Il regista delle nostre vite è il caso.
È noto che gli inglesi hanno una
concezione dell’igiene molto particolare, salvo che per talune esteriorità. Mio
malgrado potrei riferire a lungo sull’argomento per strettissima cognizione. A
voler semplificare, la questione potrebbe aver origine anche dal
fatto che fin quasi al XIX secolo in Inghilterra c’era un’imposta sul sapone. Sennonché gli inglesi sono luridi a prescindere dalla loro classe sociale e ciò
non s’accorda in pieno con l’anzidetta motivazione fiscale. Buckingham Palace, ancora nel 1838, risultava privo di bagni, tanto che per la toilette della nuova
sovrana Vittoria il parlamento decise
di stanziare 5mila sterline.
Né le cose andavano meglio alla
Casa Bianca se è vero che la prima vasca da bagno fu installata solo nel 1851 e
non senza resistenze puritane. Del resto, ancora nel 1880 cinque abitanti
su sei degli Stati Uniti non erano forniti di bagno. Non che le cose andassero
meglio in Italia, laddove il bagno che non fosse semplice recesso di necessità
evacuative è acquisizione relativamente recente in molte abitazioni. Ma ora,
migliorate le strutture, pare le cose vadano meglio di come andavano con
Mussolini, il quale, come raccontava Federico Zeri in un suo libro (Sbucciando piselli), non si faceva il
bagno che una volta alla settimana. Però, stando a Gore Vidal, che ebbe ad
incrociare il Duce alle terme di Caracalla (Palinsesto,
p. 99), faceva largo uso di colonia.
Anche i francesi, dal canto loro,
fanno largo uso di profumi. Per il resto, in materia d’igiene, sono piuttosto
laschi. Ricordo un dopocena con dei parenti d’oltralpe e un mio maldestro
accenno in tal senso con la scusa di citare il romanzo di Patrick Süskind. Offesissimi.
Quando invece c’è da farsi burle su difetti e mende des italiens, siano cose
vere o riciclate dagli stereotipi più vieti, allora inglesi e francesi danno la
stura a quel loro irritante sarcasmo che chiamano, impropriamente, humor o
humour.
*
Lo scorso fine settimana ho
visitato le isole borromee, nell’omonimo golfo del Lago Maggiore. Mi pare di
aver già detto in altra occasione quanto ami gli alberi, se possibile ancor più
dei fiori. Il Lago Maggiore è da questo punto di vista la sede dell’Eden. Ad
ogni buon conto non è di questo che voglio dire, ma del soggiorno avvenuto in
quei luoghi del generale Buonaparte e del caso che mi ha portato a leggere la
corrispondenza relativa alla visita napoleonica sull’isola. La trovo d’interesse,
se non proprio storico, almeno sociologico.
A scrivere le lettere non è un condottiero
o un politico del tempo, e nemmeno un letterato, bensì un massaro, cioè l’amministratore
dell’Isola Bella (una delle quattro del Lago, cui s’aggiunge lo scoglio della
Malghera, vulgo: dell’Amore) che scrive e riceve risposta dal conte Giberto V Borromeo Arese. Nonostante
il nutrito seguito, l’arrivo del generale francese fu improvviso. Colto di
sorpresa, il massaro dei Borromeo scrisse di essere “molto inquieto nel dover
da un momento all’altro far scoprire più letti e specialmente quello di lustrino
e fiamme nell’Alcova”.
L’ho visto il letto in cui il
generale e consorte si coricarono per una notte. Nulla di speciale, si tratta
di un letto molto piccolo (corto), non già per via della statura del futuro
imperatore, come si potrebbe essere indotti a pensare, bensì a motivo che
all’epoca non era uso, come invece in genere oggi, dormire supini, distesi. Si
dormiva quasi seduti, appoggiati a grandi cuscini, per ragioni che qui
è superfluo indagare.
Dice il massaro nella lettera del
22 agosto 1797 che Madame è più cortese del generale, e possiamo credergli
sulla parola. Assicurava il buon uomo al conte Giberto che all’epoca (giugno
1785) in cui fu ospite – anch’egli frettoloso – l’imperatore d’Austria Giuseppe
II, da questi ebbe “molto meno disturbo”. Prosegue nella lettera: “Ciononostante
possiamo ringraziare Iddio essere stata breve la dimora [di Napoleone]
altrimenti questa casa [il palazzo dell’isola] sarebbe divenuta un vero
quartiere di soldati".
Al seguito del generale, ospiti
nel palazzo, c’erano ufficiali del suo stato maggiore e soprattutto famigliari:
le sorelle Paolina, Carolina, futura regina di Napoli, Elisa, futura
principessa di Lucca e Piombino, il figlio di sua moglie Eugenio Beaubernais,
futuro viceré d’Italia. Il generale Buonaparte, il giorno del suo arrivo, il 18
fruttidoro, pranzò nell’appartamento “grottesco”, forse perché più fresco
rispetto alle stanze del piano superiore.
Il nostro massaro ebbe modo di
dolersi e raccontare che il personale di casa rimase sbigottito dall’invadenza
degli ospiti confidando di non avere mai visto una scena simile. Soprattutto, soggiunge
l’amministratore, “alla partenza del Buonaparte si trovarono alcune stanze
[immaginiamo quali] ben sporche e pur puzzolenti”.
È opportuno che queste cose
restino tra noi e non valichino le Alpi, sennò poi chi li sente i “cugini”. Da
notare, però, che quando qualche anno dopo, ossia l’11 maggio 1805, si
prospettò una nuova visita di Josephine, divenuta imperatrice, il conte
Giberto scriveva al proprio amministratore, che non doveva essere uno
sprovveduto, manifestandogli i propri non vani timori:
«La famiglia imperiale cioè l’imperatrice e l’imperatore sono persuasi
che l’aria dell’isola sia umida e malsana. Se mai, o questi sovrani o altri
signori di quella nazione venissero costì, coltivate pure questa opinione
benché sia falsa e lasciate pure che credano l’insalubrità dell’aria.»
L’imperatrice, tuttavia non si
fece scappare l’occasione per essere ospite nel giugno successivo (furono
approntate sette grandi tavolate), e nel luglio dell’anno seguente giunse il
figlio Eugenio, approdando il giorno tre del mese con imbarcazioni addobbate “a
tutto sfoggio”. Nell’occasione, registrano le cronache, sparirono un candeliere
d’argento e varie pezze di tessuto di Fiandra, nonostante il conte avesse
consigliato il fattore di tenere d’occhio i forestieri.
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