Giretto pomeridiano in libreria,
ieri, per vedere, si sa mai, che cosa propone di nuovo lo spirito letterario di
questa nostra epoca. Sui banchi, in attesa di clienti, c’è Tremonti, Scalfari,
Rampini, Bergoglio, Vespa, Cazzullo, i quali ti propongono le solite seghe a
20-30 euro. Se si desidera leggere qualcosa di nuovo bisogna scriverselo da sé,
e pure in questo blog ogni tanto incollo qualcosa che dovrebbe interessare.
Tra quella merce da rigattiere, c’è però un
libro da poco uscito e che dovrebbe incuriosire: La scintilla, di Franco Cardini e Sergio Valzania, due autori che
non abbisognano di presentazioni. Il primo, il medievalista, lo detesto
cordialmente, ma ciò è del tutto personale e secondario nelle motivazioni. L’altro,
è un ottimo divulgatore che si legge volentieri, ma non è uno storico. Messi
insieme, lo storico e il divulgatore, rappresentano una buona esca. Abbocchiamo,
fintanto che fuori diluvia.
La tesi del libro s’incentra
sull’intervento italiano in Libia nel 1911 (per la precisione: nelle province
ottomane della Tripolitania e Cirenaica), un’aggressione che metterà in luce quanto
già si sapeva, ossia che l’impero ottomano non era ormai che la “carcassa del
turco”, per dirla con una vecchia espressione. È in quegli anni, pure, che
prenderà avvio una questione che si trascina fino ad oggi, quella del Vicino
Oriente.
L’occupazione italiana risvegliò,
indubbiamente, le brame delle piccole potenze balcaniche che, sulla scorta di
quanto fatto dalle forze armate di Giolitti, potevano pretendere incrementi
territoriali a danno del turco con poca spesa (va peraltro notato che la
“stabilizzazione” della Libia sarà ottenuta solo negli anni Trenta e con i “metodi”
del prode Rodolfo Graziani).
Che
l’avventura italiana in Libia prima e nel Mare Egeo poi, possa essere interpretata
come una scintilla del 1914-‘18, è un fatto storico vero (ne accennai in un
post dell’8 marzo scorso, e del resto si tratta di cosa risaputa). Ma da qui a
sostenere che in quel periodo l’unico elemento d’instabilità
veniva dall’impero ottomano, e che l’ingrandimento della Serbia a seguito delle
guerre balcaniche su input dell’aggressione italiana alla Libia, fu di per sé l’origine
della prima guerra mondiale, mi sembra una tesi assai unilaterale.
È vero che
con le due guerre balcaniche la Serbia ebbe quasi raddoppiato il suo territorio
e perciò rappresentava ormai per l’Austria una spina nel fianco, ma non si deve
dimenticare che l’Austria-Ungheria era sua malgrado disposta ad accettare che
la Serbia s’ingrandisse, ma non poteva tollerare che si spingesse fino
all’Adriatico, tanto che pretese la costituzione di un’Albania “indipendente”.
Del resto pure l’Austria s’era ingrandita nel 1908 annettendo la Bosnia e
l’Erzegovina.
Certo che
la contesa spartitoria vedeva l’impero ottomano come il boccone più ambito, e
tuttavia il quadro era molto più ampio, come dimostrava, ad esempio, la prima
crisi marocchina (1905-06), l’affitto di Kiao Chao alla Germania (1897), il
tentativo della stessa di insediarsi nelle Filippine l’anno successivo, e ancor
prima l’acquisto delle isole Samoa. È normale che dopo l’unità tedesca, una
potenza di quel calibro avesse bisogno di garantirsi un proprio spazio vitale
per gli approvvigionamenti di materie prime e per la commercializzazione delle
proprie merci. Forse che l’Inghilterra e la Francia, il Giappone e gli Usa non
facevano altrettanto? Quegli stessi Usa che si ergono ora a paladini
dell’indipendenza dell’Ucraina, ma che guai a mettergli un missile alla porta
di casa (Cuba 1962).
È perciò
nella natura delle cose che la Germania volesse fare da contrappeso per esempio
allo strapotere dei consorzi petroliferi angloamericani. I posti a tavola erano
già tutti occupati, perciò spingeva con i gomiti. Dal lato finanziario va
ricordato lo scritto di Simmens, il direttore della Deutsche Bank, dal titolo
Del significato nazionale della borsa, nel quale raccomandava la nascita di una
forte borsa nazionale proprio in previsione di una guerra, dicendo che la
Germania non avrebbe in tal caso potuto sopravvivere se non avesse avuto una
propria borsa con cui organizzare su base autarchica l’economia nazionale.
Eccetera.
Ad
appiccare il fuoco alle polveri della prima guerra mondiale non fu
semplicemente la questione balcanica, quella fu solo, per così dire, la schiuma
di ciò che bolliva in pentola. Che un conflitto tra le grandi potenze europee
dovesse accendersi era nelle cose da anni, da decenni, e che infine fosse imminente
si evince da cento fatti di varia natura e importanza. Di seguito offro qualche
scampolo credo illuminante, partendo da un dato politico che riguarda la
Germania e poi da dei dati per quanto riguarda il riarmo europeo.
Il partito
socialdemocratico (SPD), era il partito di maggioranza relativa in seno al
Reichstag, e assieme ai sindacati socialisti rappresentava la più grande
organizzazione politica di massa della Germania. Non era pertanto possibile
fare la guerra senza l’appoggio della SPD, perché per fare la guerra ci
vogliono denari e i bilanci vanno approvati in parlamento. E non mi sto
riferendo, come si potrebbe supporre, al fronte unito nazionale del 4 agosto
1914 e all’approvazione del primo credito di guerra, pari a cinque miliardi di
marchi, ossia alle votazioni avvenute lo stesso giorno dell’invasione del
Belgio e dell’entrata in guerra dell’Inghilterra.
L’adesione
all’approvazione dei crediti, che avvenne all’unanimità, non “costituì la prima
presa di posizione ufficiale della frazione socialdemocratica nei confronti
della guerra” come vuole far credere la storiografia “de sinistra”. I social
ruffiani tedeschi si erano già espressi per il riarmo ben due anni prima, nel
1912, allorquando, Ludendorff aveva proposto un aumento di 300mila unità
del’esercito attivo germanico che contava allora 622mila uomini. È vero che ciò
avveniva anche sotto l’impressione dei movimenti sui Balcani, ma era da anni
che si accumulavano “impressioni” di quel tipo e che si predisponevano piani
per una guerra imminente sia in Francia che in Germania.
Fatto sta
che si trattava, nella proposta del responsabile della mobilitazione tedesca,
di aumentare del 50 per cento gli effettivi con l’allestimento di tre poderosi
nuovi corpi d’armata (*). Ovviamente i nazionl-liberali erano favorevoli, anzi
temevano che ciò fosse insufficiente, e tuttavia per una serie di ragioni infine
la proposta presentata nel 1913 al Reichstag fu di 132mila uomini. Per la
copertura delle spese ci furono delle trattative che coinvolsero una parte dei
socialdemocratici, e si arrivò così a 72mila uomini subito chiamati alle armi
il 1° ottobre, prevedendo di prendere in forza l’altra metà nell’autunno del
1914.
Dunque,
nell’ultimo inverno di pace gli effettivi tedeschi ammontavano a 750mila. Ciò
indusse i paesi vicini ad incrementare i propri: la Francia decise di
prolungare la ferma a tre anni, e così guadagnò prima del 1914 ben 160mila
uomini; la Russia dal 1906, dopo la batosta ricevuta dai giapponesi, si stava
riorganizzando con l’aiuto finanziario della Francia e contava di un esercito
doppio di quello tedesco, superando gli eserciti tedesco e austriaco (450mila
uomini) di 300mila unità (nel 1916 la Russia arriverà a oltre due milioni di
effettivi).
In
previsione della guerra su due fronti, Moltke elaborò un piano di attacco che
si basava su quello famoso del generale Alfred Schlieffen, presentato nel 1905,
che consisteva nello sconfiggere la Francia fulmineamente mentre l’Austria
teneva a bada i russi, e poi fare quello che fece Hitler decenni dopo. Moltke
fu accusato, in sede storica, di aver deviato da tale piano, avendo escluso
l’occupazione dell’Olanda e perciò con l’aver indebolito l’ala destra dello
schieramento, lezione che non sfuggì in seguito, come sappiamo, agli attenti
strateghi del nuovo Reich.
Sul mare
la contesa tra le flotte era in atto da decenni, ed è fin troppo nota la dottrina
Mahan per essere il caso di richiamarla. La flotta doveva servire a proteggere
il commercio tedesco e a imporre la parità di diritti, la “sociabilità” e
l’amicizia (!) con l’Inghilterra (tentata nei primissimi anni del secolo). Ma
di là della gara degli armamenti, è il quadro politico e geostrategico che deve
essere preso in considerazione, e come esso rivelasse, con le continue
tensioni, le alte potenzialità di conflitto. La guerra è il prodotto naturale e
genuino dell’imperialismo, sia quello di ieri, di oggi, e quello che potrà
darci un nuovo grande conflitto nel prossimo futuro.
Se la Germania
oggi non deve ricorrere agli stessi mezzi adoperati nel passato per ottenere i
suoi scopi, è perché essa non ha più bisogno, così come le altre grandi potenze,
di avere il possesso diretto del suo spazio vitale, essendo sufficiente mantenerlo
sotto controllo economico e finanziario, nel quadro di un’alleanza strategica
con la più forte potenza militare del pianeta. Ciò almeno fino a quando gli
interessi in gioco non diventeranno troppo forti per essere gestiti con accordi
pacifici. Allora, come ama ripetere in ogni occasione l’attuale cancelliere, accadrà
l’inevitabile.
(*)
Mediamente un c. d’a. non andava oltre 30-40mila uomini: per es., l’organico di
quelli italiani schierati sull’Isonzo e in Trentino constavano di 2 divisioni
con 2 brigate ciascuna, costituite a loro volta da 2 rgt. ternari, dunque complessivamente
un c.d’a. era formato da 24 btg. combattenti di fanteria, ossia truppe “di
linea”, “di marcia”, alpini, bersaglieri, arditi, ecc. (più le brigate di
riserva, in carico però alle armate) che a pieno organico potevano raggiungere
mille uomini, e ciò, specie in Trentino, comportava difficoltà e impacci nella
manovra. Nel computo va aggiunta l’artiglieria e la logistica, e dunque
pressappoco siamo a 30mila uomini per ogni c. d’a.. Cadorna aveva pensato per
il 1918, in prospettiva del massiccio riversamento austriaco dal fronte russo a
quello italiano, di trasformare i rgtt. ternari in binari, aumentando così di
un terzo il numero delle divisioni, portandole a 100. Molti anni dopo,
l’esercito mussoliniano adottò questa pianta organica più snella e “manovriera”.
Infine, negli anni Ottanta, i rgtt., pur conservavano il nome e la bandiera, quando
non venivano sciolti, venivano ridotti a un solo btg, rendendo tra l’altro più
snella la catena di comando con la scomparsa delle divisioni e il mantenimento
delle brigate.
In questo gioco c'è però un giocatore in più rispetto a cent'anni fa: gli USA. Mentre lavorano d'amore e d'accordo con la Germania in Ucraina per papparsi quelle terre, non credo abbiano gli stessi piani per l'Europa occidentale. O mi sbaglio?
RispondiEliminasono già egemoni
EliminaEgemoni infatti. Ma se vogliamo essere vagamente obiettivi, sono i primi della classe perchè, indubbiamente dotati e secchioni, l'abbecedario lo scrivono loro (con il permesso di scriverlo pure). Nostro malgrado possiamo soltanto subire, cosa che la nostra elite fa con entusiasmo.
RispondiEliminaIl pagamento della cambiale agli USA sul via libera alla loro riunione non presuppone che l'accordo si basi anche sull'amore - il proposito di vendetta non si placa nei secoli. Vedremo se Vladimir Vladimirovic sarà e potrà essere della partita di giro.
Se è possibile fare un parallelo coerente, posto che mr.President si appresta a fare il giro delle sette chiese orientali, parlando con alcuni giapponesi certo non di giovani generazioni, si conferma che Hiroshima e Nagasaki agli americani non gliel'hanno mai perdonate.