L’introduzione
e lo sviluppo delle macchine nel processo produttivo si presenta come forza
rivoluzionaria e ciò appare al senso comune come il motivo più caratteristico del modo di produzione
capitalistico rispetto a tutti i modi di produzione precedenti. E che ciò sia
vero nessuno può negarlo. L’intelligenza pratica intuisce i motivi della spinta
allo sviluppo tecnologico, cioè come effetto della dinamica del processo di
valorizzazione del capitale, ma non ne coglie la dialettica interna (e non è qui il caso di ripetere cose già dette).
Tutte
le trasformazioni avvenute nei modi di produzione precedenti non hanno mutato
sostanzialmente i rapporti di produzione, limitandosi a sostituire una forma di
proprietà ad un’altra, una forma di sfruttamento con un’altra: dalla proprietà
schiavistica, alla proprietà feudale, alla proprietà capitalistica; dallo
sfruttamento degli schiavi, allo sfruttamento dei servi della gleba, allo
sfruttamento degli schiavi moderni.
Qualunque fosse il livello di
affrancamento e di benessere raggiunto
dall’antico schiavo e dal servo della gleba, essi non erano mai effettivamente liberi
dai propri obblighi e doveri verso i loro padroni. Ci vollero secoli di lotte e
di rivoluzioni per liberarli dal giogo di tale schiavitù e a ciò contribuì in
modo decisivo lo sviluppo economico e l’affermarsi del modo di produzione
capitalistico. Tuttavia ciò ebbe come risultato immediato il fatto che le
condizioni materiali di lavoro si presentassero non appartenenti all’operaio ma
al capitale, con la sottomissione dell’operaio e l’assorbimento del suo lavoro.
Per
venire all’oggi, nonostante le apparenze e le credenze opportunamente
instillate, il livello di libertà e di benessere raggiunti dal proletariato non sarà mai tale da renderlo padrone
della propria vita e libero di decidere il proprio destino fino a quando la
propria attività e con essa la propria vita saranno subordinati alla produzione
e riproduzione dei rapporti sociali che lo sottomettono alle esigenze di
valorizzazione del capitale.
È
vero peraltro che sulla base delle possibilità oggi raggiunte dalla tecnologia
e dalla scienza si fanno sempre più marcate certe contraddizioni e tendenze, e dunque
la possibilità di liberare il proletariato dalla forma di sfruttamento del
lavoro salariato, e tuttavia ciò è
inattuabile nell’ambito del modo di produzione capitalistico, poiché nello stadio del dominio reale del capitale, la logica di sviluppo (condizione, forme, settore di applicazione) delle macchine e così come dell’applicazione tecnologica della scienza è tutta interna al processo di valorizzazione..
Va del resto anche osservato che se la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione ha un carattere
oggettivo ed è alla base della crisi
generale del modo di produzione capitalistico, tuttavia il ruolo che deve
svolgere la soggettività rivoluzionaria è decisivo, poiché la soggettività si
produce e si manifesta proprio su tale contraddizione oggettiva, non può prescindere da essa, ma è la
protagonista assoluta sulla scena storica del cambiamento.
Se
nello scontro interimperialistico in atto non interverranno fatti tali da
mettere in gioco la sopravvivenza dell’umanità e della sua civiltà, sarà
necessaria una rivoluzione davvero epocale per superare questo sistema di
produzione divenuto esiziale e anacronistico sotto ogni aspetto, e non c’è arma
che non venga impiegata dalle classi dominanti per screditare anzitutto il
marxismo, e non c’è violenza, strage o genocidio che non saranno tentati per
bloccare il corso impresso dalle cose alla storia. In tali condizioni, non
esiste alcuno spazio reale per il compromesso, nessuna scorciatoia.
Vorrei essere smentito, ma guardandomi intorno non vedo punta «soggettività rivoluzionaria» se non quella che, sempre lucidamente, si esprime qui.
RispondiEliminala vecchia talpa sembra in sonno poi all'improvviso ... chissà. la storia si misura sui tempi lunghi, il nostro è solo un batter d'ali, spesso nemmeno quello
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