mercoledì 10 agosto 2016

Quel notabilato che Ernesto Galli non vede


Mi sbagliavo, la campagna autunnale delle elemosine e dei ricatti è già iniziata. Renzi: “Se passa il referendum, i 500mln risparmiati andranno ai poveri”. E c’è qualcuno più povero delle banche?

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Ernesto Galli, editorialista del Corriere, ha scritto il 6 agosto un articolo sul tema delle banche che ha suscitato un certo clamore pur nella generale apatia agostana. Il titolo è di per sé eloquente: Quei notabili locali tra soldi e potere. Tra l’altro scrive:

«È di questi campioni del notabilato di tante città e province italiane che sono stati formati i consigli di amministrazione, i comitati di presidenza, i collegi dei Sindaci, che hanno portato alla rovina un bel gruppo di istituti bancari e depredato decine di migliaia di loro più o meno incolpevoli concittadini.»

Poniamoci un paio di domande, non proprio d’impronta retorica anche se usuali: 1) gli organi di vigilanza e controllo preposti su che cosa vigilavano e chi controllavano? 2) forse le grandi banche nazionali stanno meglio di quelle locali, e nei loro consigli di amministrazione non siedono campioni del notabilato?



Per rispondere alla prima domanda è necessario stabilire che cos’è Bankitalia, impresa non semplice per questa sorta di tempio delfico. Da notare, en passant, che solo il 20 settembre 2005, dopo rivelazioni di stampa, fu reso pubblico l'elenco degli azionisti di Bankitalia. Segreto delfico, appunto, che altri definirebbero massonico. Gli azionisti di Banca d’Italia sono le banche (oggi private) che discendono dagli istituti di credito (all’epoca pubblici) che nel corso del tempo sono entrati nel suo capitale. Se in ciò notate qualche conflitto d’interessi, pur lieve, tra proprietà e compiti di Bankitalia, siete degli ingenui (*).

Organo supremo della Banca è il Consiglio superiore, cui spetta la nomina e la revoca del Governatore, l'amministrazione generale nonché la vigilanza sull'andamento della gestione e il controllo interno della Banca. Ne fanno parte personaggi per lo più ignoti al pubblico, rappresentanti di una frazione significativa del gotha borghese e dei relativi intrecci pubblici e soprattutto privati. Uno dei membri del Consiglio, venuta alla ribalta della cronaca con la nomina a ministro del governo Monti, fu Ilaria Borletti Buitoni.

Attualmente il Consiglio Superiore è così composto: Orietta Maria Varnelli, amministratore delegato Distilleria Varnelli e già Presidente della Consulta agroalimentare di Confindustria Marche; Nicola Cacucci, titolare della Cacucci Editore; Gaetano Maccaferri, delfino della famiglia omonima di Bologna; Francesco Argiolas, amministratore delegato delle Cantine Argiolas di Cagliari; Franca Maria di Alacevich, preside della facoltà di scienze politiche di Firenze; Carlo Castellano, presidente e amministratore delegato di Esaote, uno dei principali produttori mondiali di sistemi diagnostici medicali; Donatella Sciuto, ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni, Politecnico di Milano, e già Membro del Consiglio Scientifico di Fondazione Ansaldo, Finmeccanica; Paolo De Feo, ex presidente della Confindustria di Napoli, presidente della Industria politecnica meridionale (Ipm); Giovanni Finazzo, già questore di Catania, Milano, Roma, poi prefetto di Trapani e già Commissario delegato per l'emergenza immigrazione in Lampedusa; Cesare Mirabelli, già presidente della Corte Costituzionale, ha ricoperto la carica di vice-presidente del Consiglio Superiore della magistratura; Lodovico Passerin d'Entrèves, legato professionalmente alla famiglia Agnelli e al gruppo Fiat, presidente della concessionaria di pubblicità Publikompass, consigliere dell’Editrice la Stampa e anche di Vittoria Assicurazioni; Andrea Illy, il noto magnate del caffè; Ignazio Musu, ordinario di economia politica, presidente dell’Ente Einaudi per gli studi monetari, bancari e finanziari e del Comitato Scientifico della Fondazione Mattei.

Fermiamoci qui e veniamo alla seconda domanda. Ernesto Galli, i cui scritti potranno assumere valore di documenti storici di un’epoca dove primeggia il grottesco, col suo articolo viene a farci la lezioncina sul notabilato, così come potrebbe farcela un uomo colpito da un’amnesia globale retrograda. Del resto, la vicenda delle dimissioni dell’ex governatore Antonio Fazio, nel 2005, caduto per le vaste complicità con i furbetti del quartierino, le scalate estive e l’amico Fiorani, il bacio in fronte alla consorte del capo della Popolare di Lodi, i regali alla signora Tarantola, già dirigente della Banca d'Italia, ex capo della vigilanza ed ex presidente Rai, sicuramente non fanno parte del notabilato a cui allude l’Ernesto.

La realtà è un’altra: consumatori, risparmiatori, clienti, piccoli azionisti, piccola impresa, non hanno avuto mai alcuna tutela da Bankitalia, né in generale da altri. Fatti recenti e lontani lo dimostrano a volontà.

Per salvare l’intero sistema di appropriazione, in cui l’ordine proprietario si contempla e si rafforza, Ernesto Galli, a fronte dello scandalo bancario, punta il dito contro il marcio che è nel notabilato feudale nel suo rapporto incestuoso con le banche locali. Impossibile nasconderlo. Tace però sui conflitti d’interesse giganteschi del notabilato nazionale, sulle voragini di crediti inesigibili per diverse centinaia di miliardi delle grandi banche, le operazioni ardite di manager e capitani coraggiosi. Men che meno gli viene in mente che simili intrecci armoniosi tra potere economico e politico, così come le acerrime lotte tra camarille, sono la caratteristica fondamentale di ogni società fondata sulla rapina, il privilegio e la separazione.


(*) Una precisa Disposizione, sulla base dell’articolo 19, comma 10, della legge n. 262/2005, imponeva entro la fine del 2008 alle banche azioniste di Bankitalia di cedere le proprie partecipazioni, affinché il capitale dell’istituto di vigilanza tornasse in mano pubblica. Ci pensò la banda dei quattro (il premier Prodi, Padoa Schioppa ministro dell’economia, l’avvallo di Napolitano, e la supervisione del governatore Dragh) a rimettere a posto le cose con la legge n. 261/2006, di modo che  il nuovo art. 3 dello statuto di Bankitalia così recita: “Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro ed è suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna, la cui titolarità è disciplinata dalla legge. Il trasferimento delle quote avviene, su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e della equilibrata distribuzione delle quote”. Non vale neanche la pena perderci altro tempo.

3 commenti:

  1. Un vero intellettuale organico al potere fiuta sempre il vento del vincitore che meglio paga e si getta sulla carcassa del perdente con zelo straordinario.
    Fino a ieri il notabilato era onorato come Salotto buono, ai cui banchetti gente come lui faceva carte false per raccogliere gli ossi sotto al tavolo.
    Ciao,g

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    1. non so se l'Ernesto raccolga solo gli ossi, ma vorrei essere una zanzara per vederlo quando entra nella sua banca e pungerlo quando viene ricevuto dal direttore

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  2. in effetti "leggere" gli "Intellettuali organici" ( "organici" anche per la "materia" di cui sono fatti :-) ) serve solo a capire la strategia e la forza di chi li paga.
    E qui dall '"enesto" ( ma anche da altri"segnali" ) appare evidente che i "tempi belli" della " massoneria di campagna" stanno tramontando, per quanto non credo che nemmeno quella " di città" a cui ammicca "l' ernesto" andrà molto lontano.
    I nostri "squaletti " hanno voluto giocare con "quelli grandi" e ne saranno divorati (...anche se purtroppo dopo di noi, ovviamente :-( )
    ws

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