martedì 28 febbraio 2023

"Una guerra diversa"

 

Sul New York Times si può leggere un editoriale interessante da diversi punti di vista a firma di Ross Eden Babbage. Non proprio un signor nessuno. Titolo: Una guerra con la Cina sarebbe diversa da qualsiasi cosa gli americani abbiano affrontato prima.

Babbage è un analista strategico di carriera e pianificatore militare, che ha lavorato per diverse amministrazioni statunitensi e anche per il Dipartimento della Difesa australiano, ha studiato per decenni come potrebbe iniziare una guerra, come si svolgerebbero le operazioni militari e non militari che la Cina è pronta a condurre. Afferma di essere “convinto che le sfide che gli Stati Uniti devono affrontare siano serie e che i suoi cittadini debbano diventarne maggiormente consapevoli”.

Consapevoli di che cosa? Della inevitabilità della guerra con la Cina e delle modalità ed effetti diversi che tale guerra avrebbe per i cittadini degli Stati Uniti. Scrive: «Una grande guerra nell’Indo-Pacifico è più probabile ora che in qualsiasi altro momento dalla seconda guerra mondiale». In buona sostanza sempre più i media statunitensi stanno preparando l’opinione pubblica per il prossimo conflitto bellico.

Scrive Ross: «I leader di Washington devono anche evitare di inciampare con leggerezza in una guerra con la Cina perché sarebbe diversa da qualsiasi cosa mai affrontata dagli americani. I cittadini statunitensi si sono abituati a mandare i loro militari a combattere lontano da casa. Ma la Cina è un diverso tipo di nemico: una potenza militare, economica e tecnologica capace di far sentire la guerra nella patria americana».

Per quale motivo gli Stati Uniti dovrebbero fare la guerra alla Cina? «Hanno in gioco – scrive Ross – interessi strategici vitali». Spiega Ross: «Una riuscita invasione cinese di Taiwan creerebbe un buco nella catena di difesa degli Stati Uniti e degli alleati nella regione, minando seriamente la posizione strategica dell’America nel Pacifico occidentale e probabilmente taglierebbe l’accesso degli Stati Uniti ai semiconduttori leader a livello mondiale e ad altri componenti critici fabbricati in Taiwan. In qualità di presidente, Joe Biden ha dichiarato più volte che avrebbe difeso Taiwan».

Dove e quando mai Washington non avrebbe “interessi vitali” sul pianeta e nell’ambito del nostro sistema solare? Quanto ai semiconduttori, ho già dimostrato che la più grande multinazionale di semiconduttori taiwanese ha locato la sua più grande fabbrica in territorio della Repubblica popolare di Cina. Pertanto il conflitto con la Cina ha ben altri motivi.

Sul piano strettamente militare, Ross avverte: «Lo scenario militare è scoraggiante: la Cina lancerebbe probabilmente un fulmineo attacco aereo, marittimo e informatico per prendere il controllo di obiettivi strategici chiave su Taiwan entro poche ore, prima che gli Stati Uniti e i suoi alleati possano intervenire».

E veniamo a un’altra grossa bugia di Ross: «La Cina ha anche più di 1.350 missili balistici e da crociera pronti a colpire le forze statunitensi e alleate in Giappone, Corea del Sud, Filippine e territori controllati dagli americani nel Pacifico occidentale. Poi c’è l’assoluta difficoltà che gli Stati Uniti dovrebbero affrontare nel condurre una guerra per migliaia di miglia attraverso il Pacifico contro un avversario che ha la più grande marina del mondo e la più grande forza aerea dell’Asia».

La Cina possiede un ricco arsenale missilistico, ma a medio e corto raggio, e in gran parte antiquato. Soprattutto non ha la più grande marina militare del mondo. Come tonnellaggio e qualità del naviglio di superficie e subacqueo è incomparabilmente inferiore alla marina militare degli Stati Uniti.

Inoltre, la United States Forces Japan (USFJ) stanziata in Giappone può contare, tra l’altro, sulla Yokota Air Base, circa 30 km a ovest di Tokyo. La base dalla U.S. Navy di Yokosuka, sede del comando della Settima Flotta, è la più grande base navale americana al di fuori del territorio degli Stati Uniti. Quindi la famosa base aerea di Kadena, situata nell’isola di Okinawa, vale a dire l’aeroporto militare principale degli Stati Uniti nell’area del Pacifico, sede di molti gruppi aerei della U.S. Air Force, tra cui il 18th Air Wing, il maggiore di tutta l’aeronautica degli Stati Uniti. Poi la Misawa Air Base, sempre in Giappone, sede anche di truppe di terra e di navi militari, sito di sorveglianza spaziale e una delle più grandi stazioni terrestri di ECHELON.

È notizia di questo mese che le Filippine hanno “offerto” altre quattro basi militari agli Stati Uniti nell’arcipelago, che vanno ad aggiungersi alle cinque dell’accordo del 2014 e a integrare il cosiddetto “Sistema di San Francisco”, un’estesa rete militare americana nel Pacifico. Tutto ciò senza contare le forze statunitensi dispiegate nella penisola coreana (la più grande base delle forze di terra all’estero: Camp Humphreys), oppure la Andersen Air Force Base, situata nell’isola di Guam, ove sono posizionati missili cruise e bombardieri B-51 e B-52. E ancora le basi militari e d’intelligence in Austarlia e Nuova Zelanda, tra le quali la più importante è quella di Pine Gap nei pressi di Alice Spring, la più grande base satellitare USA all’estero.

Le diverse basi USA nel Pacifico permettono a Washington di schierare rapidamente forze militari di ogni tipo per fronteggiare eventuali minacce poste da Corea del Nord e Cina. Esse ospitano i sistemi antibalistici statunitensi, costituendo quindi un elemento fondamentale dello scudo missilistico USA. In sintesi: in geopolitica non esiste niente di più americano delle basi militari degli Stati Uniti all’estero. La strategia di Washington consiste nell’impedire l’emersione di rivali assumendo una postura militare avanzata inibendo agli avversari di uscire di casa.

Leggiamo cosa dice ancora questo specialista dell’intossicazione mediatica: «Negli ultimi due decenni, la Cina ha costruito formidabili capacità di guerra politica e di guerra informatica progettate per penetrare, manipolare e distruggere gli Stati Uniti e i governi alleati, le organizzazioni dei media, le imprese e la società civile. Se dovesse scoppiare una guerra, ci si può aspettare che la Cina lo utilizzi per interrompere le comunicazioni e diffondere notizie false e altra disinformazione». Completa il quadro così: «Queste operazioni sarebbero molto probabilmente accompagnate da offensive informatiche per interrompere l’elettricità, il gas, l’acqua, i trasporti, l’assistenza sanitaria e altri servizi pubblici».

Non c’è dubbio che la Cina risponderebbe anche sul piano della guerra informatica, ma anche in questo settore la potenza degli Stati Uniti è incomparabile, posto che controlla le centrali e gli snodi della comunicazione informatica mondiale. Insomma, non s’impiega un tipo d’arma quando si è consapevoli che l’avversario ne domina l’impiego.

Che la Cina abbia obiettivi espansivi ed egemonici sotto il profilo economico e commerciale è fuori di dubbio, e ciò è anche nella natura di ogni grande potenza. Che invece abbia anche intenzione di “distruggere gli Stati Uniti e i governi alleati, le organizzazioni dei media, le imprese e la società civile”, è quantomeno esagerato in considerazione dei rapporti di forza attuali. Più realistico è dire che sono un competitore economico di prima grandezza con il quale fare i conti. Washington questi conti li vuole fare alla sua maniera e al più presto. Caricandone i costi maggiori preferibilmente ai suoi alleati.

Scrive Ross con più realismo: «Le forniture statunitensi di molti prodotti potrebbero presto esaurirsi, paralizzando una vasta gamma di attività. Potrebbero essere necessari mesi per ripristinare il commercio e sarebbe necessario il razionamento di emergenza di alcuni articoli. L'inflazione e la disoccupazione aumenterebbero, specialmente nel periodo in cui l'economia viene riproposta per lo sforzo bellico, il che potrebbe includere alcune case automobilistiche che passano alla costruzione di aerei o aziende di trasformazione alimentare che si convertono alla produzione di farmaci prioritari. Le borse negli Stati Uniti e in altri paesi potrebbero sospendere temporaneamente le negoziazioni a causa delle enormi incertezze economiche».

Come dicevo e dico da tempo, stanno preparando psicologicamente l’opinione pubblica ad affrontare le difficoltà e i disagi inevitabili di una guerra di ampio scacchiere, ossia una guerra mondiale.

11 commenti:

  1. Assolutamente vero! Tra 5 o 10 anni. Ma credo che si siano troppo estesi militarmente e hanno tre o 4 fronti da sostenere: Ucraina, medio oriente, Iran e Cina. Sono troppi anche per il colosso USA. Il dato certo che andiamo verso una guerra che alla fine sancira' il crollo definitivo americano.

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    1. 1) non sappiamo quali forme assumerà il conflitto, dunque se ci saranno dei vincitori; 2) gli Usa non sono soli, l'Europa e il Giappone, la Corea e altri Paesi si stanno riarmando come mai prima d'ora.

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  2. Dopo Hiroshima e Nagasaki, nell'agosto 1945, Einstein affranto disse «Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre. In ogni caso, se lo avessi saputo, avrei fatto l'orologiaio». Se resterà qualcuno!

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    1. in rete si trovano tante frasi a lui attribuite, che tuttavia non ha mai pronunciato.
      non esiste alcun collegamento fra la sua lettera a Roosevelt e l’avvio del Progetto Manhattan, al quale si cominciò a pensare solo due anni dopo, in circostanze ben diverse, e di cui Einstein fu sempre all’oscuro.
      neanche la famosa formula E=mc2 c'entra direttamente con l'atomica: descrive in via del tutto generale solo il bilancio energetico di questi processi, non il loro meccanismo, né il modo in cui si svolgono (il problema di indurre la radioattività negli elementi più pesanti e di sfruttare così l’energia interna degli atomi, fu risolto da Theodore Holstein nell’anno 1933).

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  3. La citazione, erroneamente attribuita ad Albert Einstein e talvolta anche a Omar Bradley, apparve per la prima volta nel settembre del 1946 in un articolo di Walter Winchell. In tale articolo venivano riportate le parole di un tenente, che interrogato sulle possibili armi di una futura guerra mondiale, rispose: «I dunno, but in the war after the next war, sure as Hell, they'll be using spears!» («Non lo so, ma nella guerra dopo la prossima, sicuro come l'inferno, useranno le lance!»). La frase venne citata in diversi contesti, talvolta con qualche variazione, soprattutto in merito al tipo di arma utilizzata in un'ipotetica quarta guerra mondiale. Ad esempio Dean Arthur L. Beeley, direttore dell'University of Utah's Institute of World Affairs, nel giugno 1947 affermò che probabilmente una quarta guerra mondiale si sarebbe combattuta con «archi e frecce» («Unless the free people of the earth unite to avert World War III, it is probable — as some sage recently prophesied — that World War IV will be fought with bows and arrows.»). Nel giugno del 1948, due anni dopo la prima apparizione della citazione, in un articolo su Einstein pubblicato su The Rotarian si affermava che lo scienziato, interrogato sulle armi potenzialmente utilizzabili nella Terza guerra mondiale, avesse risposto: «I don't know. But I can tell you what they'll use in the fourth. They'll use rocks!» («Non lo so, ma posso dirvi cosa useranno nella quarta. Useranno le pietre!»). Anche nell'articolo Einstein at 70, pubblicato sul periodico Liberal Judaism nel'aprile 1949 venne attribuita ad Einstein una citazione molto simile a quella riportata su The Rotarian.
    sta di fatto che esplicita bene la situazione attuale.

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  4. LA RIVOLUZIONE MONDIALE, UNICA SOLUZIONE!

    Sono i proletari che hanno in mano le leve delle società, hanno dalla loro il numero e la collocazione all'interno dei processi produttivi. Il simbolico 99% ha da perdere solo le proprie catene e ha un mondo da conquistare, il parassitario sistema dell'1% lotta invece per conservare il sistema del lavoro salariato. Non c'è nulla da mediare tra queste due forze, e perciò "l'unica soluzione è la rivoluzione mondiale".

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  5. Intanto e casualmente prende forza l'ipotesi dell'origine del cov19 nel laboratorio cinese. E poi dicono che la scienza è neutrale.
    Pietro

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  6. "Dal 2014 gli Stati Uniti armano e finanziano pesantemente Kiev con l’obiettivo di espandere la Nato e indebolire la Russia. Le guerre per procura americane di solito si protraggono per anni e decenni, lasciandosi dietro macerie nei Paesi teatro della battaglia, come oggi l’Ucraina.

    Kiev va incontro a un futuro disastroso, se questa guerra per procura non finirà presto. Per evitare un disastro a lungo termine deve guardare all’esperienza terribile dell’Afghanistan o, più indietro nel tempo, a quella delle guerre per procura portate avanti dagli Usa in Vietnam, Cambogia, Laos, Iraq, Siria e Libia.

    In Ucraina la guerra per procura è iniziata nove anni fa, quando l’Amministrazione statunitense ha appoggiato la destituzione del presidente Viktor Yanukovich. Il peccato di Yanukovich agli occhi degli americani era di voler mantenere Kiev neutrale, scelta che metteva i bastoni tra le ruote al progetto di espansione della Nato fino all’Ucraina (e alla Georgia). L’obiettivo degli Stati Uniti era circondare la Russia di Paesi Nato nella regione del Mar Nero: per raggiungerlo, hanno armato e finanziato massicciamente l’Ucraina dal 2014 in poi.

    I fautori di questo disegno allora e oggi sono rimasti gli stessi. Basti pensare che nel 2014 la figura di riferimento per l’Ucraina a Washington era la vicesegretaria di Stato, Victoria Nuland, che oggi è sottosegretaria di Stato. A stretto contatto con Nuland lavorava Jake Sullivan, oggi Consigliere per la Sicurezza nazionale ma che nel 2014 svolgeva le stesse mansioni per Joe Biden come membro dello staff del vicepresidente.

    Gli Stati Uniti hanno sempre detto che la Nato è un’alleanza difensiva. Eppure, nel 1999 ha bombardato per 78 giorni la Serbia, alleata della Russia, per separare il Kosovo dopo che gli Usa avevano creato una gigantesca base militare nella regione. In Libia, nel 2011, le forze della Nato hanno rovesciato l’amico dei russi Muammar Gheddafi scatenando un decennio di caos. Di certo la Russia non accetterà mai la presenza della Nato in Ucraina.

    A fine 2021 il presidente russo Vladimir Putin aveva fatto tre richieste agli Stati Uniti: che l’Ucraina rimanesse neutrale e fuori dalla Nato; che la Crimea restasse russa e che il Donbass diventasse autonomo conformemente al Protocollo di Minsk II.

    Ma il team Biden-Sullivan-Nuland, otto anni dopo aver appoggiato la destituzione di Yanukovich, gli ha dato il benservito e ha rifiutato di aprire un negoziato sull’allargamento della Nato. Finché nel febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina."

    (Jeffrey Sachs, estratto da un articolo del Fatto Quotidiano di oggi)

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