Tra le numerose prefazioni e
curatele di Valentino Parlato, già esponente de Pci e poi espulso per essere
stato tra i fondatori del quotidiano “il manifesto”, credo che la più nota al pubblico – non perché brilli di luce propria – sia
quella a L’imperialismo fase suprema del
capitalismo dell’edizione del 1964, poi riproposta nella collane Le idee della Editori Riuniti. Insomma,
tutt’altro che uno sprovveduto. Ieri, in un suo articolo, dal titolo La ripresa possibile in quattro mosse,
scriveva:
… le imprese non innovano, non accumulano capitali incorporanti
progresso tecnico. Assumono qualcuno, non per produrre di più, ma per lucrare i
sussidi statali, così abbattendo la produttività del lavoro insieme con quella
del capitale.
Il senso dell’ultima proposizione
si doveva, a mio avviso, renderlo più chiaro. Forse non si è voluto. Va bene
parlare di produttività del capitale, però in senso lato. Tanto più se nella
medesima frase si richiama la produttività del lavoro ponendola “insieme con
quella del capitale”. La cosa potrebbe ingenerare, e secondo me di questi tempi
ingenera senz’altro, l’idea che non sia solo il “lavoro” a produrre valore, ma che
a valorizzarsi sia, motu proprio e in
stricto sensu, il capitale stesso
(per la parte non variabile, chiaro).
Il capitale, escluso, ripeto, il
capitale variabile, ossia la quota spesa dal capitalista per acquistare la
forza-lavoro, in sé e per sé, non produce un bel nulla, nemmeno una molecola di
valore. Solo il lavoro vivo impiegato
produttivamente produce valore. Per quanto riguarda il capitale, il capitale costante, sia fisso (impianti,
macchine) che circolante (materie prime ed ausiliarie), esso nel processo
produttivo trasferisce alle merci, mano a mano, quote del suo valore intrinseco.
Non crea nuovo valore!
Qualunque incremento di capitale
costante, qualunque miglioramento
tecnologico del processo produttivo, può favorire la produttività del lavoro
(delizia e disgrazia del capitalismo), ma solo la forza-lavoro dell’operaio produttivo aggiunge valore, cioè plusvalore (*). Non si
tratta, in tal guisa, specie oggi, di una precisazione capziosa.
Se l’ignavia dei produttori – scrive ancora Parlato – dovesse persistere nemmeno la politica
economica migliore potrà sciogliere i nodi che minano il benessere dei
cittadini, in specie dei lavoratori e dei meno abbienti.
L’ignavia non c’entra un bel
nulla: ci fosse da far elevati profitti, più che con la rendita e la
speculazione finanziaria, i capitalisti – non importa di quale bandiera – si
getterebbero a capofitto nella produzione in Italia. I “patrioti”, invece che
in Romania e in Asia, investirebbero qui i loro soldini.
Perciò, per quanto riguarda le
quattro linee d’azione suggerite dai “migliori economisti”, ossia le loro
proposte di stampo neokeynesiano, espressione del buon senso del riformismo
borghese, esse non tengono conto che non ci troviamo semplicemente di fronte a
una fase di crisi classica del ciclo capitalistico, e racimolare “punti di Pil”
(cosa di per sé auspicabile e necessaria non solo in un paese fallito) non
basta per uscire dalla crisi, che è anche
di struttura, ossia di investimenti, di efficienza, di regole e di innovazione,
ed è anche – soggiungo – di
rinnovamento politico (ciao mammina) e culturale e civile, ma che per sua
natura e nell'attuale fase storica cui è giunto il capitalismo allude a ben altro (che non è il caso di
ripetere proprio in ferragosto).
(*) Smith aveva sostanzialmente ragione col suo lavoro produttivo e
improduttivo, ragione dal punto di vista dell’economia borghese. Ciò che gli
viene contrapposto dagli altri economisti è o sproloquio (per esmpio Storch,
Senior ancor più pidocchiosamente), e cioè che ogni azione produce comunque
degli effetti, per cui essi fanno confusione tra il prodotto nel suo senso
naturale e in quello economico; secondo questo criterio anche un briccone è un
lavoratore produttivo poiché, mediatamente produce libri di diritto criminale;
(per lo meno questo ragionamento è altrettanto giusto per cui un giudice viene
chiamato lavoratore produttivo perché protegge dal furto). Oppure gli
economisti moderni si sono trasformati a tal punto in sicofanti del borghese da
volerlo convincere che è lavoro produttivo se uno gli cerca i pidocchi in testa
o gli sfrega l’uccello, giacché quest’ultimo movimento gli terrà più chiaro il
testone — testa di legno — il giorno dopo in ufficio (Grundrisse, Meoc,
XXIX, p. 203).
È proprio il caso, invece,trovare sotto il Solleone tali delizie.
RispondiEliminaQuindi mescolare nel cosidetto PIL sia il "lavoro produttivo" ( la massa dei beni prodotti) con il "lavoro improduttivo" ( i cosidetti "servizi" piu' o meno connessi alla produzione di beni) e' gia' una forma di mistificazione?
RispondiEliminaPerche' c'e' il paradosso che la quota del primo nel PIL è costantemente calante ma senza di esso anche la (sempre più) schiacciante quota del secondo andrebbe a zero nel tempo intercorrente a non trovare più nulla al supermercato ..:-)
ws
il pil, com'è noto, è un parametro monetario che contiene di tutto. è come l'indice della produttività, una mistificazione, poiché l'economia politica borghese non ha alcun interesse a rivelare la reale natura dello sfruttamento ed è incapace di esprimersi per categorie economiche su una reale base scientifica
Eliminain un certo senso il PIL, come indicatore economico, è una mistificazione, ancora oggi il grado di potenza delle nazioni si misura in termini industriali, anche se nei paesi a capitalismo maturo secondario e servizi pesano per 80-85% del pil, grazie anche al mercato interno che continua ad avere la sua importanza anche se a prima vista sembrerebbe che tutto il mondo sia export oriented.
RispondiEliminadata la premessa anche al FMI e alla Banca Mondiale stanno rivedendo un bel pò di categorie (segno dei tempi di crisi e dei nuovi ingressi al vertice): il Pil viene diviso pro capite e a parità di potere d'acquisto (il termine di paragone è il reddito USA), abolita la distinzione fra "paesi sviluppati" ed "in via di sviluppo", gli ex emergenti diventano "economie emergenti di mercato"; e si sta studiando una categoria per gli ex "in via di sviluppo" che, a causa della fine del ciclo delle materie prime, hanno perso decine di punti di PIL negli ultimi 4 anni.
se non fosse che ne va della vita di milioni di persone, questi contorcimenti ideologici delle principali piattaforme dell' imperialismo mondiale mi farebbero sganasciare
interessante disamina sul pil
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