Il generale Krafft von Dellmensingen,
capo di stato maggiore della 14^ armata comandata da Otto von Below, scrive,
nel suo Lo sfondamento dell’Isonzo, che
già dopo poche ore l’inizio della cosiddetta battaglia di Caporetto, ovvero la
XII e ultima battaglia dell’Isonzo, venivano catturati migliaia di prigionieri
italiani (alla fine saranno 300mila), i quali, “parte allegri e parte
frastornati”, si affrettavano sulla strada verso Tolmino, nell’intento di
mettersi al più presto al sicuro, “agitando fazzoletti bianchi al grido: Evviva Germania”. Questo era indice,
secondo il generale, “che la loro volontà e il loro coraggio erano caduti molto
in basso”.
Che non volessero più combattere è
cosa certissima, quanto al coraggio, quelle truppe, quasi tutte composte di
contadini analfabeti non aventi diritto di voto, ne avevano mostrato fin
troppo. Tra le cause della disfatta di Caporetto, ve ne fu una di fondamentale –
sottaciuta – che viene prima delle motivazioni di strategia e di tattica, e ben
si accorda con la situazione di sfinitezza e frustrazione delle truppe dopo due
anni e mezzo d’inutili e sanguinosissimi assalti frontali. Questa si chiama sfiducia, nei comandanti militari, così
come nella classe dirigente nazionale.
*
«L’inverno sarà duro nelle Alpi.
Hai provveduto completamente agli approvvigionamenti invernali per
l’esercito?», chiese in una sera d’agosto 1915 Francesco Saverio Nitti al
presidente del consiglio Salandra (*). E questi, ch’era stato il più tenace
assertore dell’entrata in guerra, gli rispose: «Il tuo pessimismo è veramente
inesauribile. Credi che la guerra possa durare oltre l’inverno?».
Ricorda Piero Melograni, nella sua
Storia politica della grande guerra,
che il generale Cadorna, da parte sua, conversando in una sala del Senato ai
primi di aprile del 1915, affermava «che l’Italia, entrando in guerra, poteva
essere sicura di essere dopo un mese a Trieste». Va tenuto conto, a tale
riguardo, che lo stesso Cadorna, a tempo debito, ammetterà che, presa Trieste,
la città per la sua posizione non sarebbe stata difendibile.
Riporto un altro esempio, esilarante,
del livello di certi ministri di allora (e di sempre). Scrive Angelo Gatti nel
suo diario che il Ferdinand Foch, il comandante in capo francese in visita al
fronte italiano, chiese a un certo punto se il conte di Cavour era di Verona. No,
gli rispondono i generali italiani, era di Cavour. Possiamo immaginare che il
francese si chiedesse tra sé: dove cazzo si trova Cavour? Ad ogni modo gli
italiani soggiungono: «la sua famiglia era Benso di Cavour. «Non è esatto
[osserva nel suo diario il Gatti], ma pazienza. L’enorme è che, sentendo Benso
di Cavour, Bissolati per due volte ministro del re e uomo politico, domanda:
chi è Benso? E quando gli dicono che è Cavour, dice che non ha mai saputo che
si chiamava Benso» (**).
*
Che cosa succedeva al fronte? Ci
si batteva contro un esercito numericamente superiore e ben armato? Tutt’altro,
gli effettivi austro-ungarici saranno per tutta la durata della guerra ben inferiori
a quelli italiani (nel 1917 saranno in rapporto quasi di 1:3), e per quanto
riguarda l’armamento riporto un passo dalla Relazione
ufficiale austriaca:
«Non di rado, la prontezza dei
complementi ad entrare in campagna fu subordinata all’ arrivo di fucili: non di
rado essi giunsero alle Armate senza armi, e, data la scarsezza di armamento,
vi fu perfino qualche Comandante che propose di tenere i disarmati tanto vicini
alla linea di combattimento che ognuno di essi potesse immediatamente prendere
il posto di un morto o di un ferito» (L’ultima
guerra dell’Austria-Ungheria – Relazione ufficiale compilata dall’Archivio
di guerra di Vienna, vol. II, trad. it. 1935, Roma, p. 15).
Un esempio della nostra situazione
al fronte: circa 800 uomini della brigata Puglie, che aveva occupato la q. 28
ad est della foce del Timavo, sono passati il 29 maggio 1917 armi e bagagli al
nemico. E pure con gli ufficiali, almeno così pare. Non era certo il primo caso
di diserzione di massa né sarà l’ultimo (tanto per dire, nel 1917 in Sicilia si
contavano 20mila renitenti alle armi fuggiaschi nelle campagne e nei monti). «E
ancora più grave – scrive Gatti – è il fatto che il duca d’Aosta [c.te 3^
armata], il quale ha cominciato a fare l’inchiesta, ha riferito di aver notato
come segni d’intesa, fatti da ufficiali e soldati delle brigate siciliane: ed
ha detto che sente intorno a sé come un sordo malcontento».
Prosegue Angelo Gatti: «Una causa
specifica si può trovare in un discorso che mi ha fatto il ten. col. Orta: il
quale mi dice che il gen. Tettoni, comandante del VII corpo d’armata, dal quale
dipende appunto la brigata Puglie, avrebbe portato i soldati veramente al
macello, gettandoli innanzi incessantemente senza nessun avvedimento tattico.
Riferisco ciò che mi hanno detto: in una camerata d’ospedale, di cui non mi
hanno voluto dire il nome, 45 ufficiali feriti di quel corpo d’armata avrebbero
detto che un’altra volta quello che è successo non sarebbe in nessun modo
successo, e che Tettoni è un macellaio».
P.S.: domani un post sulla
tattica, su questioncelle che non proprio tutti conoscono.
(*) Il primo ministro
era Salandra, un pezzo di reazionario di prima grandezza, il quale nelle sue
memorie scrisse che con la guerra aspirava a purgare il liberalismo dalla
“scoria” democratica. Il ministro degli esteri Sidney Sonnino, del quale già il
nome indica l’inclinazione filoinglese (sua madre era gallese). Entrambi questi
uomini in redingote erano appoggiati dagli strati alti della società e dai
circoli industriali che caldeggiavano, per ovvi motivi di profitto, il riarmo e
la guerra.
(**) Ad essere pignoli, va rilevato che se i Benso erano marchesi di Cavour, è pure un fatto che Camillo, figlio cadetto, alla nascita non aveva diritto al titolo. Pertanto c’è da supporre che, secondo l’uso invalso, quello di conte, titolo a scalare rispetto a quello di marchese riservato al primogenito, fosse un titolo di cortesia. Tuttavia, a sapere esattamente come vanno queste cose d’araldica c’è da perdersi.
(**) Ad essere pignoli, va rilevato che se i Benso erano marchesi di Cavour, è pure un fatto che Camillo, figlio cadetto, alla nascita non aveva diritto al titolo. Pertanto c’è da supporre che, secondo l’uso invalso, quello di conte, titolo a scalare rispetto a quello di marchese riservato al primogenito, fosse un titolo di cortesia. Tuttavia, a sapere esattamente come vanno queste cose d’araldica c’è da perdersi.
Il problema del passaggio al nemico nella Prima guerra era che - a differenza della Seconda, dove in mano agli alleati occidentali e salvo eccezioni anche importanti i prigionieri italiani stavano relativamente bene - si andava a finire nei campi austriaci, dove si faceva la fame e le condizioni potevano essere pessime.
RispondiEliminaUna volta finita la guerra, nel 1918, agli ex-prigionieri (considerati in blocco una vergogna nazionale) era riservato un trattamento a dir poco umiliante. C'è un libro edito da non molto su un campo raccolta ex-prigionieri in Emilia. Un campo di concentramento, una specie di purgatorio punitivo.
caro Mauro, lasciami dire che quel "relativamente" andrebbe scritto in maiuscolo. se eri prigionieri dei francesi in africa ci rimettevi minimo la salute, e con gli inglesi non era meglio.
Eliminaquanto ai prigionieri del primo conflitto, rilevo che benché l’invio di viveri e vestiario a favore dei prigionieri fosse divenuta prassi accettata, il governo italiano fu l’unico a rifiutare di inviare pacchi viveri ai suoi soldati fatti prigionieri in guerra. Alla Croce rossa, a titolo di concessione, era stato permesso di accettare i contributi in denaro, ma solo per gli ufficiali!
I poveri vanno alla guerra, a combattere e morire per i capricci, le ricchezze e il superfluo di altri. (Plutarco)
RispondiElimina'Che non volessero più combattere è cosa certissima'
RispondiEliminaCertissima. Nonno ragazzo del '99, se vivo, potrebbe confermare. Disertore.
Salve Olympe.
RispondiEliminaIl dialogo tra Nitti e Salandra è per caso riportato nel volume “Rivelazioni” dello stesso Nitti?
Perché più volte l’ho visto da lei citato in questi anni, e starei pensando di cercarlo.
Mi sembra di capire che da Nitti ci siano pervenute molte dichiarazioni interessanti sullo stato di questa “Repubblica democratica”…
Nel frattempo, anche il libro di Gatti è stato aggiunto alla lista della spesa.
Grazie infinitamente per le dritte.
P.S.: nel caso se la fosse persa ieri sera, si diverta:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-38e982e7-a1e6-411a-bb0b-4df308426836.html
il dialogo è riportato da gatti a p. 224 nell'ultima ediz.
Eliminanitti vale la pena leggerlo perché è un teste di prima mano, caustico e obiettivo
grazie, ma non posso con augias, mi è stato proibito dal medico
cordiali saluti