martedì 14 aprile 2015

“Oh Capitano! Mio Capitano!”


Il 3 aprile 1865, le truppe nordiste avevano, al terzo tentativo, occupato la città di Richmond, capitale dei confederati, dove si trovavano le truppe migliori degli Stati sudisti.  Il generale Grant, per quanto riguardava la disposizione strategica, aveva ripetuto esattamente lo schema della battaglia di Jena (1806). Il 9 aprile il generale Robert E. Lee si arrendeva a Grant, ad Appomattox Court House in Virginia. Poi capitolò anche Joseph E. Johnston e con ciò ebbe fine il conflitto (9 maggio).  E tuttavia la pacificazione era di là da venire. Infatti, il 14 aprile, un sicario degli schiavisti, John Wilkes Booth, sparò ad Abraham Lincoln ferendolo mortalmente. Lincoln morì il giorno dopo, per cui domani ricorre il 150° anniversario della sua morte. Gli successe il vicepresidente Andrew Johnson (*).

Nel novembre del 1864, Karl Marx, su invito dell’Associazione internazionale dei lavoratori (A.I.L.), cioè della Prima Internazionale, redasse un “indirizzo” da trasmettere al presidente Lincoln in cui ci si congratulava con il popolo americano per averlo rieletto alla presidenza. Marx scrisse ad Engels a tale proposito che nello stendere l’indirizzo aveva evitato “l’abusata fraseologia democratica”.



Lincoln avvertì benissimo la differenza di stile, o l’avvertì l’ambasciatore Charls Francis Adams che a suo nome rispose in tono molto amichevole e cordiale, con meraviglia della stampa londinese, poiché agli indirizzi di felicitazioni da parte borghese-democratica fu risposto con un paio di complimenti convenzionali. Il Times pubblicò la risposta presidenziale con una nota preliminare il 6 febbraio 1865 sotto il titolo “Mr. Lincoln and the International Working Mens Association”. Lo stesso giorno uscì anche sul giornale londinese The Express.

Meno noto è che Marx, sempre per conto dell’Associazione, nel mese di maggio 1865 ebbe a scrivere un’altra lettera, molto incisiva, al successore di Lincoln. A Marx il nuovo presidente non doveva essere molto simpatico se il 12 novembre 1866, in una lettera al consuocero François Lafargue, scriveva: “La sconfitta del presidente Johnson alle ultime elezioni Le avrà fatto piacere come a me. Gli operai del nord finalmente hanno capito molto bene: il lavoro di pelle bianca non può emanciparsi là dove viene bollato d’infamia se è di pelle nera” (**).

*

Marx aveva ragione: sono questi infatti i limiti del riformismo: agli schiavi venivano tolte le catene di ferro quando queste non servivano più per lavorare nelle manifatture, ora gli schiavi erano finalmente liberi di vendersi essi stessi costretti dal bisogno. Si sottomettevano a delle catene invisibili, sicuramente assai meno costrittive e pesanti delle precedenti, ma pur sempre catene. E quanto al diritto di voto, esso poté diventare effettivo in molte parti degli Usa solo cent’anni dopo, quando non serviva più a nulla, se non a ratificare scelte decise altrove.

Vent’anni dopo, nell’agosto 1866, si lottava per le otto ore di lavoro. Il quotidiano di Chicago in lingua tedesca Die Arbeiter-Zeitung poteva scrivere: “Polizia e Guardia nazionale, i mastini del capitalismo sono pronti a uccidere!”. Una scrittrice alto borghese poteva a sua volta osservare che “in questo aveva ragione, poiché durante uno scontro tra scioperanti e la polizia, questa sparò uccidendone due”. Fu convocata una manifestazione per il giorno dopo in Haymarket Square; la polizia caricò per disperderla; venne gettata a terra una bomba. Non si riuscì mai a scoprire chi l’avesse gettata.

Per la morte di alcuni poliziotti vennero incriminati otto anarchici e condannati alla forca dal giudice Joseph Gary. Gli imputati, in mancanza di prove concrete della loro colpevolezza, sapevano e lo gridavano ai quattro venti di essere stati processati e condannati non per il reato di omicidio, ma per le loro idee sovvertitrici dell’ordine costituito. Il più giovane, Louis Lingg, si suicidò la notte prima dell’esecuzione. Il suicidio venne considerato da molti come una confessione di colpevolezza.  



(*) Con la fine della guerra civile, costata 750.000 morti, venne a stabilirsi negli Stati Uniti d’America l’abolizione della schiavitù, e ciò non poteva che avere gli effetti più benefici su tutto il mondo. Johnson, successore di Lincoln e primo presidente americano ad essere sottoposto alla procedura di impeachment, si oppose all’adozione del Quattordicesimo emendamento ove si riconoscere, tra l’altro, una definizione ampia di cittadinanza estendibile anche agli schiavi liberati, e in buona sostanza Johnson era contro il voto per i neri. Ad ogni modo, scalzata la schiavitù, restava l’apartheid. Per l’affermazione di alcuni elementari diritti civili i neri americani dovettero attendere esattamente un altro secolo (Civil Rights Act del 1964). E ciò tuttavia non è ancora sufficiente ad evitare che la polizia faccia tiro al nero.


(**) MEOC, XLII, pp. 583-84. Il 15 luglio 1865, Engels scriveva a Marx: “Anche a me la politica di Mr. Johnson piace sempre meno. Sempre più violento ricompare l’odio contro i negri, ed egli si lascia sfuggire ogni potere dalle mani nei confronti dei vecchi lords del sud. Continuando di questo passo, fra 6 mesi tutte le vecchie canaglie secessioniste siederanno al Congresso di Washington”. Previsione azzeccata.

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