mercoledì 17 agosto 2016

Linee guida di ferragosto


Tra le numerose prefazioni e curatele di Valentino Parlato, già esponente de Pci e poi espulso per essere stato tra i fondatori del quotidiano “il manifesto”, credo che la più nota al pubblico – non perché brilli di luce propria – sia quella a L’imperialismo fase suprema del capitalismo dell’edizione del 1964, poi riproposta nella collane Le idee della Editori Riuniti. Insomma, tutt’altro che uno sprovveduto. Ieri, in un suo articolo, dal titolo La ripresa possibile in quattro mosse, scriveva:

… le imprese non innovano, non accumulano capitali incorporanti progresso tecnico. Assumono qualcuno, non per produrre di più, ma per lucrare i sussidi statali, così abbattendo la produttività del lavoro insieme con quella del capitale.



Il senso dell’ultima proposizione si doveva, a mio avviso, renderlo più chiaro. Forse non si è voluto. Va bene parlare di produttività del capitale, però in senso lato. Tanto più se nella medesima frase si richiama la produttività del lavoro ponendola “insieme con quella del capitale”. La cosa potrebbe ingenerare, e secondo me di questi tempi ingenera senz’altro, l’idea che non sia solo il “lavoro” a produrre valore, ma che a valorizzarsi sia, motu proprio e in stricto sensu, il capitale stesso (per la parte non variabile, chiaro).

Il capitale, escluso, ripeto, il capitale variabile, ossia la quota spesa dal capitalista per acquistare la forza-lavoro, in sé e per sé, non produce un bel nulla, nemmeno una molecola di valore. Solo il lavoro vivo impiegato produttivamente produce valore. Per quanto riguarda il capitale, il capitale costante, sia fisso (impianti, macchine) che circolante (materie prime ed ausiliarie), esso nel processo produttivo trasferisce alle merci, mano a mano, quote del suo valore intrinseco. Non crea nuovo valore!

Qualunque incremento di capitale costante, qualunque miglioramento tecnologico del processo produttivo, può favorire la produttività del lavoro (delizia e disgrazia del capitalismo), ma solo la forza-lavoro dell’operaio produttivo aggiunge valore, cioè plusvalore (*). Non si tratta, in tal guisa, specie oggi, di una precisazione capziosa.

Se l’ignavia dei produttori – scrive ancora Parlato – dovesse persistere nemmeno la politica economica migliore potrà sciogliere i nodi che minano il benessere dei cittadini, in specie dei lavoratori e dei meno abbienti.

L’ignavia non c’entra un bel nulla: ci fosse da far elevati profitti, più che con la rendita e la speculazione finanziaria, i capitalisti – non importa di quale bandiera – si getterebbero a capofitto nella produzione in Italia. I “patrioti”, invece che in Romania e in Asia, investirebbero qui i loro soldini.

Perciò, per quanto riguarda le quattro linee d’azione suggerite dai “migliori economisti”, ossia le loro proposte di stampo neokeynesiano, espressione del buon senso del riformismo borghese, esse non tengono conto che non ci troviamo semplicemente di fronte a una fase di crisi classica del ciclo capitalistico, e racimolare “punti di Pil” (cosa di per sé auspicabile e necessaria non solo in un paese fallito) non basta per uscire dalla crisi, che è anche di struttura, ossia di investimenti, di efficienza, di regole e di innovazione, ed è anche – soggiungo – di rinnovamento politico (ciao mammina) e culturale e civile, ma che per sua natura e nell'attuale fase storica cui è giunto il capitalismo allude a ben altro (che non è il caso di ripetere proprio in ferragosto).

(*) Smith aveva sostanzialmente ragione col suo lavoro produttivo e improduttivo, ragione dal punto di vista dell’economia borghese. Ciò che gli viene contrapposto dagli altri economisti è o sproloquio (per esmpio Storch, Senior ancor più pidocchiosamente), e cioè che ogni azione produce comunque degli effetti, per cui essi fanno confusione tra il prodotto nel suo senso naturale e in quello economico; secondo questo criterio anche un briccone è un lavoratore produttivo poiché, mediatamente produce libri di diritto criminale; (per lo meno questo ragionamento è altrettanto giusto per cui un giudice viene chiamato lavoratore produttivo perché protegge dal furto). Oppure gli economisti moderni si sono trasformati a tal punto in sicofanti del borghese da volerlo convincere che è lavoro produttivo se uno gli cerca i pidocchi in testa o gli sfrega l’uccello, giacché quest’ultimo movimento gli terrà più chiaro il testone — testa di legno — il giorno dopo in ufficio (Grundrisse, Meoc, XXIX, p. 203).

5 commenti:

  1. È proprio il caso, invece,trovare sotto il Solleone tali delizie.

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  2. Quindi mescolare nel cosidetto PIL sia il "lavoro produttivo" ( la massa dei beni prodotti) con il "lavoro improduttivo" ( i cosidetti "servizi" piu' o meno connessi alla produzione di beni) e' gia' una forma di mistificazione?
    Perche' c'e' il paradosso che la quota del primo nel PIL è costantemente calante ma senza di esso anche la (sempre più) schiacciante quota del secondo andrebbe a zero nel tempo intercorrente a non trovare più nulla al supermercato ..:-)
    ws

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    1. il pil, com'è noto, è un parametro monetario che contiene di tutto. è come l'indice della produttività, una mistificazione, poiché l'economia politica borghese non ha alcun interesse a rivelare la reale natura dello sfruttamento ed è incapace di esprimersi per categorie economiche su una reale base scientifica

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  3. in un certo senso il PIL, come indicatore economico, è una mistificazione, ancora oggi il grado di potenza delle nazioni si misura in termini industriali, anche se nei paesi a capitalismo maturo secondario e servizi pesano per 80-85% del pil, grazie anche al mercato interno che continua ad avere la sua importanza anche se a prima vista sembrerebbe che tutto il mondo sia export oriented.

    data la premessa anche al FMI e alla Banca Mondiale stanno rivedendo un bel pò di categorie (segno dei tempi di crisi e dei nuovi ingressi al vertice): il Pil viene diviso pro capite e a parità di potere d'acquisto (il termine di paragone è il reddito USA), abolita la distinzione fra "paesi sviluppati" ed "in via di sviluppo", gli ex emergenti diventano "economie emergenti di mercato"; e si sta studiando una categoria per gli ex "in via di sviluppo" che, a causa della fine del ciclo delle materie prime, hanno perso decine di punti di PIL negli ultimi 4 anni.

    se non fosse che ne va della vita di milioni di persone, questi contorcimenti ideologici delle principali piattaforme dell' imperialismo mondiale mi farebbero sganasciare

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