La storia è un ripetersi estenuante
degli stessi temi, quello della sopravvivenza e del potere. Se non fosse per la
continua mutazione degli attori e delle loro motivazioni fantastiche, la storia
sarebbe noiosa come la recita del rosario. Non sono molto d’accordo con la tesi
che vorrebbe la storia presentarsi dapprima come tragedia e poi, una seconda
volta, come farsa. Questo è ciò che accade nell’avant-scène, ma tra le quinte,
dove lottano le anime comuni, la storia ha sempre l’aspetto di una tragica
farsa. A preoccupare è la facilità con la quale le classi dominanti possono
manipolare lo spettacolo servendosi di demagoghi.
*
Sono
recenti le immagini in cui si vedono alcuni individui distruggere con l’uso di mazze
delle antiche statue presso – si dice – Ninive, sul sito della moderna Mosul, che
fu la capitale dell'impero assiro. Sono immagini terribili, che suscitano
rabbia impotente. A tanto può arrivare il fanatismo ammantato di motivazioni
religiose. Tuttavia sembra che la maggior parte di quelle sculture siano delle
repliche. Di scelleratezze del genere è zeppa la storia e senza riguardo alla
latitudine. Non va dimenticato quanto successe nell’ottobre 1860 ad opera dei
civilissimi inglesi e francesi in Cina.
*
Nella
Cina imperiale le carestie non avevano un andamento diverso che altrove,
dipendeva dai raccolti e dunque dalle circostanze climatiche se in alcuni anni
il popolo operoso doveva digiunare più del solito ma anche morire d'inedia. Le rivolte dei contadini non erano diverse da quelle europee. In ogni luogo ad
approfittare di tali rivolte sono sempre altri che non i contadini.
Nel
1644 la dinastia Ming fu deposta da una rivolta di contadini, il suo ultimo
imperatore si suicidò impiccandosi a un albero del giardino del suo palazzo. Ad
approfittarne furono i Manciù, un’etnia di origine tartara stabilita oltre la
Grande Muraglia, nel nord-est della Cina. Si riversarono oltre il confine e
insediarono la loro dinastia (Qing) a Pechino.
Non
mi dilungo sulle differenze tra Manciù, piccolissima minoranza, e la stragrande
maggioranza di cinesi di etnia Han. Rilevo solo che oltre alla diversità della lingua,
i Manciù portavano il codino mentre gli Han avevano sì i capelli lunghi ma
raccolti in una crocchia. Come
segno di sottomissione gli Han dovettero adottare l’acconciatura Manciù. Alle
donne Manciù, inoltre, non veniva imposta la famosa fasciatura costrittiva ai
piedi. Per il resto i Manciù adottarono nel tempo la lingua cinese e molte delle relative usanze.
Sotto
la dominazione Manciù l’impero cinese divenne tre volte più vasto, con 13
milioni di chilometri quadrati (attualmente la Cina è 9,6mln chilometri quadrati).
Tutto andò bene, e un secolo dopo la popolazione poteva stimarsi in 150 miloni,
ma l’introduzione della patata e del mais, facili da coltivare e ad alto
contenuto proteico, provocarono in un secolo una vera esplosione demografica.
Verso il 1850 la popolazione aveva raggiunto circa i 400 milioni.
Un
aumento demografico del genere, in un tempo così breve, non poteva che provocare
marcati squilibri economici e destabilizzare il sistema sociale. In tale
situazione nel 1850 scoppia nella Cina meridionale, nella provincia costiera
del Guangxi, la più disastrosa rivolta contadina della storia cinese, quella
dei Taiping. Tre anni dopo la rivolta arrivava a Nanchino, dove fu creato il
Regno celeste dei Taiping.
Gran
parte delle diciotto province cinesi erano in rivolta. All’origine della
crisi non c’era solo il problema demografico (un aspetto consisteva
nel grande numero di piccoli letterati senza lavoro), ma anche una gravissima
situazione finanziaria per cui le classi popolari venivano pagate con monete di rame
che si deprezzavano in rapporto all’argento che serviva da base di calcolo
delle imposte.
La questione dell’argento trovava la sua origine anzitutto nella cosiddetta
guerra dell’oppio, causa del primo conflitto armato cinese con l’Occidente. La prima
guerra dell’oppio fu scatenata dall’Inghilterra in risposta al giro di vite
imposto da Pechino al mercato illegale dell’oppio in Cina.
L’oppio
era prodotto nell’India britannica e importato di contrabbando in Cina
prevalentemente da mercanti inglesi che man mano si sottrassero al controllo
della Compagnia delle Indie (*). Pechino aveva proibito sin dal 1800 la
coltivazione, l’importazione e il consumo dell’oppio, consapevole dei danni che arrecava all’economia (veniva pagato in argento) e alla salute della popolazione. Nel
1839, l’imperatore Daoguang incaricò Lin Zexu, commissario imperiale di Canton,
l’unico porto d’accesso occidentale alla Cina, di stroncare il commercio
dell’oppio.
Lin
Zexu, tra l’altro, scrisse una lettera alla regina Vittoria, che fu pubblicata
in lingua inglese, nella quale diceva: «Mi
dicono che fumare oppio è severamente proibito in Inghilterra, pertanto
l’Inghilterra conosce i danni che provoca la droga. Se l’Inghilterra non consente
che l’oppio avveleni il suo popolo, non dovrebbe consentire alla droga di
avvelenare i popoli di altri Paesi». L’Inghilterra, allora il maggiore paese
imperialista, non poteva certo farsi carico di cotali scrupoli morali (**).
Cosa di non scarso rilievo è il fatto che lo stesso Lin fece attenzione nel distinguere il commercio illegale dell'oppio da quello legale delle altre merci, chiedendo al governo britannico di favorire quest'ultimo. La vendita di questa droga divenne per 60anni il cespite principale di Londra.
Cosa di non scarso rilievo è il fatto che lo stesso Lin fece attenzione nel distinguere il commercio illegale dell'oppio da quello legale delle altre merci, chiedendo al governo britannico di favorire quest'ultimo. La vendita di questa droga divenne per 60anni il cespite principale di Londra.
Per
tutta risposta le principali compagnie commerciali e le Camere di commercio
inglesi si posero sul piede di guerra. L’iniziativa cinese fu tacciata di
essere “oltraggiosa” nei confronti della proprietà britannica (erano state distrutte
dalle autorità cinesi enormi quantità d’oppio a Canton), e vi furono appelli
per l’entrata in guerra allo scopo di ottenere “soddisfazione”. Ovviamente il
governo si dichiarò favorevole, mentre l’opposizione, per voce del futuro
premier William Gladstone, si dichiarò veementemente contraria.
Per
farla breve, le navi da guerra britanniche, con 20mila uomini (compresi 7mila
indiani) attaccarono le coste cinesi e il porto di Canton. La Cina, sconfitta,
fu costretta il 28 agosto 1842 a firmare il Trattato di Nanchino, oltre a pagare
un indennizzo di 21 milioni di dollari d’argento. Una cifra folle che costrinse
il governo cinese ad aumentare la tassazione e ad altre misure draconiane.
A
seguito del trattato, l’importazione dall’India di oppio raddoppiò
immediatamente, triplicò nel decennio successivo, poi il suo consumo dilagò a
tal punto che nelle famiglie cinesi veniva spesso offerta agli ospiti la pipa
da oppio. A trarne profitto non erano solo trafficanti angloamericani ma anche
gruppi criminali interni, come per esempio la Triade che con tale commercio si
arricchiva.
Il
Trattato di Nanchino obbligò la Cina ad aprire al commercio altri quattro porti
oltre a Canton, i quali divennero insediamenti occidentali sottoposti alle loro
leggi (***). Inoltre, la Cina fu costretta, nonostante il suo precedente
rifiuto, ad accettare i missionari occidentali, prima interdetti. Specie il
cattolicesimo francese si diffuse rapidamente, tanto è vero che i ribelli
Taiping, sostenuti finanziariamente dai proprietari terrieri locali ostili alla
dinastia Qing, non trovarono di meglio che combattere in nome del
cristianesimo, e il loro capo, Hong Xiuquan, antesignano dei califfi odierni,
dichiarava di essere il fratello minore di Gesù. Era stato sotto l’influenza di
un missionario cristiano evangelico.
Questo
per quanto riguarda la prima guerra dell’oppio. E tuttavia, nonostante i
risultati raggiunti, gli imperialisti europei reclamavano l’apertura di altri
porti e chiedevano l’insediamento di una loro rappresentanza nella capitale. Pechino non acconsentiva a simili richieste. Ancora una volta i
britannici decisero che “le navi da guerra erano assolutamente indispensabili”.
Il pretesto, al pari di molti altri casi, fu presto trovato: un incidente che
nel 1856 coinvolse un battello, l’Arrow.
L’anno
seguente Lord Elgin, figlio di Thomas Bruce, VII conte di Elgin, ossia di colui
che trafugò i marmi dal Partenone e li trasportò in Inghilterra, fu
inviato in Cina con una flotta di navi da guerra. I francesi presero parte alla
spedizione punitiva come alleati, per garantire, dissero, l’accesso ai loro
missionari in Cina. Da notare che nel frattempo stavano sottomettendo
l’Indocina.
Il corso della guerra ebbe alterne vicende, fino a quando nel 1858 l’imperatore Xianfeng fu
costretto ad inviare una missione di negoziatori presso Elgin perché firmasse
un nuovo trattato secondo le richieste europee. Come disse l’inviato francese,
barone Gros, all’imperatore fu puntata “una pistola alla tempia”. Le cannoniere
britanniche lasciarono i forti cinesi di Dagu.
L’imperatore
aborriva il nuovo trattato impostogli con la forza, e arrivò a proporre
all’Inghilterra e alla Francia l’esenzione da tutte le tasse affinché
acconsentissero di annullare il patto firmato dai suoi emissari a Shanghai. Le
due nazioni si dissero ben felici di non pagare più le tasse ma il trattato
doveva restare in vigore. Quando nel 1859 giunse il momento di ratificare il
trattato a Pechino, fu inviato il fratello minore di Elgin, Frederick Bruce,
con una delegazione. L’imperatore fece di tutto perché la delegazione europea
non giungesse nella capitale, e alla fine le truppe di Bruce furono
inaspettatamente sconfitte.
Elgin
e Gros tornarono in Cina l’anno dopo con una forza militare imponente.
Marciarono su Pechino, la ratifica degli accordi firmati due anni prima
ovviamente non bastava più, si erano aggiunte altre richieste, oltre al
pagamento di altre indennità di guerra. Tuttavia Elgin voleva ancora una volta
negoziare, ed inviò a Pechino un suo rappresentante, certo Harry Parkes.
All’imperatore venne la balzana idea di arrestarne i componenti e di sottoporli
a una prigionia sul tipo di quella in uso ora a Guantanamo.
In sintesi, le truppe anglo-francesi (compreso un corpo di coolie cantonesi
addetti ai trasporti) si diressero a Pechino da dove invece fuggì in tutta
fretta l’imperatore e la sua corte, lasciando il Vecchio Palazzo d’Estate. Si
trattava in realtà di un complesso di oltre duecento edifici e padiglioni imponenti
che sorgevano su un’area di 350 ettari, la cui costruzione era iniziata al
principio del XVIII secolo e ampliati nei successivi cento anni. Progettati dai
gesuiti Giuseppe Castiglione e Michel Benoist, rispondevano al gusto dell’imperatore
Qianlong il Magnifico. Tali edifici avevano solo esternamente l’aspetto
barocco europeo, ma la statica si basava sull’architettura cinese in legno e
non sull’opera in muratura europea.
Scrisse
un ufficiale inglese: “La prima volta che entrammo nei giardini ci tornò alla
mente uno di quei luoghi magici descritti nelle favole; quando ne uscimmo il 19
ottobre, ci lasciammo alle spalle una tetra desolazione, un deserto di rovine”.
Dapprima arrivarono i soldati francesi che depredarono il contenuto dei
palazzi, distruggendo tutto ciò che non era trasportabile, poi giunsero gli
inglesi che completarono l’opera di razzia, infine gli edifici furono dati alle
fiamme. L’incendio infuriò per giorni.
Victor
Hugo, in una lettera del 1861 al capitano Butler ebbe a scrivere a tale
riguardo:
«[…]
C'era, in un angolo del mondo, una
meraviglia del mondo; questa meraviglia si chiamava Palazzo d'Estate. […] Immagini una qualunque ineffabile
costruzione, qualcosa di simile ad un edificio lunare, e le comparirà dinanzi
il Palazzo d'Estate. Costruisca un sogno con marmo, giada, bronzo, porcellana,
lo intagli in legno di cedro, lo copra di pietre preziose, lo foderi di seta,
lo renda da una parte santuario, dall'altra harem, dall'altra ancora
roccaforte, vi ponga all'interno degli dei, vi ponga all'interno dei mostri, lo
faccia verniciare, smaltare, dorare, truccare, da architetti che siano poeti,
faccia imbastire i mille e un sogno delle mille e una notte, aggiunga giardini,
bacini, getti d'acqua e schiuma, cigni, ibis, pavoni, in una parola s'immagini
una sorta di sfolgorante antro della fantasia umana avente la sagoma di tempio
e di palazzo, quel monumento era tutto questo. […] Quell'edificio, che aveva la vastità di una città, era stato costruito
lungo i secoli, per chi? per i popoli. Infatti ciò che il tempo realizza
appartiene all'uomo.
Gli artisti, i poeti, i filosofi,
conoscevano il Palazzo d'Estate; Voltaire ne parla. Si era soliti dire: il
Partenone in Grecia, le Piramidi in Egitto, il Colosseo a Roma, Nôtre-Dame a
Parigi, il Palazzo d'Estate in Oriente. Chi non lo vedeva, lo sognava […].
[…] Un giorno, due banditi sono entrati nel
Palazzo d'Estate. Uno ha saccheggiato, l'altro ha incendiato. La vittoria può
essere ladra, a quanto pare. Una devastazione in grande del Palazzo d'Estate ha
fruttato utili spartiti fra i due vincitori. Vediamo implicato in tutto ciò il
nome di Elgin, che ha la fatale prerogativa di ricordare il Partenone. Quanto
era stato fatto al Partenone è stato fatto al Palazzo d'Estate, con più
completezza e meglio, in modo da non tralasciare nulla. Tutti i tesori di tutte
le nostre cattedrali messe insieme non eguaglierebbero questo splendido e
formidabile museo d'oriente. […] Ecco
che cosa ha fatto la civiltà alla barbarie. Agli occhi della storia, un bandito
si chiamerà Francia, l'altro si chiamerà Inghilterra […].»
Il
generale Grant scrisse al ministro della guerra:
«Il 18 ottobre la divisione di Sir John
Michael, con la maggioranza della brigata di cavalleria, fu fatta marciare sul
palazzo e appiccò il fuoco a tutti gli edifici. Fu una magnifica vista. Non
potei che dolermi della distruzione di tale antica magnificenza, e sentii che
era un atto di inciviltà, ma lo ritenni necessario come avvertimento futuro ai
cinesi di astenersi dall’omicidio degli inviati europei e dal violare le leggi
delle nazioni.»
Non
dobbiamo stupirci se il popolo cinese ha potuto alimentare in oltre un secolo
di terrorismo occidentale un sentimento nazionale esacerbato di cui si possono
osservare ancora oggi gli effetti.
(*)
Il tè cinese veniva pagato in argento. Quando nel 1776 la guerra d’indipendenza
americana allontanò gli inglesi dalle riserve d’argento messicane, la soluzione
inglese fu quella di pagare il tè con l’oppio prodotto in India. Quando il
commercio di oppio assunse dimensioni notevoli e fu monopolizzata la sua
produzione in Bengala, il mercato cinese divenne molto più remunerativo e
dinamico di quello dei tessuti. Gli europei avevano finalmente qualcosa da
vendere ai cinesi. Infatti, fino ad allora, l’assenza di una cospicua domanda
di prodotti europei da parte dei cinesi aveva come conseguenza, per l’acquisto
del tè, la necessità dell’invio di metalli preziosi. Si trattava dell’antico
problema di uno squilibrio strutturale nel commercio tra Occidente e Oriente.
Nonostante le massicce importazioni di argento americano tale squilibrio si
corresse solo in parte.
(**)
Il commercio del tè con la Cina inizialmente era stato un’attività secondaria,
sebbene molto redditizia. La bevanda preferita dagli inglesi all’inizio del
XVIII era l’acquavite olandese, ma poi l’aumento degli oneri fiscali e la
difficoltà di reperire i mosti da distillare, fecero in modo che il tè
ottenesse la supremazia e diventasse una merce a buon prezzo. Va rilevato che
con il tè si ingeriva anche una merce dall’offerta sempre più vantaggiosa: lo
zucchero dell’India occidentale. Patate, burro, pane, tè, costituirono nel
XVIII secolo la quintessenza dell’alimentazione inglese. Per lungo tempo furono
gli olandesi a rifornire i britannici attraverso i porti di Canton e Batavia.
(***)
La pletorica serie di trattati imposti alla Cina in quel periodo è di per sé
eloquente. Essi sono detti, non a torto, dai cinesi “Trattati ineguali”. Offro
uno scampolo del Trattato di Nanchino, l’art. 3: “Vi sarà d'ora in poi la pace e amicizia tra Sua Maestà la Regina del
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e Sua Maestà l'Imperatore della Cina e
fra i rispettivi sudditi, che godranno di piena sicurezza e protezione per le
loro persone e proprietà all'interno dei domini dall'altra”. Semplicemente
risibile: quali persone e proprietà cinesi vi erano allora in Inghilterra?
Sarebbe interessante esaminare anche gli altri trattati, o pseudo tali, come la
Charter che fa di Hong Kong una colonia della Corona, ecc..
Questo post non è un solo post: è un articolo degno delle migliori enciclopedie.
RispondiEliminagrazie Luca, mi ricompensi della fatica. francamente non so cosa dicano le enciclopedie al riguardo, né wikipedia. avevo intenzione di inserire alcuni rif. bibliografici ma non mi va di appesantire ulteriormente. c'erano anche dei dati e tabelle da trarre dalle stesse fonti, ma ho preferito il tono discorsivo. e poi il post è lungo, ci si stanca presto oggi con simili letture. perfino l'annuncio dei più importanti provvedimenti governativi non supera le 144 battute. non importa, sopravviveremo, ancora per un po' e poi lasceremo spazio a gente nuova.
EliminaMi associo ai ringraziamenti. Buona giornata
Eliminavince
Pagine di storia che di solito fanno la fine della polvere in casa della massaia svogliata: spazzate e nascoste sotto il tappeto.
RispondiEliminaI capolavori dei "civilizzatori" inglesi. A leggere questo prezioso post mi è venuto in mente che persino noi italiani partecipammo ad una spedizione per civilizzare la Cina. Nel 1900 nel contingente che partì per ristabilire la pace contro i "boxer" c'erano anche dei militari italiani. Che come gli altri si coprirono più di vergogna che di onore. Si può leggere qualcosa nell'interessantissimo "Italiani, rava gente?" di Angelo Del Boca
L'articolo (dice bene Luca: riduttivo il termine "post") prende spunto da un atto di barbarie umana, uno dei tanti esempi di degrado a cui questo essere può ridursi.
RispondiEliminaCon la stesura di un articolo del genere regalato gratuitamente a suoi simili, lei sta anche ampiamente emendando il genere umano da episodi come quello citati sopra e nell'articolo.
Grazie.
P.s.: la mia compagna studia cinese ed inglese nell'ambito di una facoltà di "Mediazione linguistica e culturale".
Sono certo che sarà felice di poter leggere un post così dettagliato e puntuale.
Le sarei grato, qualora ne avesse e il tempo e la voglia, se indicasse i principali rimandi bibliografici cui faceva cenno nel post sopra.
Grazie infinitamente.
Contrariamente per quanto avviene per le traduzioni recenti della storia degli Usa, i saggi che trattano delle vicende cinesi e dell’espansione europea in generale, sono numerosi. Preciso che non ho alcuna competenza specifica per quanto riguarda l’argomento trattato, perciò credo che gli studi della sua compagna la portino a saperne molto di più di me. ad ogni modo indico alcune cose ancora utili presenti nei miei scaffali:
Eliminaviene buono il vecchio K.M. Panikkar, St. della dominaz. Europea in Asia, Einaudi, 1958;
Wolfgang Reinhard, St. dell’espansione europea, Guida 1987.
Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo: denaro, potere e l'origine dei nostri tempi, Il Saggiatore, 2003; Arrighi e Silver, Caos e governo del mondo, Mondadori, 2003.
Jung Chang, L’imperatrice Cixi, Longanesi, 2015.
Per quanto riguarda la politica estera è fondamentale la lettura del mensile Le monde diplomatique, un tempo disponibile anche in edizione italiana (il Manifesto), ora non so.
cordialità
La ringrazio di nuovo, anche a nome della mia compagna.
EliminaQualora le interessasse, il manuale storico di base utilizzato nella facoltà che le dicevo è il libro "Storia della Cina" di John Roberts, ed. Il Mulino.
Le Monde Diplomatique l'ho conosciuto proprio grazie al Manifesto: ho acquistato qualche anno fa dal loro store online "L'atlante storico del XX secolo", ed in effetti mi sono accorto della qualità di molti articoli.
Sempre gentilissima.
Saluti
grazie a voi per la segnalazione. lo conoscevo di nome, ma ora voglio leggerlo. cari saluti
EliminaIstruttivo e fluente racconto che mette un altro tassello nel quadro che tu ogni giorno instancabile componi. Grazie.
RispondiEliminaRoberto
Molte grazie a tutti
RispondiEliminaSiamo noi lettori che dobbiamo ringraziare, questa è una della poche pagine per cui viene da ringraziare l'esistenza del web.
EliminaMerce rarissima, purtroppo affogata in un mare di merda.
Olympe, consiglio un ottimo libro, appena uscito in edizione aggiornata, di John Newsinger: Il Libro Nero dell'Impero Britannico.Saluti
RispondiEliminagrazie per la segnalazione e cordiali saluti
EliminaAggiungo i miei complimenti e ringraziamenti.
RispondiElimina