domenica 4 maggio 2014

L'inevitabile


Giretto pomeridiano in libreria, ieri, per vedere, si sa mai, che cosa propone di nuovo lo spirito letterario di questa nostra epoca. Sui banchi, in attesa di clienti, c’è Tremonti, Scalfari, Rampini, Bergoglio, Vespa, Cazzullo, i quali ti propongono le solite seghe a 20-30 euro. Se si desidera leggere qualcosa di nuovo bisogna scriverselo da sé, e pure in questo blog ogni tanto incollo qualcosa che dovrebbe interessare.

Tra quella merce da rigattiere, c’è però un libro da poco uscito e che dovrebbe incuriosire: La scintilla, di Franco Cardini e Sergio Valzania, due autori che non abbisognano di presentazioni. Il primo, il medievalista, lo detesto cordialmente, ma ciò è del tutto personale e secondario nelle motivazioni. L’altro, è un ottimo divulgatore che si legge volentieri, ma non è uno storico. Messi insieme, lo storico e il divulgatore, rappresentano una buona esca. Abbocchiamo, fintanto che fuori diluvia.



La tesi del libro s’incentra sull’intervento italiano in Libia nel 1911 (per la precisione: nelle province ottomane della Tripolitania e Cirenaica), un’aggressione che metterà in luce quanto già si sapeva, ossia che l’impero ottomano non era ormai che la “carcassa del turco”, per dirla con una vecchia espressione. È in quegli anni, pure, che prenderà avvio una questione che si trascina fino ad oggi, quella del Vicino Oriente.

L’occupazione italiana risvegliò, indubbiamente, le brame delle piccole potenze balcaniche che, sulla scorta di quanto fatto dalle forze armate di Giolitti, potevano pretendere incrementi territoriali a danno del turco con poca spesa (va peraltro notato che la “stabilizzazione” della Libia sarà ottenuta solo negli anni Trenta e con i “metodi” del prode Rodolfo Graziani).

Che l’avventura italiana in Libia prima e nel Mare Egeo poi, possa essere interpretata come una scintilla del 1914-‘18, è un fatto storico vero (ne accennai in un post dell’8 marzo scorso, e del resto si tratta di cosa risaputa). Ma da qui a sostenere che in quel periodo l’unico elemento d’instabilità veniva dall’impero ottomano, e che l’ingrandimento della Serbia a seguito delle guerre balcaniche su input dell’aggressione italiana alla Libia, fu di per sé l’origine della prima guerra mondiale, mi sembra una tesi assai unilaterale.

È vero che con le due guerre balcaniche la Serbia ebbe quasi raddoppiato il suo territorio e perciò rappresentava ormai per l’Austria una spina nel fianco, ma non si deve dimenticare che l’Austria-Ungheria era sua malgrado disposta ad accettare che la Serbia s’ingrandisse, ma non poteva tollerare che si spingesse fino all’Adriatico, tanto che pretese la costituzione di un’Albania “indipendente”. Del resto pure l’Austria s’era ingrandita nel 1908 annettendo la Bosnia e l’Erzegovina.

Certo che la contesa spartitoria vedeva l’impero ottomano come il boccone più ambito, e tuttavia il quadro era molto più ampio, come dimostrava, ad esempio, la prima crisi marocchina (1905-06), l’affitto di Kiao Chao alla Germania (1897), il tentativo della stessa di insediarsi nelle Filippine l’anno successivo, e ancor prima l’acquisto delle isole Samoa. È normale che dopo l’unità tedesca, una potenza di quel calibro avesse bisogno di garantirsi un proprio spazio vitale per gli approvvigionamenti di materie prime e per la commercializzazione delle proprie merci. Forse che l’Inghilterra e la Francia, il Giappone e gli Usa non facevano altrettanto? Quegli stessi Usa che si ergono ora a paladini dell’indipendenza dell’Ucraina, ma che guai a mettergli un missile alla porta di casa (Cuba 1962).

È perciò nella natura delle cose che la Germania volesse fare da contrappeso per esempio allo strapotere dei consorzi petroliferi angloamericani. I posti a tavola erano già tutti occupati, perciò spingeva con i gomiti. Dal lato finanziario va ricordato lo scritto di Simmens, il direttore della Deutsche Bank, dal titolo Del significato nazionale della borsa, nel quale raccomandava la nascita di una forte borsa nazionale proprio in previsione di una guerra, dicendo che la Germania non avrebbe in tal caso potuto sopravvivere se non avesse avuto una propria borsa con cui organizzare su base autarchica l’economia nazionale. Eccetera.

Ad appiccare il fuoco alle polveri della prima guerra mondiale non fu semplicemente la questione balcanica, quella fu solo, per così dire, la schiuma di ciò che bolliva in pentola. Che un conflitto tra le grandi potenze europee dovesse accendersi era nelle cose da anni, da decenni, e che infine fosse imminente si evince da cento fatti di varia natura e importanza. Di seguito offro qualche scampolo credo illuminante, partendo da un dato politico che riguarda la Germania e poi da dei dati per quanto riguarda il riarmo europeo.

Il partito socialdemocratico (SPD), era il partito di maggioranza relativa in seno al Reichstag, e assieme ai sindacati socialisti rappresentava la più grande organizzazione politica di massa della Germania. Non era pertanto possibile fare la guerra senza l’appoggio della SPD, perché per fare la guerra ci vogliono denari e i bilanci vanno approvati in parlamento. E non mi sto riferendo, come si potrebbe supporre, al fronte unito nazionale del 4 agosto 1914 e all’approvazione del primo credito di guerra, pari a cinque miliardi di marchi, ossia alle votazioni avvenute lo stesso giorno dell’invasione del Belgio e dell’entrata in guerra dell’Inghilterra.

L’adesione all’approvazione dei crediti, che avvenne all’unanimità, non “costituì la prima presa di posizione ufficiale della frazione socialdemocratica nei confronti della guerra” come vuole far credere la storiografia “de sinistra”. I social ruffiani tedeschi si erano già espressi per il riarmo ben due anni prima, nel 1912, allorquando, Ludendorff aveva proposto un aumento di 300mila unità del’esercito attivo germanico che contava allora 622mila uomini. È vero che ciò avveniva anche sotto l’impressione dei movimenti sui Balcani, ma era da anni che si accumulavano “impressioni” di quel tipo e che si predisponevano piani per una guerra imminente sia in Francia che in Germania.

Fatto sta che si trattava, nella proposta del responsabile della mobilitazione tedesca, di aumentare del 50 per cento gli effettivi con l’allestimento di tre poderosi nuovi corpi d’armata (*). Ovviamente i nazionl-liberali erano favorevoli, anzi temevano che ciò fosse insufficiente, e tuttavia per una serie di ragioni infine la proposta presentata nel 1913 al Reichstag fu di 132mila uomini. Per la copertura delle spese ci furono delle trattative che coinvolsero una parte dei socialdemocratici, e si arrivò così a 72mila uomini subito chiamati alle armi il 1° ottobre, prevedendo di prendere in forza l’altra metà nell’autunno del 1914.

Dunque, nell’ultimo inverno di pace gli effettivi tedeschi ammontavano a 750mila. Ciò indusse i paesi vicini ad incrementare i propri: la Francia decise di prolungare la ferma a tre anni, e così guadagnò prima del 1914 ben 160mila uomini; la Russia dal 1906, dopo la batosta ricevuta dai giapponesi, si stava riorganizzando con l’aiuto finanziario della Francia e contava di un esercito doppio di quello tedesco, superando gli eserciti tedesco e austriaco (450mila uomini) di 300mila unità (nel 1916 la Russia arriverà a oltre due milioni di effettivi).

In previsione della guerra su due fronti, Moltke elaborò un piano di attacco che si basava su quello famoso del generale Alfred Schlieffen, presentato nel 1905, che consisteva nello sconfiggere la Francia fulmineamente mentre l’Austria teneva a bada i russi, e poi fare quello che fece Hitler decenni dopo. Moltke fu accusato, in sede storica, di aver deviato da tale piano, avendo escluso l’occupazione dell’Olanda e perciò con l’aver indebolito l’ala destra dello schieramento, lezione che non sfuggì in seguito, come sappiamo, agli attenti strateghi del nuovo Reich.

Sul mare la contesa tra le flotte era in atto da decenni, ed è fin troppo nota la dottrina Mahan per essere il caso di richiamarla. La flotta doveva servire a proteggere il commercio tedesco e a imporre la parità di diritti, la “sociabilità” e l’amicizia (!) con l’Inghilterra (tentata nei primissimi anni del secolo). Ma di là della gara degli armamenti, è il quadro politico e geostrategico che deve essere preso in considerazione, e come esso rivelasse, con le continue tensioni, le alte potenzialità di conflitto. La guerra è il prodotto naturale e genuino dell’imperialismo, sia quello di ieri, di oggi, e quello che potrà darci un nuovo grande conflitto nel prossimo futuro.

Se la Germania oggi non deve ricorrere agli stessi mezzi adoperati nel passato per ottenere i suoi scopi, è perché essa non ha più bisogno, così come le altre grandi potenze, di avere il possesso diretto del suo spazio vitale, essendo sufficiente mantenerlo sotto controllo economico e finanziario, nel quadro di un’alleanza strategica con la più forte potenza militare del pianeta. Ciò almeno fino a quando gli interessi in gioco non diventeranno troppo forti per essere gestiti con accordi pacifici. Allora, come ama ripetere in ogni occasione l’attuale cancelliere, accadrà l’inevitabile.



(*) Mediamente un c. d’a. non andava oltre 30-40mila uomini: per es., l’organico di quelli italiani schierati sull’Isonzo e in Trentino constavano di 2 divisioni con 2 brigate ciascuna, costituite a loro volta da 2 rgt. ternari, dunque complessivamente un c.d’a. era formato da 24 btg. combattenti di fanteria, ossia truppe “di linea”, “di marcia”, alpini, bersaglieri, arditi, ecc. (più le brigate di riserva, in carico però alle armate) che a pieno organico potevano raggiungere mille uomini, e ciò, specie in Trentino, comportava difficoltà e impacci nella manovra. Nel computo va aggiunta l’artiglieria e la logistica, e dunque pressappoco siamo a 30mila uomini per ogni c. d’a.. Cadorna aveva pensato per il 1918, in prospettiva del massiccio riversamento austriaco dal fronte russo a quello italiano, di trasformare i rgtt. ternari in binari, aumentando così di un terzo il numero delle divisioni, portandole a 100. Molti anni dopo, l’esercito mussoliniano adottò questa pianta organica più snella e “manovriera”. Infine, negli anni Ottanta, i rgtt., pur conservavano il nome e la bandiera, quando non venivano sciolti, venivano ridotti a un solo btg, rendendo tra l’altro più snella la catena di comando con la scomparsa delle divisioni e il mantenimento delle brigate.

3 commenti:

  1. In questo gioco c'è però un giocatore in più rispetto a cent'anni fa: gli USA. Mentre lavorano d'amore e d'accordo con la Germania in Ucraina per papparsi quelle terre, non credo abbiano gli stessi piani per l'Europa occidentale. O mi sbaglio?

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  2. Egemoni infatti. Ma se vogliamo essere vagamente obiettivi, sono i primi della classe perchè, indubbiamente dotati e secchioni, l'abbecedario lo scrivono loro (con il permesso di scriverlo pure). Nostro malgrado possiamo soltanto subire, cosa che la nostra elite fa con entusiasmo.

    Il pagamento della cambiale agli USA sul via libera alla loro riunione non presuppone che l'accordo si basi anche sull'amore - il proposito di vendetta non si placa nei secoli. Vedremo se Vladimir Vladimirovic sarà e potrà essere della partita di giro.

    Se è possibile fare un parallelo coerente, posto che mr.President si appresta a fare il giro delle sette chiese orientali, parlando con alcuni giapponesi certo non di giovani generazioni, si conferma che Hiroshima e Nagasaki agli americani non gliel'hanno mai perdonate.

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