venerdì 24 aprile 2015

La lotta


Nel tempo lungo si è visto come il riformismo abbia perso la sua scommessa con la storia, come infine si sia prodotta una fusione sostanziale tra gli interessi del capitale e la politica. Com’è potuto avvenire? Era già nelle premesse. Quel tipo di politica delle “riforme”, che puntava nelle magnifiche sorti e progressive del capitalismo riveduto e corretto, era garantita dal ciclo economico espansivo, e non già di per sé dalla forza delle idee e di un progetto.

Se il riformismo non è più tale nemmeno nominalmente perché ha reciso ogni rapporto con le questioni dei diritti e delle tutele, privo di un progetto di società, è perché quell’idea di riforma del capitalismo era una mistificazione della realtà laddove a dominare sono determinati e non eludibili rapporti di produzione. Le dinamiche della globalizzazione non possono essere validamente contrastate sul piano delle politiche riformistiche, sul tipo facciamo pagare le tasse ai ricchi, alle multinazionali.



Nel riformismo si manifesta un fraintendimento profondo e sostanziale della realtà capitalistica, di sottovalutazione e ignoranza del marxismo che avrebbe dello stupefacente se non conoscessimo le matrici culturali su cui poggia il qualunquismo democratico, tanto più in un paese come il nostro (*). È l’oggettiva forza delle dinamiche capitalistiche, la lotta economica, ad imporre a qualunque forza politica di governo, posta per mera ipotesi la sua autonomia, la direzione obbligata, e cioè di farsi strumento degli imperativi del processo di valorizzazione e baluardo degli interessi della finanza internazionale. Si veda in Italia il caso Fiat (ed altri) e in Grecia con i rimborsi al Fmi.

E anche quei settori più radicali del riformismo, che passano invariamente per “marxisti”, che dicono di voler puntare sulla questione di una nuova istituzionalità e di riorganizzare gli equilibri sociali intorno al cosiddetto workfare e alle sue istituzioni di controllo e disciplinamento, si tratta solo di cazzate di chi parla sempre a bocca piena. La realtà con cui fare i conti sono i rapporti di produzione capitalistici e il dominio che su di essi esercita la borghesia. In altri termini, detto per essere comprensibili a chi ha una laurea in filosofia e dintorni, si tratta dei rapporti tra padroni e schiavi, di produzione e riproduzione di tali rapporti stessi, che nessuna politica di regolazione e disciplinamento potrà mai trasformare in qualcosa di diverso da ciò che sono e da ciò a cui sono funzionali: l’estrazione di plusvalore.




(*) Detto tra parentesi, il vero “metadone” è questa sottovalutazione e ignoranza del marxismo, e non Renzi di per sé. E tuttavia da dei democristiani abituati a regolare i loro rapporti in base ad analisi soggettive e di lotta tra bande non si può chiedere di più.

1 commento:

  1. Olympe. è una lotta impari, quando la ROBA è l'unico valore.
    Da LA ROBA di Giovanni Verga:
    Erano gli ulivi di Mazzarò. E verso sera, allorché il sole tramontava rosso come il fuoco, e la campagna si velava di tristezza, si incontravano le lunghe file degli aratri di Mazzarò che tornavano adagio adagio dal maggese, e i buoi che passavano il guado lentamente, col muso nell'acqua scura; e si vedevano nei pascoli lontani della Canziria, sulla pendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandrie di Mazzarò; e si udiva il fischio del pastore echeggiare nelle gole, e il campanaccio che risuonava ora sì ed ora no, e il canto solitario perduto nella valle. - Tutta roba di Mazzarò. Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell'assiolo nel bosco. “… Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll'affaticarsi dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch'era tutto quello ch'ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba”. “… E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: - Guardate chi ha i giorni lunghi! Costui che non ha niente! -
    Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all'anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con me!”.
    ciao, buona domenica

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