giovedì 5 marzo 2015

Se avessi mille euro al mese ...


Scrivo poco su argomenti d’attualità, ancora meno sui temi della polemica corrente. Nessuna spocchia, credo, ma semplicemente la constatazione che si tratta, sempre e comunque, di un dibattito falsato già in premessa. Passo subito ad un esempio concreto, di modo da far comprendere qual è la differenza tra una posizione di “sinistra” e una posizione di “destra”. Perché non è vero che certe posizioni non sono di parte, specie quelle che si ammantano di un’aura di obiettività insindacabile e statisticamente inoppugnabile. È gente che vuole cogliere fiori in tutte le aiuole.

Prendiamo la questione delle pensioni e della sostenibilità della cosiddetta previdenza pubblica. Tutti sappiamo di quali vantaggi ha goduto chi è andato in pensione con il sistema di conteggio detto “retributivo” rispetto a coloro il cui calcolo pensionistico viene fatto solo con il contributivo; poi viene la questione dell’età pensionabile e via discorrendo. In aggiunta i ben noti privilegi di certe categorie sociali, e come tutto questo abbia creato dei forti squilibri nella bilancia previdenziale, tanto che si è dovuto por mano per via legislativa più volte al sistema delle pensioni.

Vediamo però come le riforme adottate si trasformano e dividono di volta in volta, come del resto l’odierna riforma del lavoro, in mucchietti di cose buone o passabili, e in mucchi di sterco.



E ciò perché accade? Per il motivo che presa così la questione è fuorviante, falsata ideologicamente. Nel mondo noi vediamo agire le riforme per motivi ben più profondi che non i vantaggi o gli svantaggi di questo o quel metodo. Ormai non facciamo più caso a ciò che costituisce il contenuto essenziale della lotta tra le classi sociali (ma a chi lo dici, al pragmatico Bersani, all’affabulatore Vendola?).

La questione delle pensioni, così come altre, va posta in modo radicale, cioè su un terreno ideologico diverso da quello borghese. Per trovare le risposte giuste bisogna, ovviamente, porsi le domande giuste. Non partire dai fenomeni, ma interrogarsi sulle cause. Sono realmente quelle elencate, in sintesi, le cause dello squilibrio previdenziale, o non sono piuttosto altre?

Se una parte consistente della ricchezza socialmente prodotta va in profitti privati, e se poi, per soprammercato, su tali profitti non si pagano o si pagano poche tasse, a me pare evidente che l’origine degli squilibri sociali, compresi quelli attinenti ai conti pubblici, sia da cercare altrove, e non tanto negli assegni pensionistici (che peraltro nella stragrande maggioranza dei casi sono assai magri, attorno o sotto i mille euro), né tantomeno nelle soglie di maturazione del diritto.

Se la ricchezza sociale fosse distribuita secondo criteri meno irrazionali di quanto avviene, e l’economia stessa fosse sottoposta a una pianificazione e dunque sottratta a una logica dell’arricchimento di chi possiede e controlla il mondo; se il lavoro fosse distribuito in modi diversi, e ad ogni individuo fosse garantito il lavoro e un reddito; se si eliminassero le produzioni inutili e anzi solo nocive ma assai profittevoli per pochissimi, gli sprechi e le più insulse dissipazioni, eccetera. Se dunque le questioni fossero poste in una dimensione, in una prospettiva, e in una luce diverse, tutti i termini del dibattito e dell’azione politica cambierebbero.

Si tratta di accedere a delle mutazioni sociali e storiche che da quantitative diventino qualcosa di qualitativamente nuovo, e ciò è possibile solo e soltanto con un passaggio da un ordinamento sociale ad un altro. Chi cerca per via legislativa il cambiamento, in luogo dell’instaurazione di un nuovo ordinamento sociale, non agisce per dei mutamenti sostanziali che ci facciano uscire dalla crisi storica del capitalismo e dall’antico. In ciò abbiamo assistito al totale fallimento del “riformismo”.


Quei politici di professione che liquidano questo tipo d'approccio come utopia, sostenendo che i tempi non sarebbero maturi, che le coscienze latitano, sono individui che non hanno alcun interesse affinché le cose cambino davvero. Viceversa il loro interesse reale è che la situazione resti sostanzialmente qual è, e che le “riforme” per aggiustare i conti pubblici, fatte a forma di cetriolo, vadano in quel posto sempre ai medesimi. È proprio da tale sistema, sottratto ad ogni razionalità, pianificazione e controllo, che essi, tra i primi, traggono vantaggi. È in gran parte gente che non ha mai vissuto con mille euro al mese e nemmeno a settimana.

8 commenti:

  1. Ciao Olympe, condivido e sottoscrivo....E a forza di farci domande sbagliate stiamo creando una quantità impressionante di nuovi poveri se guardiamo al trattamento pensionistico. Che pensione avranno i precari di ieri, di oggi e di domani magari arrivati a 68/70 anni sicuramente sfiniti?
    Il fallimento del riformismo è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono ancora vedere...

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    1. cazzo, cristiano, manco il tempo di correggere il post (lo faccio sempre dopo) e già m'arriva il commento!
      il bello per queste nuove generazioni verrà a suo tempo. peccato perdersi lo spettacolo, ma possiamo immaginarlo. quelli del califfo sembreranno mammolette.

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    2. quando chi lavora oggi dovrà andare in pensione secondo le regole imposte da quelli che hanno lavorato ieri, quelli oggi in retributivo non ci saranno più e la finiranno di "salvare l'italia" ecc, quindi niente più 1/3 pil in pensioni, infine nuove risorse.
      ma oltre il cinismo il punto rimane COME lavorare. Che senso avrà mai lavorare per lavorare?

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  2. Eh ma, Olympe, lei manca evidentemente di "passione civile".
    Passione civile che, stando alle dichiarazioni di soggetti come Chiamparino, non manca invece a chi fa cadere nelle tasche del partito (per quello che ci è dato sapere...) 100.000€:

    http://www.ansa.it/piemonte/notizie/2015/03/03/industriale-guido-ghisolfi-suicida_1af69892-6654-4226-87fa-0d01ceca7565.html

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  3. troppo indulgente con questo sfascio.
    volendo parlare di alternative, non è negli aridi numeri e nelle sterili riforme conseguenti che bisogna tanto criticare, ma nella qualità del lavoro svolto da una gneerazione che ha accumulato tutto a debito o tutto a evasione, o un po' e un po'.
    La domanda deve rimanere COME si lavora, come ha lavorato chi oggi è in pensione assai retributiva (un vero reddito di cittadinanza in realtà), e vedremmo che non differisce poi molto da come hanno trovato quel posto di lavoro, da come hanno votato o da come, per stare alla triste attualità, il renzi fa le scarpe a tutti (grande consenso).
    e quel COME non è cosa facile a dirsi ma risaputa perché figlia della nostra sventurata tradizione. ciao.

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  4. il sistema pensionistico , quando realmente siano stati versati i "contributi" , e' un furto di stato gia' fin dai tempi della "riforma dini".

    Il problema infatti non e' a chi , come quando e quanto dovrebbero essere pagate le pensioni di oggi e domani , ma dove siano finiti e finiscano i "contributi" di ieri e di oggi

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    1. le mie erano considerazioni più generale, sottratte appunto al dibattito sui "dettagli" (che poi dettagli non sono, d'accordo).

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