martedì 13 maggio 2014

Chi paga le tasse e le guerre


Sono le otto e fuori diluvia, come ogni giorno. Sono due anni che piove quasi ininterrottamente, sembra di essere a Macondo. Nove mesi d’autunno e tre che sembrano estate. Anche sulle modificazioni del clima penso che difficilmente potremo cambiare qualcosa con il prossimo voto alle europee, semmai con quelle nazionali, però chissà quando. A meno non intervenga il presidente Napolitano.

In questa situazione ambientale, non solo climatica per il vero, non viene voglia di occuparsi delle cose del presente e piuttosto di quelle, più rassicuranti, del passato, insomma di quelle che possono distrarti e non darti assillo. Del resto, sarà mai possibile che dobbiamo occuparci ancora di tale Primo Greganti? O delle dichiarazioni del presidente del consiglio, il quale sbotta: “Allucinante che rùbino sempre gli stessi”? Suvvia, datevi il cambio che sennò ci si annoia.



Questa mattina il portale del senato non è in linea, succede spesso con quelli istituzionali quando ti servono, e m'è venuto un dubbio: l’hanno abolito stanotte?

I correttori ortografici sono molto utili perché nello scrivere veloce ti scappano degli orrori che non sai se ridere o disperarti, ma a volte il risultato della correzione automatica, nel contesto, può essere anche peggiore.

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Wikipedia è uno strumento di consultazione molto utile, data anche la comodità e rapidità del mezzo con il quale vi si accede. Tuttavia è ben noto che non di rado le imprecisioni e le mende, non sempre di piccolo dettaglio, sono numerose (meglio, se la voce è disponibile, la Treccani). A titolo d’esempio, mi presi la briga di correggere la voce riguardante Cristoforo Colombo che conteneva errori da matita blu.

Più recentemente ho rilevato che anche altre voci avrebbero bisogno di una radicale riscrittura. C’è pure la storia medievale di una non grande città italiana completamente frutto di fantasia e di comici fraintendimenti per quanto riguarda gli etimi latini, quando invece esistono codici del X e XI secolo – pubblicati – che raccontano tutta un’altra e curiosissima origine. Non è il caso di mettere mano alle leggende, anzi, è tanto più pericoloso quanto più esse sono sedimentate e condivise. Del resto, se la cronaca del presente è infarcita di miti e falsità, perché dovrebbe fare eccezione ciò che è accaduto prima dell’11 settembre 2001?

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Ieri sera cercavo intrecci tra una certa vicenda di cronaca nera, di matrice politica, che ebbe per protagonista, involontario, lo storico segretario della CGIL Giuseppe Di Vittorio a margine di un suo comizio in quel di Andria nel 1946. Mi è parso subito chiaro che non c’è nessun collegamento possibile con il nome della famiglia protagonista di quei fatti e un certo personaggio: Carlo Porro, di famiglia lombarda.

La voce di Wikipedia dedicata al generale Carlo Porro è una vera tragedia. Credo, senza esagerare, che di esatto vi sia ben poco oltre alle generalità e alla professione dell’interessato. Solo un esempio: Porro è già generale di corpo d’armata (tenente generale, per la precisione) quale vice di Cadorna, e la sua promozione al grado superiore, cioè a generale d’armata (e non di corpo d’armata) è del 1923 e non 1932. Porro, quale sottocapo di stato maggiore dell’esercito, non poteva rivestire un grado inferiore a quello generale di corpo d’armata, se non altro perché i comandanti dei corpi d’armata sono a lui formalmente subordinati, per quanto essi stessi potessero avere una maggiore anzianità di spallina e per quanto i comandanti d’armata fossero a lui di grado superiore.

Il nome del generale Carlo Porro oggi è semisconosciuto, e del resto non c’è motivo perché egli sia noto quanto Luigi Cadorna del quale fu il vice durante il primo conflitto mondiale, condividendone molte responsabilità, anche sul piano della repressione e delle fucilazioni (*), ma fu tuttavia propenso a una pace con l’Austria. Nel 1917 Porro è destituito dall’incarico con Cadorna, ma resta al comando supremo a stretto contatto del capo, Diaz, e dei due sottocapi, cioè Giardino (che di Porro aveva una “pessima opinione”) e Badoglio.

Qualche nota caratteriale sul personaggio la ricavo da Angelo Gatti, ma non mi risultano monografie sul Porro, personaggio peraltro non di particolare attrattiva (ma si sa mai che scavando …). Scrive Gatti:

“Porro è una ruota che cammina per conto suo e spesso è tenuto all’infuori di ogni cosa”.

Gatti, parlando con il segretario del generalissimo, cioè con il col. Bencivenga, di Porro come successore di Cadorna, si sente rispondere:

“Porro può rimanere a quel posto [vice di Cadorna] appunto e soltanto perché non vale nulla. A poco a poco Cadorna gli ha tolto qualsiasi ingerenza negli affari delle operazioni, tanto che quasi sempre Porro non sa che cosa stia per fare: è ridotto a pensare alle quisquilie, altarini, messe, piccole cosette. Cadorna non lo voleva affatto. […] parecchie volte, mi soggiunge Bencivenga, tentò poi di sbarazzarsene”.

Bell'ambiente, il comando supremo. Singolare un’annotazione di Gatti riferita al 26 ottobre 1917:

“Il generale Porro gli fa osservare [a Cadorna] che, probabilmente, il fondo valle non è stato da noi difeso”.

Non bisogna stupirsene, perché né quello italiano né il fondovalle austriaco erano fortemente presidiati. Dottrina voleva che, dominate le cime, il resto fosse conseguenza. Osservava, per contro, Cadorna, che il forte di Osoppo, con i suoi 4 cannoni capaci di tiro per 360 gradi, “teneva una volta fermo un esercito”.

Questi generali di stampo ottocentesco non compresero quello che per noi oggi (col senno di poi) appare evidente, ossia la novità della tattica avversaria. Viceversa essi erano interessati soprattutto di ciò che stava avvenendo sulle cime. Gli austro-tedeschi, invece, avevano scelto non a caso i due punti più deboli, ossia due brevissimi spazi tra Plezzo e Tolmino, distanti 25 chilometri tra loro. Anche in base ad altre considerazioni di carattere strategico, tattico e logistico, concentrarono lo sforzo maggiore dell’attacco su quei due punti e aggirarono le linee italiane.

Ad ogni modo, per quello che so finora di Porro, mi sono fatta l’idea che egli avesse una visione della situazione europea e forse italiana migliore di quella di molti altri protagonisti, sia politici che militari. Gatti, a un certo punto, scriveva: “la sua rettitudine, la sua onestà, il suo buon senso raggiungono – molte volte ­– una grandezza”.

Resta la mentalità, quella della vecchia epoca, e gli interessi, quelli della sua classe sociale, la stessa che aveva portato l’Italia, fino ad allora alleata dell’Austria, in guerra, dopo aver vergognosamente mercanteggiato con l’Inghilterra e l’Austria stessa la scelta da che parte stare. Del resto le tasse e le guerre le paga sempre il popolo, su questo non ci piove. Ed è pure un fatto che non c’è nulla di meglio per assorbire la disoccupazione giovanile che l’arruolamento, comunque lo si chiami. Perfino Renzi lo sa, anche lui vuole le sue 100mila gavette.

La cosa più curiosa di Porro, potenzialmente fonte non secondaria degli avvenimenti tra il 1915 e il 1918, è che non ci abbia lasciato nulla di scritto – voglio dire di pubblicato – sul conflitto, salvo aver dato alle stampe nel 1925 un Elenco dei ghiacciai italiani (a cura dell’Ufficio idrografico del Po di Parma), come se un maresciallo di Bonaparte ci avesse lasciato della Terza guerra di coalizione la descrizione delle colline della Moravia.

È molto probabile che il gen. Porro non abbia voluto prendere parte alle polemiche del dopoguerra, abbia invece inteso scrivere, sul piano scientifico e non memorialistico. Fu eccellente geografo militare: suo lo Studio di geografia militare (con una bella carta a colori dell’Italia) pubblicato, quand’era insegnante, quale compendio delle lezioni tenute agli ufficiali allievi della Scuola di guerra di Torino, già alla seconda edizione nel 1898 (Wikipedia lo data 1903, in un’ediz. successiva). La geografia militare, come si può anche intuire, non considera tutti gli elementi geografici, ma solo quelli di essi o le loro parti che interessano le operazioni di guerra, tuttavia il manuale di Porro prende avvio con un’interessante escursione storica sul tema.

Non era così però che, l’allora tenente colonnello Porro, arrotondava il magro stipendio (davvero scarsissimo rispetto ad oggi), ossia con i diritti d’autore, poiché il conte Carlo non aveva bisogno d’integrazioni al reddito, appartenendo a un antichissimo casato feudale con molti e solidi possessi (**).

Pubblicò anche, agli inizi del XX secolo, Le ragioni geografiche della italianità del bacino montano dell'Adige. Si badi: ragioni geografiche, non storiche, poiché lì vivevano 160mila persone che d’italiano non avevano nulla.

Il post è diventato troppo lungo, mi fermo qui.

(*) In una lettera del 14 gennaio 1916, diretta al presidente del consiglio Salandra, Cadorna concludeva, in merito alle sue opinioni sul diritto penale di guerra:

È quindi vivamente da deplorare che l’attuale codice penale militare non conceda più, nei casi di gravi reati collettivi, la facoltà della decimazione dei reparti colpevoli, che era certamente il mezzo più efficace – in guerra – per tenere a freno i riottosi e salvaguardare la disciplina.

La lettera fu scritta dopo un lieve episodio d’indisciplina da parte di un rgt. della brg. Ferrara, poi rientrato pacificamente. Due soldati, forse addormentati perché avevano bevuto troppo, non s’erano aggregati al rgt. in marcia. Furono fucilati. Uno dei due era un quarantenne con sette figli. Per altri, che avevano partecipato all’iniziale protesta, ci fu un processo rapidissimo e condanne dai 5 ai 15 anni di fortezza. Cadorna rimase deluso – scrive Piero Melograno nella sua Storia politica della grande guerra – per l’andamento del processo, e perciò scrisse quella lettera. Nelle sue Pagine polemiche, Cadorna pubblicò un riassunto della lettera dal quale omise il passo citato.

(**) Il casato dei Porro fu imparentato con i Visconti, i Paleologi, i Borromeo, la famiglia Caccia-Dominioni, nobili lombardi, i Casati, la famiglia Castelli, anch’essi nobili lombardi come i Verri, la famiglia Aliprandi, signori di Monza e dell'omonima località Aliprandi, i Serbelloni, nobili lombardi il cui nome è stato reso  immortale da tale rag. Fantozzi piuttosto che da gesta cavalleresche, la famiglia Greppi, lombarda, gli Odescalchi, e immancabilmente con le famiglie Medici, Doria, Este, Malatesta, i Della Scala di Verona, quindi i Falier e i Mocenigo, famegie nostrane de laguna, ciò.



1 commento:

  1. Per par condicio, aggiungerei che gli altri Paesi quanto a mercanteggiamenti non erano meno dell'Italia.

    Il patto di Londra e l'affaire Sisto sono noti. Meno conosciuto è l'approccio inglese alla Germania - in pieno 1916, mentre i loro soldati si massacravano sulla Somme - per far fuori l'Austria-Ungheria in cambio della pace e della restituzione dell'Alsazia-Lorena alla Francia e dei territori presi ad est. Fallito il tentativo per il rifiuto della Germania, gli inglesi - che avevano fretta di chiudere prima che arrivassero gli americani - fecero una piroetta di 180 gradi e proposero all'Austria lo smembramento della Germania a vantaggio di una Grande Austria Germanica. L'imperatore Carlo non diede corso ai negoziati, per timore della reazione dei tedeschi.

    Del patto di Londra, poi, sono più o meno noti gli aspetti diplomatici, meno quelli geostrategici e militari. E' da vedere che la decisione di entrare in guerra sia stata una decisione del tutto autonoma di Salandra e Sonnino e dei guerrafondai. Come anche nel 1939, nel 1914 gli anglofrancesi misero il blocco navale all'Italia, come strumento di pressione. Ed era uno strumento abbastanza persuasivo: le materie prime per le lavorazioni industriali cominciavano a scarseggiare, il 25% del triangolo industriale era fermo e gli operai senza lavoro. Forse, dico forse, è già molto che siano riusciti a restare neutrali fino al 1915.

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