Se
ci trovassimo sulla cima di una rupe e dovessimo decidere chi tra Berlusconi e
Renzi buttare di sotto, ebbene per quanto mi riguarda butterei di sotto
Landini, nonostante sia un uomo per il quale è facile provare naturale e
istintiva simpatia. Tuttavia qui le questioni personali devono lasciare il
posto alle valutazioni politiche. Insomma, ad ognuno il suo.
Quello
che rimprovero a questi esponenti della sinistra, ovviamente per ciò che conta
il mio giudizio, è il fatto di non parlare chiaro: nel non voler dire
esplicitamente che la riforma sociale trova i suoi limiti oggettivi
nell’organizzazione di classe che il capitale esercita sul processo produttivo
capitalistico informandone i rapporti sociali.
Se
da sempre è negli interessi del capitale che la riforma sociale trova i suoi
limiti naturali, ciò è tanto più vero in una fase che ha mutato radicalmente
non solo la bilancia dei rapporti di forza tra le classi, ma il terreno stesso
dello scontro, basti citare la crisi della rappresentanza politica e il peso
spesso irrilevante dei singoli parlamenti e governi nazionali.
Il
modello sociale cui guarda Landini e altri dei dintorni, con i richiami alla
concertazione tra le cosiddette parti sociali, alle regole di tutela, di
controllo statale, eccetera, è un modello di relazioni superato dalla logica
delle cose. Il liberismo, prima ancora di essere un’ideologia fatta propria da un’accolta
di reazionari, è espressione di quel processo che chiamiamo globalizzazione.
Sembra
si voglia ignorare che quanto più si sviluppa il monopolio capitalistico e
l’aspetto della finanziarizzazione dell’economia, tanto più la proprietà
privata capitalistica si rende autonoma dal processo produttivo, e in tal modo
anche la ricchezza si trasforma sempre più da diritto sul prodotto a diritto di
appropriazione astratto (*).
La
conseguenza di tale stato di cose sul piano dei rapporti tra capitale e lavoro
mi sembra evidente e ben nota a tutti, senza che richiami qui gli esempi della
FCA, della Pirelli e di numerose altre realtà. Ben evidente e note sono anche
le conseguenze sul piano fiscale e dunque sulla spesa pubblica.
Ciò
è conseguenza diretta del modo di produzione capitalistico. Nel suo sviluppo si
accrescono e acuiscono, anziché diminuire e attenuarsi, tutte le conseguenze
che delle sue contraddizioni gli sono indissolubilmente proprie.
Si
è rinunciato a cogliere le contraddizioni dei processi, puntando alla
conservazione (e neanche più al miglioramento!) della situazione del
proletariato e alla sopravvivenza del ceto medio impiegatizio e dei servizi,
rendendosi peraltro conto di essere impotenti ma non prendendo atto che la
ricerca di soluzioni non sta nel tentativo di smussare le punte più acute di
tali contraddizioni.
Landini
è rimasto ai paragoni, pur se motivati, ossia che Renzi è peggio di Berlusconi.
In via di principio sono due facce di culo della stessa medaglia, e però
Landini ha ragione: Renzi è peggio di Berlusconi, e n’è prova il fatto che
quest’ultimo è stato fatto fuori non per gli scandali sessuali (questo possono
crederlo gli ingenui), ma perché si era mostrato troppo tiepido nelle “riforme”
che altri gli “suggerivano”.
E
tuttavia questo modo di argomentare, pur lecito nella polemica politica
spicciola, nasconde il nocciolo delle questioni, ossia che nella situazione c’entri
qualcosa il capitalismo, parola di cui c’è timore solo ad evocarla, per non
finire nell’elenco dei cattivi. Gli viene preferito il più neutro “mercato”.
Da
quando ha rinunciato alla lotta di classe e ai propri ideali per abbracciare
quelli della borghesia; da quando s’è sbarazzata con nonchalance del patrimonio
teorico del marxismo per arrampicarsi al carro del capitale trionfante, la
sinistra italiana è morta. Sull’epoca del decesso propongo una data antica e
che va ben più indietro delle esequie del Pci.
E
dunque Landini cosa propone di costituire, quale soggetto politico alternativo?
Imbarcando i vendoliani, i civattiani, i donciotteschi, e via delirando? Gente che
al massimo può esprimersi per un blando anticapitalismo di maniera, quando non
è impegnata a “governare” o a contare i soldi dei contributi statali. Mussolini
e Hitler si dichiaravano anch’essi anticapitalisti, come del resto Casa Pound
oggi. E pure non pochi grillini sono decisamente a favore della rivoluzione. E
tuttavia anche nei discorsi di Kennedy raramente mancava la parola
“rivoluzione”.
Fossi
in Landini non insisterei troppo nemmeno con le volgarizzazioni di certi
concetti, cari alla precettistica dell’audience televisiva, ossia non
trasferirei la questione sociale dal campo dei rapporti di produzione al campo
dei rapporti di ricchezza, dal rapporto tra capitale e lavoro al rapporto tra
ricchi e poveri. E però in tal caso, mi rendo conto, gli verrebbe meno
l’appoggio con cui sollecita le plebi all’indignazione, come del resto di tanto
in tanto faccio anch’io nel blog.
Sentissi
Landini pronunciare dei semplici concetti: posta l’illimitata capacità di
espansione del capitalismo e i limiti ristretti del mercato di smercio, questo
fenomeno ci dice che la crisi è organica al capitalismo. Inoltre, lo sviluppo
della produttività del lavoro invece di creare nuovo benessere crea
disoccupazione e con essa povertà. Ancora: qualunque misura di riforma si rivelerebbe
inutile o palliativa, poiché il capitalismo è entrato nella sua fase di crisi
storica generale. Il socialismo, nella prospettiva del comunismo, vagheggiato
per secoli come un ideale, è diventato una necessità storica.
Ebbene,
in tal caso, al Landini all'ultimo istante lo tratterrei per un braccio e non lo lascerei cadere
dalla rupe. Pur con il rischio, acchiappandolo al volo, di precipitare con lui.
Ridendo.
(*)
In altri termini, fino a quando il capitalista in persona dirigeva la fabbrica,
la ripartizione si ricollegava ancora, fino a un certo punto, a una
partecipazione personale al processo di produzione. Questa figura del
capitalista tradizionale è divenuta superflua e superata, per cui la direzione
è affidata a un management salariato e/o compartecipe dell’azionario, di modo
che sia la titolarità della proprietà e sia la partecipazione e ripartizione
dei profitti assumono la forma più pura e indiretta.
La domanda è: Landini vorrebbe dire quelle parole ma non può, perché quelle parole non possono essere pubblicamente dette se si vuole sperare di ottenere un qualche consenso politico superiore allo zero virgola? Oppure quelle parole non fanno nemmeno parte del suo bagaglio ideale? Non riesco ancora a darmi una risposta. Che non abbia letto Marx (come Piketty, meno scusabile di Landini) penso lo abbia detto lui stesso, ma è irrilevante: nella sinistra politica anche i pochi che lo hanno letto sono finiti come sono finiti.
RispondiEliminaLeggo infatti,che Renzi ha definito Landini e Salvini ,due soprammobili ,alla pari ,presumo.
RispondiEliminaMi viene persino il dubbio che Renzi ,abbia letto Marx e Lenin in merito agli sviluppi dell'imperialismo globale.
" quanto più si sviluppa il monopolio capitalistico e l’aspetto della finanziarizzazione dell’economia, tanto più la proprietà privata capitalistica si rende autonoma dal processo produttivo, e in tal modo anche la ricchezza si trasforma sempre più da diritto sul prodotto a diritto di appropriazione astratto "
RispondiEliminaormai il latifondismo capitalista (se mi passi il neologismo) è realtà. La borghesia, che in passato giustificava il suo ruolo sociale attrverso il concetto di merito, rischio d'impresa, ecc ecc, ormai è diventata una vera e proprio nobiltà contemporanea. Il denaro e il potere sono un diritto di nascita, che consente un controllo totale sulla vita del resto del mondo.
non aggiungo una virgola
Elimina