Caspita
se le parole sono importanti. Servono a dissimulare la realtà. Perciò i padroni
conoscono molte più parole degli schiavi, ma soprattutto le combinazioni
creative del linguaggio. Chi domina la comunicazione sociale comanda anche su
tutto il resto. Che significa, per esempio, un’espressione come: a tutele
crescenti? Nel linguaggio della vita reale vuol dire che i lavoratori non hanno
gli stessi diritti e le stesse tutele. Che ognuno i diritti e le tutele se li deve sudare, laborioso e obbediente, sperando nella buona stella e
nell’estro del padrone, non meno che nella “contingenza”, cioè nelle variabili
della “crisi”.
E a proposito di tutele, tenendo
presente che il padrone, sia esso presente in carne ed ossa o un trust con sede
legale chissà dove, può licenziare in qualunque momento, privandoti dei
mezzi necessari per vivere. Con una semplice lettera raccomandata, prestampata.
Se hai una certa età, la speranza di raccattare un nuovo lavoro a schiavitù crescente diventa chimerica, ed ecco allora intervenire il
presidente dell’Inps, il quale propone un “sussidio” per gli “over 55”. E
dunque il lavoro non è più (ma lo è mai stato?) un diritto, e per far fronte
all’“aumento della povertà” (e per alleggerire le statistiche della disoccupazione giovanile) si provvederà con l’elemosina. Del resto non era la
stessa cosa per le plebi dell’antica Roma? Si torna indietro, di qualche anno.
In
altri termini, quello che gli specialisti dell’ideologia vogliono
effettivamente dissimulare è un fatto assai semplice, e cioè che i membri
proletarizzati della formazione sociale capitalistica sono costretti a
procurarsi i mezzi per la propria sopravvivenza entro le sfere di attività
disegnate dal movimento del capitale. Non ci si rende conto abbastanza, nel
frastuono mediatico cui siamo sottoposti, del fatto che nonostante gli enormi
sviluppi tecnici e scientifici, il lavoro resta un puro e semplice mezzo per
l’esistenza del lavoratore, anzi un mezzo coatto che coarta la sua attività ai
fini della valorizzazione del capitale. E d’altra parte la stessa divisione
sociale del lavoro non risponde ad esigenze funzionali o tecniche, ma anzitutto
a quelle costitutive di tale valorizzazione. E con ciò il rapporto del
lavoratore con il proprio lavoro estraniato perde ogni carattere di libertà,
essendo il lavoratore scelto dal lavoro
nel quadro delle finalità poste dal movimento del plusvalore.
Ma
non vorrei insistere troppo su concetti che all’epoca nostra ci viene detto
siano quantomeno “astratti”.
Cara Olympe,
RispondiEliminasono convinto che di questo passo ritornera': "les temps des cerises".
Stamane ho sentito un "imprenditore" dire: con la mia azienda mantengo 50 famiglie.
RispondiElimina50 lavoratori mantengono la famiglia dell'imprenditore se questi non è parte attiva nella produzione. altrimenti col suo lavoro mantiene la sua famiglia ed espropria una parte del valore prodotto dai 50 lavoratori. si tratta di una verità banale, ma pur sempre della verità.
EliminaAppunto, per dire come viene mistificata una semplice verità.
EliminaMichele
O.T: http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/people/persone/2015/04/15/gwyneth-paltrow-vive-una-settimana-da-povera-e-twitter-la-massacra_3c4e86c7-30dd-4ad5-9810-91d363477d18.html
RispondiEliminaMi chiedo a cosa servono ste trovate.
Saluti