Le
celebrazioni per il 50° anniversario della marcia da Selma a Montgomery, con la
presenza del noto criminale di guerra George W. Bush e altri cento membri del
congresso, dovrebbero far riflettere sul grado di mistificazione raggiunto
nelle nostre società, un livello che non ha nulla da invidiare a quello raggiunto
dai regimi dittatoriali del Novecento. E che gli Stati Uniti siano un paese
governato da un’élite razzista e reazionaria non è una novità.
Quel
giorno, il 7 Marzo 1965, centinaia di manifestanti per i diritti civili che
chiedevano il diritto di voto (poveri illusi) sono stati selvaggiamente
picchiati dalla polizia mentre tentavano nella loro marcia di attraversare l’Edmund
Pettus Bridge a Selma, in Alabama, per dirigersi verso la capitale dello stato,
Montgomery. Anche se il pestaggio non raggiunse le vette di brutalità di Genova
2001, si trattò di un episodio di violenza poliziesca che ebbe molta risonanza
mediatica.
In
realtà i neri non manifestavano solo per ottenere (nel 1965!) l’effettivo diritto
di voto (e ciò la dice lunga sulla democrazia in America), ma per l’abolizione
del sistema di segregazione instaurato in particolare con le cosiddette leggi
di Jim Crow. La questione del diritto di voto era sì importante, ma non quanto
gli altri elementari diritti civili, quali per esempio poter accedere in un bar
o in un hotel per “bianchi”. Quelle leggi furono abolite formalmente, ma oggi
per molti aspetti la segregazione razziale esiste ancora. È stata semplicemente
mascherata.
Il
medioevo razzista non poteva continuare come prima, questo le élite bianche “progressiste”
l’avevano ben chiaro. Nel 1961, per fare un esempio, nella contea di Prince
Edward, in Virginia, la resistenza dei bianchi alla integrazione razziale aveva
portato alla chiusura di tutte le scuole, tanto che dovette intervenire il
ministro della giustizia con un’azione legale per ottenerne la riapertura! E
però l’amministrazione Kennedy, come scrive Arthur Schlesinger, diede però “priorità al diritto di voto”
(*), rispetto agli altri diritti civili. Per quale motivo?
Come
scrivevo in un post del 28 novembre scorso, si dovette attendere l’agosto del
1965, dopo il “Bloody Sunday” e la marcia su Montgomery, perché fosse concesso
ai neri di votare. John F. Kennedy, nel 1957, si era espresso contro i diritti
civili dei neri, ma se nelle elezioni presidenziali del 1960 soltanto i bianchi
fossero andati alle urne, Nixon avrebbe avuto il 52 per cento dei voti e
Kennedy non avrebbe potuto vincere nell’Illinois e nel Michigan, per non
parlare del Texas, della South Carolina e della Luisiana. La sola perdita dei
primi due di questi stati sarebbe stata sufficiente per la sconfitta. Tuttavia
in almeno 193 contee meno del 15 per cento dei neri che ne avevano il diritto
poteva iscriversi nei registri elettorali; nel Mississippi in 74 delle 82
contee succedeva la stessa cosa; sui registri elettorali di ben 13 contee del
sud non era iscritto nemmeno un nero.
Scrive
Arthur Schlesinger, amico di Kennedy e stretto collaboratore:
«Kennedy, battendo un pugno sulla
scrivania, rispose con veemenza: “Voi dovete capire il tipo di problemi a cui
mi trovo di fronte”. […] Senza dubbio egli voleva tenere sotto
controllo il movimento dei diritti civili, movimento che, se stimolato, avrebbe
potuto sfuggirgli di mano […].
Kennedy sperava che un forte e
dichiarato impegno presidenziale nei confronti dei diritti civili, accompagnato
dalla designazione di gente di colore a incarichi governativi e da una vigorosa
azione della Casa Bianca e del ministero della Giustizia [a capo del quale sedeva il fratello] in difesa dei diritti dei negri, avrebbero
comunque mosso le acque abbastanza perché egli potesse conservare la fiducia
della comunità negra.»
Kennedy
se voleva essere rieletto l’anno dopo aveva assolutamente bisogno dell’appoggio
dei neri, del loro voto.
Quella
del 7 marzo 1965 non fu però l’unica marcia su Montgomery tentata dai neri.
Nella primavera del 1961 James Farmer e il CORE (Congress of Racial Equality)
organizzarono gruppi di “viaggiatori della libertà” che sfidassero la
segregazione nelle stazioni terminali delle autolinee interstatali, nei
ristoranti e nelle sale d’attesa. Subirono gravi violenze e ad Anniston
(Alabama) uno degli autobus fu incendiato e i passeggeri furono picchiati da
una folla di bianchi, e a Birmingham il gruppo fu attaccato e percosso
nuovamente. Il 20 maggio, quando un gruppo di dimostranti arrivò a Montgomery,
una folla di un migliaio di persone l’accolse con bastoni e pezzi di tubo.
Numerosi di questi “viaggiatori” e altri neri del posto furono pestati.
Non
va dimenticato, per inquadrare gli avvenimenti di quell’epoca, che l’amministrazione
Kennedy era formata da un’alleanza tra democratici liberali del nord e democratici
razzisti del sud. Dopo il Civil Rights
Act del 1964 e il Voting Rights Act
dell’anno dopo, firmati dal presidente Lyndon B. Johnson, e un certo numero di riforme,
tra cui Medicare e altri programmi anti-povertà, che ponevano rimedio a una
situazione insostenibile e socialmente esplosiva, la strategia dell’élite
bianca cominciò a cambiare, puntando decisa verso l’integrazione e la
cooptazione di una piccola minoranza della popolazione afro-americana in
posizioni di potere e di privilegio.
Lo
stesso Nixon, il tanto famigerato “Nixon boia” come si ricorderà, nel 1968 ebbe
a lanciare un programma di “capitalismo nero”, e nel 1969 a costituire l’Office of Minority Business Enterprise.
Il suo obiettivo, dichiarava, era quello di “dimostrare che neri, messicani
americani, e altri possono partecipare ad un’economia in crescita sulla base
delle pari opportunità e raggiungere i vertici della scala sociale, partendo
dai gradini più bassi”.
L’affirmative action, promossa dal Nixon, repubblicano,
e poi adottata come elemento centrale del programma del Partito democratico,
aveva lo scopo di promuovere nel mondo degli affari, in quello militare, dei
media e dello spettacolo, del governo locale, della polizia e del mondo
accademico, uno strato privilegiato di popolazione non bianca che
identificandosi con il capitalismo americano facilitasse la divisione nelle
classi subalterne e favorisse la pace sociale con l’eliminazione, anche fisica,
delle frange antagoniste. Ecco dunque come il movimento per i diritti civili è
diventato un mezzo ideologico per la ristrutturazione del dominio di classe,
sulla base delle politiche identitarie.
(*) I mille giorni di JFK alla Casa Bianca, Rizzoli, 1973.
Poniamo che diciottobrumaio venisse letto da centinaia di migliaia di lettori tutti i giorni, non oso pensare alle conseguenze politiche che avremmo in italia.
RispondiEliminaGrazie Olympe, Franco.
grazie a te Franco.
Eliminaper prima cosa è impossibile che i temi trattati in questo blog, e soprattutto per come vengono svolti, possano avere un largo interesse. oltretutto i miei post sono troppo lunghi, a volte raggiungono le due cartelle. decisamente troppo per l'agonismo del lettore medio. e poi, vogliamo ancora illuderci che qualcosa possa cambiare sulla base delle semplici parole? ciao
Cambiare sulla base delle semplici parole no (non sono così ingenuo), ma avere un quadro della situazione diverso, un punto di vista diverso da quello che ci imboccano da mane a sera i media mainstream, bè, questo farebbe già un'enorme differenza, non credi?
EliminaBuona giornata da, Franco.