Come noi

Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;

magnus ab integro saeclorum nascitur ordo:

iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna.

Il Tardo Antico, il grande tema della decadenza dell’impero e della sua civiltà, mi affascina da decenni, diventando quasi una specializzazione. M’incuriosiscono le analogie, pur rintracciabili in ogni epoca di grave crisi in cui alle coscienze si presenta l’idea della fine. Le analogie con il Tardo Antico sono davvero numerose e assai convincenti, già a cominciare dal fatto che fu un periodo d’inquietudine contrassegnato dalle grandi invasioni di popoli da est e da nord. Sul piano della psicologia sociale un’altra rimarchevole analogia sta nel fatto che al pari di quella anche la nostra epoca è sostanzialmente incredula di ciò che le sta accadendo. Una differenza invece riguarda il rovesciamento della nostra sorte che per quasi un secolo si è ritenuto di poter attuare con mezzi umani. E però anche questa differenza infine è svanita, prevalendo nel nostro declino la sfiducia e l’incapacità di vedere le cose per quello che esse sono effettivamente. Sul piano ideologico si tratta in definitiva dell’esito di una grande controffensiva cui solo il punto di vista del materialismo storico offre risposta.

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La teoria infinita di villette con giardino è il segno distintivo di un benessere finalmente raggiunto con grandi sacrifici dopo secoli di povertà e spesso di vera miseria. Integrarsi in questa comunità laboriosa è difficile già quando sei della provincia accanto, figuriamoci se arrivi da un altro continente con la pelle scura e con il carico di fantolini.

Eppure molti degli alieni che arrivano lavorano nelle concerie e nelle altre fabbriche (nonostante la crisi sono 100.000 le aziende nella sola provincia di Vicenza), anche se sono braccia che si usurano presto perché non abituate a una fatica così dura.

La sicurezza economica è già stata compromessa dalla crisi, ora l’arrivo dei migranti è visto come un’altra e più pericolosa minaccia. Pur vero che non sono i neri a svaligiare le case ma gli slavi della stessa etnia di quelli che ci costruiscono le case come muratori e piastrellisti.

Sono comunque dei corpi estranei, inadattabili e per nulla omogenei agli standard del luogo. Le caratteristiche tipologiche, sono sempre loro a creare i “diversi” e a cristallizzare la supremazia di una classe o di una razza. Appassiona perfino puntualizzarne i tratti, com’è accaduto, tra l’altro, in questi giorni a Valle di Castelgomberto.

Molti sono musulmani, cosa che non favorisce i rapporti con una comunità tanto bigotta devota. E poi hanno un concetto dell’igiene personale e domestica molto più vago del nostro. Anche il nostro comunque è mutato da quando non usiamo più la brillantina e ci facciamo la doccia tutti i giorni.

Si sa mai che questi migranti un giorno diventeranno un po’ più ricchi, magari dalla terza generazione, e allora potranno essere anche loro più stronzi. Come noi.