domenica 1 marzo 2015

Di amicizia e pace


Immaginiamo che degli uomini bussino alla porta di casa nostra e ci chiedano di entrare. Richiestone il motivo essi rispondono che vogliono entrare per venderci le loro mercanzie, magari scambiandole con altre di nostra proprietà se essi le riterranno convenienti. I prezzi ovviamente li decideranno loro. Opponiamo un netto rifiuto? Gli stessi tizi minacciano di buttar giù la porta con la forza e poi di fare strage. È ciò che si è verificato esattamente nel 1853 tra il commodoro Matthew Calbraith Perry, inviato dal presidente Millard Fillmore con una flotta a bussare alla porta del Giappone. Il trattato che ne seguì si chiamò ovviamente Trattato di amicizia e pace tra Giappone e Stati Uniti.

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Dopo quasi un secolo di film dove i prodi e laboriosi emigranti bianchi sterminano feroci e indolenti pellirossa (già la classificazione è eloquente) la cui preda è lo “scalpo” dei poveri coloni (invertendo con ciò i fatti); dopo decenni di racconti in cui gli eroici liberatori hanno facile ragione dei brutali e un po’ stupidi soldati del III Reich così come dei fanatici e sadici musi gialli; dopo oltre mezzo secolo di propaganda sull’American way of life; dopo tutto questo e molto altro ancora, è pressoché impossibile anche solo scalfire lo stereotipo di un’America patria dei più alti principi di libertà e di democrazia.

Del resto, com’è noto, la storia la scrivono i vincitori, né possiamo augurarci che a vincere fossero i fascisti. Che poi la stragrande maggioranza dei soldati tedeschi caduti nella seconda guerra mondiale siano morti sul fronte orientale, è cosa che in questo 75° anniversario della sconfitta del nazi-fascismo passa in dimenticatoio. Fintanto che alle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz svoltesi in Polonia nessuna autorità russa è stata inviata, a conferma di ciò che in un film vincitore del premio Oscar viene mostrato, e cioè la liberazione del campo da parte delle truppe americane.

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Gli Stati Uniti sono degni eredi dell’imperialismo inglese (un post domani su questi gentleman), poiché hanno dapprima considerato legge naturale il loro dominio su tutto il continente americano (è una storia per nulla nota nel dettaglio), e da una certa epoca hanno applicato tale legge a tutto il globo. Di conseguenza chiunque vi si opponesse è stato considerato un nemico mortale, con le conseguenze che ben conosciamo. Non c’è una sola area del pianeta dove l’azione dell’imperialismo americano non abbia provocato delle crisi.

Gli Usa impararono che si potevano dominare i mercati senza assumersi gli obblighi politici ed economici connessi all’esercizio della sovranità diretta sulle colonie. E tuttavia si sono dichiarati anticolonialisti solo dopo aver consolidato il loro impero (*), solo dopo aver difeso con ogni mezzo i propri dazi doganali essi divennero liberisti puri, solo dopo aver con molto comodo abolito formalmente la schiavitù si sono dichiarati paladini dei diritti civili, e solo da alcuni decenni i neri possono iscriversi nei registri elettorali negli stati del Sud.

Il fatto che gli Usa nel corso del Novecento si siano trovati ad intervenire contro altri imperialismi va visto esclusivamente nell’ottica di quella “legge naturale” che hanno elevato a vangelo dei loro interessi. Le classi dirigenti anglo-americane avrebbero guardato con ancor maggiore favore i fascismi europei se questi non avessero minacciato direttamente il loro dominio; prova ne è che rifiutarono di inviare aiuti alla legittima repubblica spagnola aggredita da ogni lato dal fascismo. E nonostante le leggi razziali e le persecuzioni politiche, non interruppero le relazioni diplomatiche e commerciali con i paesi fascisti. Dopo gli accordi dell’agosto 1941 tra Usa e GB, “le redini della diplomazia internazionale e del controllo dei mercati venivano affidate dal Regno Unito agli Stati Uniti d'America”.

Terminato il conflitto, si trattava di respingere le “orde barbariche”.  Se sostieni che la responsabilità principale della divisione del mondo in due blocchi minacciosi e contrapposti fu anzitutto americana, si corre il rischio di farsi ridere dietro. Eppure si tratta sostanzialmente della verità. Secondo il senatore del Texas, Tom Connally, “il Patto atlantico non era altro che il logico prolungamento della dottrina Monroe”.  Il suo collega dell’Ohio, Robert A. Taft, molto influente, era contrario al Patto atlantico così come veniva proposto, tanto da dire: “Il Patto atlantico si muove esattamente nella direzione opposta a quella dell’Onu e ridicolizza tutti gli sforzi per assicurare la pace internazionale attraverso principi della legalità e della giustizia. Esso divide necessariamente il mondo in due accampamenti armati”.

Non è senza significato che Herbert York, già fisico al Berkeley Radiation Laboratory e al Oak Ridge nell'ambito del Progetto Manhattan, consigliere scientifico di diversi presidenti, in Race to Oblivion (un testo illuminante che consiglio di leggere), ebbe a scrivere che dopo il Progetto Manhattan, per la creazione dell’atomica in anticipo sui tedeschi, gli americani avevano acquisito una sorta di mentalità della “corsa” basata su falsi giudizi:


Ripetutamente, a cominciare da quel momento, i nostri governanti si sono convinti che il nemico, o il conflitto, o qualsiasi cosa si scelga di designare con questo termine, è impegnato a produrre qualche diavoleria tecnologica destinata a distruggerci o, quantomeno, a procurarci seri guai. E ogni volta queste convinzioni si dimostrano completamente false o, almeno, enormemente esagerate.

2 commenti:

  1. Olympe, il primo tranello della storia è il “Cavallo di Troia”, Cmq è paradossale che la rivolta delle colonie americane contro la madre patria inizi con un FALSE FLAG(buon sangue non mente): IL Boston Tea Party del 16 dicembre 1773, ossia l’assalto alle navi della Compagnia delle Indie effettuato da alcuni coloni, travestiti da Indiani Mohawk, che gettarono in mare un carico di tè.
    Da allora la storia degli usa è stata costellata da ampliamenti territoriali mediante immigrazione, sospingimento, espulsione e sterminio degli autoctoni, costruendo il paradigma su cui si baseranno in seguito le dottrine geopolitiche della democrazia nordamericana: dalle politiche invasive di Monroe-Adams [1823] del principio del “destino manifesto” [1845], e dalla politica del big stick di Theodore Roosevelt, a quella del controllo a distanza per il tramite dei “nostri S.O.B.” di F. Delano Roosevelt, a quella del containment di Truman("Possono esserci momenti in cui i governi ospiti mostrano passività o indecisione di fronte alla sovversione comunista e, secondo l’interpretazione dei servizi segreti americani, non reagiscono con sufficiente efficacia (…) I servizi segreti dell’esercito degli Stati Uniti devono avere i mezzi per lanciare operazioni speciali che convincano i governi ospiti e l’opinione pubblica della realtà del pericolo insurrezionale. Allo scopo di raggiungere questo obiettivo, i servizi americani devono cercare di infiltrare gli insorti per mezzo di agenti in missione speciale che devono formare gruppi d’azione speciale tra gli elementi più radicali”), per arrivare, infine, alla odierna “esportazione della Democrazia” dei neocons.
    In questo periodo stanno “esportando Democrazia” a più non posso.
    Saluti
    PS: La perdita delle colonie, e quindi il mancato guadagno della vendita del tè, spinse la compagnia delle Indie ad incrementare la vendita dell’oppio in Cina, che porterà alle guerre di cui parli nel tuo ultimo post.
    Ed è nell’ambito della II° guerra dell’oppio che avviene un altro paradosso: lo scontro tra i Taiping, l’esercito imperiale e gli inglesi. Questi ultimi, avendo capito che i Taiping erano più forti dell’esercito imperiale, combatterono contro entrambi, per evitare che la vittoria dei Taiping comportasse una guerra più violenta.
    SOB =Son Of Bitch

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    1. la vendita dell'oppio in cina fu un modo di pagare l'importazione del tè, poi divenne un grande affare di per sé
      ciao

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