lunedì 1 agosto 2016

Sia che si chiamasse Impero del Brasile o si chiami Repubblica italiana


Siamo desiderosi di conoscere il futuro, ma in genere ci curiamo poco del passato che pure ci riguarda assai più di quell’avvenire che per larga parte non conosceremo mai e che probabilmente finirebbe per deluderci.

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Se la vita dei contadini nelle nostre campagne a cavallo tra Ottocento e Novecento era quanto di più miserabile si potesse immaginare, non lo era di meno in altre parti d’Europa. Credo sia molto noto il lavoro del regista Edgar Reitz, l’autore di Heimat, la saga di una famiglia (i Simon) e di Schabbach, un villaggio immaginario dell'Hunsrück che corrisponde nella realtà a Woppenroth. Ebbene, la storia raccontata in questa serie di film, disponibili in Italia in 18 DVD, incomincia nell’immediato primo dopoguerra. Quasi tre decenni dopo Reitz gira un altro film (disponibile in 2 DVD) dal titolo L’altra Heimat, in cui rintraccia la storia della famiglia Simon verso la metà dell’Ottocento. Le condizioni di vita dei contadini erano pressoché le stesse dei contadini italiani, forse anche peggiori di taluni, e massiccia l’emigrazione verso il Brasile per scampare alla morte per inedia e per le malattie causate in larga misura dalle condizioni di miseria. È singolare, detto tra parentesi, la comparsa nel film di Alexander von Humboldt, il celebre naturalista autore, tra l’altro, del Viaggio alle regioni equinoziali del nuovo continente. Il suo personaggio compare nel film poiché il villaggio di Schabbach è situato proprio sulla strada che dal settentrione della futura Germania conduce a Parigi.

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A tale proposito, cioè a riguardo dell’emigrazione in Brasile, riporto questa cronaca di Adolfo Rossi che quella realtà conobbe come forse nessun altro:

Due capi di famiglia si presentarono oggi al Consolato a nome di sette famiglie le quali da cinque anni lavorano nella fazenda di Santa Maria, di proprietà di N.N., a cinque chilometri da Ribeirãozinho.

Raccontano che nel 1897 le sette famiglie assunsero di formare in detta fazenda varii cafezaes; cominciarono con l’abbattere i boschi, seminarono e tirarono su il caffè, facendo anche il primo raccolto venduto dal proprietario. Ora le sette famiglie, che in cinque anni non riscossero mai un centesimo (e cedettero tutto al padrone, campando esclusivamente del prodotto del granturco, dei fagiuoli, del riso e del bestiame e facendosi prestare qualche centinaio di lire da certi loro conoscenti) avanzerebbero complessivamente alcune migliaia di lire avendo lavorato non come coloni ma come empreiteiros, mezzadri; ma poco tempo fa il proprietario della fazenda morì e gli eredi non vogliono riconoscere i crediti delle sette famiglie. Pare che la fazenda fosse ipotecata per somme rilevanti. E’ uno dei casi che si verificano ora frequentemente.

Il Console indirizzò i due capi famiglia a un buon avvocato che farà il possibile per tutelarne gli interessi, ma è ben difficile che le sette famiglie realizzino almeno una parte dei loro crediti. Esse possiedono soltanto quattro righe in carta semplice del defunto fazendeiro.

I due capi famiglia mi dissero che per venire a San Paulo vendettero due maiali. Noi – aggiunsero – non intendiamo di lasciare la fazenda se prima non siamo pagati. I cafezaes sono stati formati con cinque anni di nostre fatiche, laddove prima non c’era che matto (bosco).

I poveretti s’illudono che sarà resa loro giustizia. Ignorano che i crediti ipotecari avranno la precedenza sui loro e che vi sono eredi capaci di creare ipoteche fittizie per defraudare i coloni.


Passano i secoli ma il conflitto tra lavoro e capitale (in questo caso proprietà fondiaria) è fondamentalmente lo stesso, anche se ora è meglio mascherato dal “diritto”. Proprio ieri mi raccontavano di un operaio e un tecnico di una fonderia di alluminio, i quali dal proprietario fallito avanzano l’uno 14mila euro e l’altro addirittura 90mila. Tutte prestazioni in nero che non si possono legalmente né vantare né dimostrare. Si dirà, col ditino alzato, ma perché hanno accettato di lavorare in nero? Per lo stesso semplice motivo per il quale quelle sette famiglie hanno lavorato gratis in Brasile, ossia perché ogni società storica finora si è retta sullo sfruttamento del lavoro, sia nelle forme del lavoro legale che in quelle illegali, sia che si chiamasse Impero del Brasile o si chiami Repubblica italiana.

4 commenti:

  1. A proposito di Lavoro, non so se è a conoscenza dei dati sulla dichiarazione dei redditi del 2015 in Italia.

    http://www.corriere.it/economia/16_luglio_31/irpef-paga-autonomo-tre-pensionati-58-miliardi-gettito-380e7abe-5688-11e6-8307-f119c314f7af.shtml

    Uno dei dati più interessanti a mio giudizio, è il seguente: "Su un totale Irpef versata di 167 miliardi i lavoratori dipendenti ne pagano 99 miliardi; il 60%.
    I pensionati pagano 58,581 miliardi di Irpef (il 35% del totale Italia). Ossia: Dipendenti 60% + Pensionati 35% = 95%".
    P.S: Lo Stato si regge su lavoratori dipendenti e pensionati, ma questi ultimi, lo sanno? E a proposito, Imprenditori, Industriali, Commercianti, ecc., cosa fanno, evadono forse?

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    1. sono dati noti, grazie per riproporli. qualche anno fa si attestavano a poco meno del 90 per cento, ora le cose sono peggiorate. chi può evade ed elude, il resto sono chiacchiere.

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    2. Beh, anche da questi dati si evince la lotta di classe che fanno i padroni, ma che gli schiavi o servi negano vi sia (lotta di classe).

      Grazie a lei e buona giornata.

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  2. Chi non conosce la storia e' condannato a ripeterla.
    Ma in fondo RI-fottere i "lavoratori" italiani e' stato facilissimo; non solo "cattiva maestra televisione" ha lavorato benissimo , ma i primi "illusi" sono stati quei "vecchi" che pur avendo conosciuto " di persona" "l' italia di ieri" , schifata come "ovvia" " l' italia di oggi", si sono bevuti ( e ancora se la bevono ! :-) ) la favola de " l' italia di domani".
    ws

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