.

Il tracciamento dei cellulari di Erin Patterson (ne aveva diversi) ha permesso di rintracciarne gli spostamenti fino alla zona in cui crescono gli agarichi muscari (le amanite). Il fatto che avesse resettato i dispositivi non giocava a suo favore. Né che avesse un essiccatore contenente tracce di funghi e che stesse cercando di sbarazzarsene. Né che, durante il pasto, si fosse servita su un piatto separato dagli altri. La vicenda ovviamente ha affascinato l’Australia. Sociologi e psicologi si saranno divertiti un mondo e guadagnato qualche dollaro.

Anche i cuochi avevano qualcosa da dire. Si sparlava di Shakespeare (i funghi di mezzanotte), di Agatha Christie. Quest’ultima era stata infermiera e assistente di uno speziale durante la prima guerra mondiale, dunque qualcosa di veleni ne sapeva). In Sento i pollici che prudono, uno stufato di funghi avvelenati è un elemento chiave, e in Il segreto di Chimneys, è di scena una zuppa di salvia e funghi avvelenata.

A me viene in mente un film scritto e diretto da Sofia Coppola che ho visto un po’ di tempo fa: L’inganno. È il remake del film di Don Siegel con Clint Eastwood (1971). Guerra civile americana, un soldato nordista ferito viene accolto e curato in un collegio per giovani ragazze del Sud. A poco a poco, ne seduce diverse dal suo letto, dorme con loro, provocando tensione, gelosia, odio. Il film è deliziosamente misantropo e, bisogna ammetterlo, misogino: se il soldato è un seduttore patetico e cinico, le ragazze sono oche bianche e puttane più o meno eccitate. Finiscono per amputargli una gamba e avvelenarlo con i funghi, poi lo seppelliscono, con discrezione.

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