mercoledì 1 gennaio 2020

Come ogni anno


Buon Anno!

In attesa del brodino e di metterci in sintonia con La Fenice (le due cose vanno giù assieme), ricapitolo le ultime ore a latere della riflessione sui grandi assilli, esistenziali e no, che immancabilmente si presentano poco prima della malinconica e anche insulsa veglia di san Silvestro.

Trascorriamo le ultime ore dell’anno con le solite coppie di amici (catalogazione generosa), circondati da sbracati di ogni grado e mises male assortite. L’identico menù di pesce crudo e cotto, ma comunque surgelato (nessuno si faccia illusioni), le medesime chiacchiere con questordine: dapprima pettegolezzo locale, quindi, dopo qualche bicchiere, discorsi sui grandi sistemi, con le immancabili perorazioni su che cosa sarebbe meglio invece del tanto peggio che promette il futuro e mantiene precario il presente. Poi, esaurito quel repertorio per progressivo disinteresse, giungono patetici i ricordi su quanto eravamo giovani quando lo fummo, magnificando episodi che magari in realtà furono pessimi.

E così si tira fino a mezzanotte, quando ci si scambiano gli auguri, tra abbracci e baci, per poi iniziare una frenetica digitalizzazione sul proprio microtelefono, inviando il buon anno a figli, nipoti, parenti e amici vicini e lontani, dapprima con mirabolanti formule d’auspicio e poi frasi viepiù sempre più laconiche e stanche. Ed è quello il momento, pur nel frastuono che ci circonda, in cui forse ci si sente più soli, almeno a tratti.

Per me ha inizio la fase peggiore della serata, poiché in pochi minuti mi trovo indietro d‘un secolo e anzi più. Non credo sia un mio limite se non capisco come possano chiamare musica ciò che è indistinguibile dal rumore di una turbina che ferisce i timpani. E poi tuo malgrado, dopo qualche supplica del coniuge, devi concederti quantomeno per un paio di quei balli convulsi e senza grazia che sono il motivo non inconscio per avere in ubbia il capodanno.

Il mio ricordo va ad altri giorni e altre feste, come quella del Redentore nel 1969, anch’essa notturna ma a cielo aperto, con barche pavesate e cariche di vettovaglie, posizionate sul Canale della Giudecca, con le luci e i fuochi d’artificio rispecchiati sull’acqua marezzata. Non so più quale dei Dumas scrisse Le Notti veneziane. Poco importa, mi chiedo se avrà davvero veduto questa festa antica, ossia per comera e non per come anchessa in larga parte non è più.

Da questi pensieri mi desta il prosaico annuncio del cotechino con le lenticchie (dopo un pasto già eccedente), ossia trionfanti porzioni da sfamare il Biafra e dintorni, che decliniamo senza quasi nascondere la nostra nausea satolla.

È questo il segnale, quasi convenuto, per i saluti e il rinnovo degli auguri, fissando appuntamento tra un anno allo stesso tavolo per ripetere il rito. Poco dopo le due siamo a casa, così abbiamo modo di verificare in tv che il nuovo anno a Honolulu, Sidney e Tokio è stato accolto come sempre con fuochi e allegria. Prima che sopraggiunga Morfeo ci ripromettiamo che il prossimo capodanno lo festeggeremo diverso e lontano. Certo, come ogni anno.

4 commenti:

  1. Naturalmente non ho commenti da fare sul tuo cenone. Ne ho sul gessoso concerto che ogni Capodanno ci giunge dalla Fenice. Non lo assimilerei al brodino, perché non favorisce la digestione.

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    1. ma sì, perciò dico che vanno giù assieme. del resto che altro?

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  2. "la vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia".

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