martedì 7 febbraio 2023

L'illusione elettorale

 

La campagna elettorale per le elezioni politiche che si tennero nell’aprile del 1948 fu senza dubbio la più combattuta della storia repubblicana. L’esito di quelle elezioni dimostrò, tra le altre cose, che una vittoria del fronte delle sinistre, socialisti e comunisti, non fu nei numeri così come nei pronostici.

Già due anni prima, nel referendum tra repubblica e monarchia, quasi 11 milioni di elettori votarono per il mantenimento della monarchia (i voti validi furono in totale 23,4 milioni). Ciò accadde nonostante i Savoia fossero stati sostenitori del regime fascista (che aveva goduto di larghissimo consenso popolare) e corresponsabili nelle plurime tragedie della guerra.

I numeri sortiti dal referendum dimostrarono, senza che vi fosse bisogno di ulteriore conferma, l’esistenza di uno “zoccolo duro” di milioni di conservatori e di reazionari. Ai quali nelle elezioni politiche andava a sommarsi il parterre del moderatismo democratico, così come anche il campo laico e progressista di liberali, radicali, eccetera. Insomma, tutto ciò che si opponesse al fronte unitario comunista e socialista. Il risultato elettorale sanciva ciò che già prima e altrove era stato deciso: l’Italia faceva parte del blocco occidentale a dominanza americana.

Nella fase storica successiva, quella degli anni Sessanta, gli elementi di crisi furono individuati in modo preciso, e anche la soluzione: accresciuto intervento dello Stato nell’economia, programmazione, piena occupazione, il tutto naturalmente sotto il controllo della Democrazia cristiana, che nella alleanza con il partito socialista poneva una strategia per spaccare il fronte delle sinistre a sostegno del suo progetto di potere.

La DC si trasforma in una vera e propria potenza economica; ciò le permette di rendersi finanziariamente indipendente dai capitalisti privati, che tramite la Confindustria erano stati fino a quel momento la sua maggior fonte di sostentamento. L’autonomia economica che la DC acquisisce modifica la natura stessa dei suoi rapporti con la Confindustria: ora essa non dipende più dalla grande industria, ma, viceversa, è quest’ultima che deve intercedere per vedere i suoi interessi adeguatamente tutelati. Anche i finanziamenti, che prima venivano elargiti al partito, gli sono ora dovuti.

Sul piano economico, gli equilibri formatisi nel coso di quegli anni vedevano il capitale statale largamente avvantaggiato, ma contemporaneamente garantivano anche a quello privato margini di profitto e di sviluppo accettabili. La concentrazione nelle mani dello Stato dei poteri di controllo sull’erogazione del credito, è rimasta sostanzialmente la stessa del periodo fascista. Il mutamento della forma Stato e del regime non ha inciso in alcun modo su questa funzione decisiva.

[Sembra difficile da far capire: l’intervento dello Stato o di un organismo finanziario tipo la BCE, prescinde dalle forme politiche, istituzionali, di governo, che si susseguono, ed è anzi un portato necessario del processo di accumulazione capitalistica. Sono tuttora le banche centrali a detenere praticamente il monopolio dell’offerta aggiuntiva di capitali].

Con la fine del boom, la proletarizzazione urbana di milioni di contadini, l’accesso universitario ai figli della nuova piccola borghesia, quegli equilibri, tanto faticosamente raggiunti, si spezzarono. Alla fine del decennio, sul terreno della lotta di classe il quadro si fece esplosivo. Le lotte operaie ripartirono con un vigore sconosciuto nel decennio precedente. Si sviluppava un’autonomia di classe altissima, lo scontro divenne aspro, i partiti di governo furono travolti dalla crisi politica, sociale ed economica (secondo dati di Mediobanca sullo stato patrimoniale delle grandi imprese, nel 1968 i debiti delle grandi ammontavano al 42,7% del loro fatturato, loro capacità di autofinanziamento di livello trascurabile).

Ciò inevitabilmente preoccupò non poco la borghesia italiana, e ovviamente anche Washington. In risposta, fu varata la strategia delle bombe e del terrorismo di Stato, gestita dai servizi segreti legati a filo doppio a quelli americani, con centro operativo il Comando FTASE (NATO) di Verona, l’appoggio logistico del Comando del V Comiliter di Padova e la struttura segreta di “Gladio” per il rifornimento di esplosivo e addestratori. La manodopera per gli attentati fu arruolata prelevandola dal neofascismo veneto.

A un certo punto, dopo il susseguirsi di innumeri attentati, la strage della banca dell’Agricoltura, i depistaggi polizieschi e giudiziari, i tentativi di golpe, “la meglio gioventù” (è il titolo di un racconto di Pasolini) decise di reagire. Non più con le armi della critica, ma con le armi che sparano. È necessario aver vissuto nel clima sociale e politico di quegli anni per comprendere quella scelta, sulla quale si può discutere ma non sulla mera scorta delle distorsioni e censure mediatiche coeve e successive.

Dal lato istituzionale, la DC era alla disperata ricerca di una soluzione duratura alla crisi, dovendo contemporaneamente definire il suo assetto interno e riformare lo Stato accentuando il processo di centralizzazione nelle mani dell’esecutivo. Il primo progetto organico fu quello neogollista affidato a Fanfani. Nell’accrescere i poteri della segreteria, ridimensionando notevolmente le correnti, riducendo i giochi di potere all’interno del nucleo dirigente del partito, Fanfani ridefinisce insieme al partito anche il quadro istituzionale, o almeno ci prova, puntando a una Repubblica presidenziale.

Vuole raggiungere questo scopo attraverso uno scontro frontale con il PCI e i sindacati, che ridimensioni qualsiasi velleità di egemonia e faccia conseguire alla DC, e a lui in particolare, una vittoria storica che le dia nuovo lustro e la ponga nuovamente come centro ineliminabile del quadro politico. L’occasione favorevole viene individuata nel referendum della primavera del 1974 per il divorzio, dove la DC, grazie all’appoggio della chiesa, conta di trovare massicce adesioni in larghi strati popolari.

Nel 1973, dopo il golpe cileno, il segretario generale del partito comunista italiano, aveva messo nero su bianco (su Rinascita, organo teorico del partito), che il PCI per via elettorale non avrebbero mai potuto conquistato il potere stante il quadro geopolitico, ma avrebbero potuto gestirne una parte in cambio della sua azione di appoggio dell’esecutivo e di contrasto dell’antagonismo sociale che minacciava il sistema. Si tratta di un ulteriore sterzata a destra, ma una strategia che dopo sconfitta di Fanfani al referendum, si rivelerà momentaneamente vincente.

Tale strategia si sposava con l’indispensabile ricerca di mediazioni fra le diverse fazioni dominanti. Il forte contrasto tra la borghesia di Stato e il capitale privato, si sostanzi a nella presa di posizione degli “hiltoniani”. La nuova strategia consiste nell’entrare direttamente in prima persona nel partito di maggioranza relativa, senza più delegare alle varie correnti il compito di farsi rappresentare. È in questa fase che Umberto Agnelli si impegna attivamente nella DC e guida il gruppo degli “hiltoniani”.

Senza tale mediazione sarebbe stato impossibile conseguire alcun risultato. Anche in questo caso, come già era avvenuto con l’aggancio del PSI, il vero stratega politico fu Aldo Moro. La sua iniziativa, l’ultima, muoveva dalla constatazione che la DC, con le sue vecchie alleanze, non era più in grado di conservare autonomamente il controllo sull’intera società in rapida trasformazione, e aveva quindi bisogno di appoggiarsi, pur contenendolo in posizione subalterna, su un partito “popolare” come già era avvenuto per il PSI, che garantisse una base di consenso o perlomeno una tollerante neutralità delle fasce sociali più irrequiete.

Sotto interrogatorio, Moro rispose:

«Il nerbo della nuova economia, assunto con convinzione di efficienza, è l’imprenditorialità privata ed anche pubblica con opportuna divisione del lavoro. Questo modo di essere dell’Europa strettamente legata all’America e da essa condizionata, non varia col mutare in generale degli assetti interni dei vari paesi, come si riscontra nella fiducia parimenti accordata ai governi laburisti e conservatori in Inghilterra, come ai governi socialdemocratici o democristiani nella Repubblica federale tedesca. Anzi, qualche volta il maggior favore è andato alle formule socialdemocratiche nell’affermarsi di un’idea logica di fondo, produttivistica e tecnocratica mitteleuropea. È noto come questo indirizzo e questo spirito siano coltivati da libere organizzazioni para-governative come la Trilateral».

Poco più di un decennio dopo il sistema imperialistico delle multinazionali sarà completamente delineato, e si sarebbe assistito allo svuotamento del potere politico nazionale a tutto vantaggio delle grandi imprese private sotto le insegne del capitale finanziario, mentre quelle pubbliche ne sarebbero state travolte e svendute.

Queste sono le forme di vita politica, sociale ed economica in cui oggi viviamo e che la menzogna istituzionale chiama democrazia liberale. E non è ancora finita.

6 commenti:

  1. "democrazia liberale":
    La manipolazione consapevole e intelligente, delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica, coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il paese. Noi siamo in gran parte governati da uomini di cui ignoria¬mo tutto, ma che sono in grado di plasmare la nostra mentali¬tà, orientare i nostri gusti, suggerirci cosa pensare.
    https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/07/da-nord-a-sud-litalia-e-governata-da-predoni-cosi-si-insulta-lintelligenza-degli-elettori/6994996/

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  2. il commento è l'inizio del libro Propaganda di E. L. Bernays

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  3. Anche Ottaviano Augusto mantenne la forma delle istituzioni repubblicane mentre il potere si andava concentrando nelle mani di poche famiglie. Poi i Flavi costruirono il Colosseo e l'impero continuò per secoli con la felicità di sudditi e schiavi, fino all'arrivo dei barbari. Noi possiamo sperare negli alieni.
    Pietro

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  4. Forse è un rilievo pedante. “La meglio gioventù” è il titolo non di un racconto, ma di una raccolta di poesie di Pasolini. La frase è parte di un verso di una bella canzone di alpini, “Sul ponte di Perati”. La frase è stata anche utilizzata per il titolo di un filmazzo di M.T.Giordana, ma questo non è importante. Più significativo il testo della prima strofa della canzone:

    Sul ponte di Perati, bandiera nera:
    L'è il lutto degli alpini che va a la guera.
    L'è il lutto degli alpini che va a la guera,
    La meglio zoventù che va sot' tera.

    Tornando a Pasolini, la canzone è stata anche utilizzata nel film “Salò”, bello e misconosciuto. E’ un momento topico del film, quando, assistendo a una violenza sessuale, gli aguzzini intonano la canzone, e alcuni ragazzi cominciano a cantarla, ossia a corrompersi.
    Concludo: non esprimerò opinioni sui giovani di cui parli. Dico solo che il semiverso si riferisce a una generazione che va a perire, e non alla selezione, nell’ambito di una certa generazione, dei suoi migliori rappresentanti.

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