“Fu Mussolini a introdurre la pensione di reversibilità nel caso morissero lui o lei. La previdenza sociale l’ha portata Mussolini, non l’hanno portata i marziani” (Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, intervista radiofonica del 16 febbraio 2016).
Ha ragione Salvini, la previdenza sociale non l’hanno portata i marziani. Salvini e quelli come lui non c’entrano nulla con l’antenato dell’Inps, cioè la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (regio decreto n. 376 del 1907).
Anche in Francia, in questi giorni di protesta contro la riforma delle pensioni, è nata una polemica abbastanza simile, ma di questo dirò alla fine, intanto un po’ di ricognizione sui casi nostri.
Prima ancora del citato regio decreto del 1907, una previdenza libera si ebbe con la legge 28 luglio 1861, n. 360 che istituì la Cassa invalidi per la marina mercantile, poi con la legge 8 luglio 1883, n. 1473, fu fondata una cassa di assicurazioni per gl’infortunî degli operai sul lavoro.
Portava un nome francese, dell’Alta Savoia, il governo che nel 1898 introdusse l’obbligo assicurativo a favore degli operai contro gl’infortunî a carico dell’impresa (legge 17 marzo 1898, n. 80). Tre anni prima del governo di Luigi Pelloux, ossia nel 1895, un embrione di previdenza sociale era stato istituito del quarto governo Crispi a favore dei dipendenti statali, “dopo un dibattito pluridecennale”.
Altri provvedimenti in materia previdenziale seguirono nei decenni successivi. Nel 1919, con il governo di Vittorio Emanuele Orlando, il sistema venne “imposto a tutte le aziende come obbligatorio” (decreto legge 21 aprile 1919, n. 603,). Il decreto legge, più volte ripresentato per la conversione in legge, fu infine convertito in legge nel 1923 dal governo Mussolini. Insomma, la solita lunga trafila parlamentare: d.l. 27 marzo 1919, n. 638; l. 20 marzo 1921, n. 296; regio decreto 2 ottobre 1921, n. 1366, eccetera.
Un’altra forma di previdenza fu quella della legge 17 luglio 1910, n. 520, che istituiva la Cassa nazionale di maternità (regio decreto 24 febbraio 1923, n. 2157, e modif. d.l. 27 marzo 1933, n. 371), per sussidiare le operaie contemplate dalla legge 10 novembre 1907, n. 818, sul lavoro delle donne e dei fanciulli, e in occasioni di parto e di aborto.
Nel 1933 la Cassa divenne Istituto nazionale fascista della previdenza sociale (INFPS), continuando a essere regolato dalla legge del 1907. Nel 1939 furono varati i primi interventi a sostegno del reddito (assicurazione contro la disoccupazione, assegni familiari, integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto).
Caduto il fascismo, ossia già nell’agosto 1943, si provvide a togliere la “F” e la sigla dell’ente previdenziale divenne INPS. Di solito le riforme si fanno così, cambiando nome alle cose, in ossequi alla famosa frase gattopardesca del Tomasi.
In Germania il primo sistema globale di previdenza sociale fu attuato su iniziativa del cancelliere Bismarck, quindi nella seconda metà dell’Ottocento. Anche in Francia il percorso verso la previdenza sociale obbligatoria fu molto simile. Con la legge del 5 aprile 1910 fu istituito il primo sistema pensionistico interprofessionale a favore dei lavoratori a bassa retribuzione dei settori industriale e agricolo. Con la legge del 30 aprile 1930, fu istituito il primo sistema completo ed obbligatorio di previdenza sociale (copertura dei rischi di malattia, maternità, invalidità, vecchiaia, morte) a favore dei lavoratori dipendenti dell’industria e del commercio. Due anni dopo fu la volta degli assegni famigliari.
Negli Stati Uniti, il Social Security Act fu firmato dal presidente Roosevelt il 14 agosto 1935, che però non prevedeva ancora l’invalidità e le prestazioni mediche. I contributi sarebbero stati riscossi per la prima volta nel 1937 e i benefici mensili sarebbero iniziati nel 1942 (in base agli emendamenti approvati nel 1939, i pagamenti furono anticipati al 1940).
Nel 1927, per la prima volta, furono introdotte in URSS le pensioni di vecchiaia. Nel 1939, oltre alle pensioni, gli interventi si concentrarono sull’organizzazione dei servizi sociali per i pensionati, sulle protesi e su altri tipi di assistenza sociale. Non troppo solleciti questi bolscevichi.
Insomma, il fascismo non scoperse nulla di nuovo, anche se va dato atto che produsse una lunga serie di norme ordinative e regolative in tal senso. I tempi erano maturi, e a livello internazionale ogni governo ci mise qualcosa e la previdenza sociale quale la conosciamo oggi piano piano diventava realtà, specie sotto l’incalzare della Grande Depressione.
Come dicevo all’inizio, in Francia è in atto una polemica innescata da un editorialista ultraliberale, il quale ha scritto che il sistema pensionistico a ripartizione è stato istituito dalla legge del 14 marzo 1941. Apriti cielo: una legge del 1941 è una legge di Vichy.
Infatti, la Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 1941 pubblicava la legge relativa all’“assegno ai vecchi salariati”, l’AVTS, firmata dal suo ispiratore, il segretario di Stato al Lavoro René Belin, dall’ammiraglio Darlan, vicepresidente del Consiglio, dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Yves Bouthillier, dal segretario di Stato alla Produzione industriale, Pierre Pucheu, e dal suo omologo dell’agricoltura, Pierre Caziot (costui riuscì spesso a mantenere gli ebrei in posizioni di rilievo nell’agricoltura a dispetto delle ordinanze di Xavie Vallat, commissario generale per le questioni ebraiche).
La vicenda personale e politica dell’amm. Darlan meriterebbe di essere raccontata in dettaglio, ma non è il caso di allungare troppo il brodo in questi tempi avari un po’ di tutto. Quanto a Bouthillier, egli fu tra i firmatari delle leggi sullo status degli ebrei dell’ottobre 1940 e del giugno 1941. Si considerò sempre un “tecnico” e non un politico (per i quali provava disprezzo). Per dire del tipo di reazionario: nel 1947 non formulerà alcun mea culpa e arriverà a rimpiangere l’Europa tedesca; nella sua autobiografia, ritiene che l’Inghilterra avesse mostrato un “cieco egoismo” e “implacabile fanatismo” continuando la guerra.
Nel 1947 Bouthillier fu condannato a tre anni di reclusione (et c’est tout). Successivamente, fu direttore della Banca Commerciale di Parigi (1951), e presidente della Compagnie charentaise des transports maritimes a La Flotte-en-Ré, nonché sindaco di Saint-Martin-de-Ré, sua città natale, dal 1958 al 1972. Per dire dei “vincitori” francesi (è poco conosciuta in generale la storia francese di quegli anni).
Quanto a René Belin, non fu lui a introdurre la previdenza sociale, ma fu l’ispiratore nel 1941 della sua modificazione. Si passò dal sistema a capitalizzazione a quello a ripartizione (come abbiamo noi oggi). Con una novità però: il nuovo sistema aveva una dotazione limitata e non erano previsti nuovi finanziamenti. In pratica si basava sulle riserve accumulate con la legge del 1930: il limite massimo pensionistico fu stabilito di 9.000 franchi annui per una persona sola e di 11.000 per una famiglia, somme che a quel tempo erano una miseria, un tetto molto inferiore a quanto previsto dalla legge del 1930 (15.000 franchi), che era già molto basso (nel 1942 un’ora di lavoro era retribuita mediamente 9,25 fr. per gli specializzati e 7,50 fr. per i generici; “un impiegato che riceveva, prima del 1939, 18.000 franchi di salario e non pagava imposte per la sua situazione familiare, riceveva, nel 1943, 27.000 franchi e pagava 2.000 fr. di tasse”, scriveva Raymond Rivet nel suo L’évolution des salaires et traitements depuis 1939, Journal de la société statistique de Paris, tome 84, p. 108).
L’importo dell’assegno variava anche a seconda delle dimensioni della città in cui viveva il beneficiario (“gabbie pensionistiche”, si potrebbe dire, ma al contrario): si trattava di un’indennità fedele all’ideologia del “ritorno alla terra”: era previsto un alto bonus per chi, abitando a Parigi o nelle sue periferie, “si stabilirà definitivamente in un comune di meno di 2.000 abitanti”. Prima o poi questa idea brillante sarà mutuata da qualche marziano che si aggira in Italia?
Vero che esisteva una pensione, chiamiamola così, per chi rimaneva senza lavoro, ma valeva solo per gli iscritti al PNF, quelli che, come mio padre, non vollero mai possedere la tessera e non potevano svolgere alcun lavoro, fecero la fame o vissero con misere pensioni di vedove, fossero madri o sorelle. Complimenti per l'ottimo articolo qui sotto postato, non solo per aver detto come stanno le cose veramente, ma per l'onestà intellettuale, virtù rara tra gli Italiani.
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