La Seconda guerra mondiale fu combattuta per determinare quali delle maggiori potenze avrebbero assunto il predominio mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica. La Guerra Fredda ha sancito la vittoria degli Stati Uniti d’America e la sconfitta dell’URSS. La Terza guerra mondiale, in gestazione, sarà combattuta dagli Stati Uniti e dai suoi alleati per difendere i risultati ottenuti nel 1945 e 1989.
Sul piano dei rapporti economici capitalistici, quello escogitato sul finire del secondo conflitto mondiale era un sistema basato sul concetto che se le nazioni avessero commerciato liberamente beni e servizi, non si sarebbero fatte guerra tra loro. Un sistema che impediva che i conflitti economici si trasformassero in guerre. La funzione del dollaro quale valuta globale impediva la formazione di blocchi.
Va detto, a scanso di equivoci: l’idea che il libero scambio sia l’antidoto alla guerra è sempre stata una finzione, come dimostra il fatto che prima della prima guerra mondiale non esistevano due paesi più legati tra loro dal commercio di Germania e Gran Bretagna.
I tempi sono cambiati, l’ordine economico internazionale del dopoguerra è in una crisi profonda e senza ritorno. Ciò che è accaduto in questi ultimi lustri e accadrà nei prossimi, non dipende dal temperamento o dalle inclinazioni politiche di chi siede alla Casa Bianca, bensì dallo spostamento della bilancia di potenza. Gli Stati Uniti non hanno alternative: devono superare il loro prolungato declino e riaffermare il proprio dominio globale.
Le mattane trumpiane riflettono processi oggettivi. Il fatto che la comunicazione dei dazi avvenga con una semplice “lettera”, ci dà l’idea, a livello soggettivo, dell’impazzimento e della rozzezza alle quali si è giunti nei rapporti internazionali (e non solo).
La politica statunitense è l’espressione della sua crisi economica e sociale, che ha radici profonde. Per certi aspetti ricalca la crisi dell’Impero romano. Il declino produttivo, con la sua trasformazione in epicentro di speculazione e parassitismo, e la modificazione qualitativa del flusso immigratorio.
In forza del ruolo globale del dollaro (il suo “privilegio esorbitante”), gli Stati Uniti hanno potuto accumulare un debito federale sempre maggiore, che ammonta a 36.000 miliardi di dollari e sta aumentando a un ritmo “insostenibile”, e con livelli di debito senza precedenti nel settore privato. Il risultato è che gli Stati Uniti sono il Paese più indebitato.
Non avendo una soluzione politica ed economica al proprio declino, l’imperialismo statunitense ricorre alla potenza militare e al ricatto finanziario e commerciale per mantenere la sua posizione, un processo che è segnato dalla messa in mora di ciò che resta della democrazia e dalla creazione di un regime sempre più autoritario.
L’impero cinese dimostra di essere in grado di tener testa a quello americano, ed anzi acquisisce sempre più quote di mercato e dimensione espansiva. È diventato la principale potenza manifatturiera al mondo, utilizzando le tecniche più avanzate e facendo progressi nel campo cruciale dell’intelligenza artificiale.
La Cina rappresenta una minaccia esistenziale per l’egemonia degli Stati Uniti, dunque per il loro modello di rendita a spese altrui. Ed è per questo motivo che prima o poi (ma non troppo in là), si arriverà alla resa dei conti. Tuttavia, l’iniziativa sui dazi, la “trattativa”, allude esplicitamente al fatto che i Paesi che desiderano un accordo devono allinearsi agli interessi di “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti (per la UE c’è tempo fino al 1° agosto !). Questi interessi non sono solo la repressione della Cina, per quanto importante, ma il predominio degli Stati Uniti in ogni parte del mondo.
La mia curiosità personale consiste nello stare a vedere quali saranno le risposte e le proposte concrete della UE, del governo italiano (!) e, per non farmi mancare nulla, quelle della sedicente “opposizione” (!!!).
Soluzione starebbe nel buttare giù iva ma nessuno lo propone
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