Ho già pubblicato uno stralcio di uno dei dispacci che l’ambasciatore italiano Pietro Quaroni a Mosca inviava al ministro degli Esteri De Gasperi. Essi costituiscono, nel loro insieme, una cruda lezione di realismo diplomatico e di pragmatismo capace di diagnosi severe ma molto spesso fondate. Ho trovato curioso però anche ciò che avvenne a margine della cosiddetta Conferenza della Pace, ovvero del Consiglio dei ministri degli Esteri, cui i Tre Grandi (Usa, Urss e GB), alla conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945), avevano demandato di predisporre la stesura schematica dei trattati di pace con le potenze minori del Tripartito, cioè l’Italia, la Finlandia, la Romania, l’Ungheria e la Bulgaria.
Il Consiglio dei ministri degli Esteri, riunitosi in una prima sessione a Londra dall’11 settembre al 2 ottobre 1945, decise di invitare il ministro degli Esteri italiano, De Gasperi, a presentare il suo punto di vista sulla questione del confine orientale, senza peraltro poter fare seguire alla sua dichiarazione la minima forma di dibattito con i ministri riuniti nella capitale britannica. Sin da allora fu evidente che il negoziato era strettamente collegato (non poteva essere diversamente) con i problemi generali delle relazioni fra le potenze vincitrici, che avrebbero portato all’esplodere della “guerra fredda”.
Il 18 settembre 1945, De Gasperi pronunziò in tale sede un discorso, ed un altro discorso, reso famoso, pronunzierà l’anno dopo a Parigi, dove nel frattempo si sarà spostata la sede del Consiglio dei ministri degli Esteri (29 luglio - 15 ottobre 1946). Dal diario di Elena Carandini Albertini, moglie di Nicolò Carandini, rappresentante diplomatico italiano a Londra, in stretti e amicali rapporti con De Gasperi, ricavo degli aneddoti curiosi, per esempio sulla complessa stesura del discorso del ministro degli Esteri del 18 settembre.
17 settembre 1945. «Nicolò si è alzato alle sei e subito si mette a preparare una traccia del discorso di De Gasperi cui ha pensato, credo, tutta la notte. [...] De Gasperi si è svegliato un poco incerto e scombussolato. Approva quella prima stesura e scende poi con Nicolò nello studio ove rimangono tutta la mattinata a stendere il testo definitivo. Sul tardi incomincia di là, in Cancelleria, il lavoro di traduzione, non facile. [...] Il guaio viene quando poi, terminata la traduzione, il caro ministro si mette in mente di pronunziare il suo discorso in inglese, lingua che conosce poco e pronunzia peggio. Allora Canali [segretario del ministro] gli istilla – li sento passando davanti alla sala – parola per parola, frase per frase. Ma finalmente interviene deciso Nicolò e dice che, poiché gli jugoslavi parleranno nella loro lingua, noi dovremmo rispondere nella lingua nostra. De Gasperi è ancora perplesso e chiede: “Facciamo una prova: tu mi esamini e poi mi approvi o mi bocci ...”. Così lui e Canali, vicini sul divano, e Nicolò in piedi là davanti ad ascoltare. Poche frasi e poi sento il suo verdetto: bocciato! De Gasperi nel suo magnifico, bonario e spiritoso buon senso sorride, ripiega il testo in inglese e se lo metto in tasca. Nicolò gli è riconoscente e lo ammira per tanta e così elevata semplicità. Lo assicura che l’effetto del discorso sarà nella forza persuasiva non soltanto del suo contenuto, ma per come verrà da lui pronunziato».
Paolo Canali, nel suo libro sotto pseudonimo (ADSTANS) dal titolo Alcide De Gasperi nella politica estera italiana, offre un'altra e diversa versione dei fatti, secondo me da galoppino:
Parigi, maggio 1946. De Gasperi, diventato presidente del consiglio il 10 dicembre 1945, conservava anche il precedente incarico di ministro degli Esteri per continuare a seguire direttamente la preparazione del trattato di pace. Come s’è visto, la prima sessione del Consiglio dei ministri degli Esteri delle grandi potenze si era tenuta a Londra, tuttavia non aveva proceduto molto avanti nei suoi lavori per dissensi su problemi politici e procedurali. I ministri degli esteri di Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna tennero a Mosca (16- 26 dicembre 1945) un incontro per superare le difficoltà politiche e procedurali manifestatesi nella riunione di Londra. Le nuove intese conseguite a Mosca consentirono la ripresa dei lavori del Consiglio dei ministri degli Esteri che ebbe luogo ancora a Londra il 18 gennaio 1946 con le sedute, protrattesi fino al 20 aprile, dei sostituti dei ministri, i quali tennero poi la seconda sessione formale a Parigi in due riprese, dal 25 aprile al 16 maggio e dal 15 giugno al 12 luglio. Il diario di Elena Carandini ci descrive un De Gasperi inedito in quel di Parigi nel maggio 1946.
«Ceniamo coi De Gasperi all’ambasciata [italiana] e poi c’è il grande ricevimento all’ambasciata russa [molto vicino, in rue de Grenelle], in onore di Molotov e dei delegati della conferenza. [...] Ci eravamo proposti, data la folla, di rimanere un po’ uniti, ma dopo un poco Francesca [De Gasperi] si guarda attorno ed esclama: “Ma dov’è sparito Alcide?”. [...] De Gasperi introvabile. Lo ha poi scoperto Nicolò in una retrostante saletta appartata ove lo avevano fatto passare per l’invito di Molotov che voleva il suo incontro con Kardely capo della delegazione jugoslava, e ministro degli Esteri. Alcide, perfettamente a son aise là in mezzo, beveva champagne caucasico e fumava un grosso sigaro offertogli da Molotov. S’intendeva facilmente con l’avversario jugoslavo nel tedesco della loro comune origine austroungarica. Del resto quel Kardely è poi un Cardelli d’origine italiana.
[...] Dixon [Pierson Dixon (1904-1965), segretario del premier inglese Ernest Bevin] guardando con simpatia il nostro gruppo e il nostro leader, mi confida che Bevin, mentre De Gasperi parlava al Luxembourg, aveva detto prima ancora della traduzione: “Io non capisco una parola di italiano, ma capisco da come parla che quello è un uomo serio”. [...] Nicolò guardava con apprensione De Gasperi intento al grosso sigaro, da novizio, pronosticando guai di stomaco per domani».
Nicolò, il marito di Elena, quando costei rientrò in Italia per un breve periodo, le inviò una lettera da Parigi. «[Nicolò] lamenta invece l’incomprensione e la pochezza dei giornalisti italiani che pare si impegnino a non capire, critici di tutto, sempre male informati, sempre gementi e incapaci di rendersi conto di ciò che condiziona le cose nostre. Ma la lettera di Nicolò, in compenso è ottimista e lo ritrovo nei suoi spiriti migliori. [...] De Gasperi stima talmente la sua opera che gli ha chiesto di non allontanarsi da Parigi, specie durante la propria assenza.»
Al termine della sessione parigina il progetto di trattato di pace per l’Italia era pronto nel senso che tutte le questioni avevano avuto la loro soluzione. Per i nostri confini i vincitori avevano deciso di accogliere la richiesta francese di modifiche al confine occidentale (la Francia, pur sconfitta dalla Germania e collaborazionista con il nazismo, chiederà e otterrà i territori piemontesi di Tenda e Briga), di lasciare immutato quello settentrionale con l’Austria, e, per quello orientale di accogliere la proposta della delegazione francese (la meno favorevole all’Italia tra le proposte dei paesi occidentali: la Francia è stata qualche volta alleata dell’Italia, ma mai amica), ma introducendovi l’ulteriore arretramento del confine alle foci del Timavo (alle porte di Monfalcone) e destinando la fascia costiera comprendente Trieste e Capodistria alla costituzione di un Territorio Libero, detto appunto di Trieste, affinché queste terre potessero essere sottratte all’assegnazione alla Jugoslavia cui toccava ciò che era ad Oriente della nuova linea di confine. La decisione dei vincitori e della Francia, con riferimento ai confini del 1937, privava, a Oriente, l’Italia interamente delle province di Trieste, Pola, Fiume e Zara e parzialmente di quella di Gorizia.
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