Non so come altro definire delle
persone che si ostinano, dopo oltre sessant’anni di prese per il culo (dunque: da
generazioni), a credere di poter contare qualcosa, d’indirizzare in qualche
modo la politica e le sue scelte (ma quali?). Proprio in questi giorni ho avuto
altre innumerevoli conferme della confusione dei ruoli tra servitori e servi,
tra miserie quotidiane e rivendicazioni di una superiore funzione di questo e
quell’altro, della politica e delle istituzioni borghesi. I nostri comportamenti
finiscono così per obbedire “naturalmente” alle costanti del dominio economico,
innanzitutto al linguaggio della merce che è poi quello dei padroni, quello
dello scambio, del lavoro e del profitto, dell’appropriazione e delle
astrazioni monetarie che la casta sacerdotale di questo sistema dice di
decifrare per farsi intendere dalle creature umane, salvo i segreti sigillati e
rinchiusi nelle più impenetrabili e immateriali casseforti.
Non riusciamo non dico a praticare ma
nemmeno a concepire una via di fuga dalle linee della prospettiva mercantile, succubi
della trama di cui s’intesse il mito dell’intramontabilità di questo schifo. E,
per una volta, concediamo ragione a Grillo che se la prende con i servi che si
prestano, molti per poco prezzo, a tradurre il pensiero dei padroni che
gestiscono, governano, ordinano. E tuttavia, non si rende conto che i suoi
anatemi sono ridicoli quanto le sue velleità, come dicevo, di rivendicare un
qualsiasi cazzo di ruolo superiore della politica e delle istituzioni borghesi
(*)? È lo stesso pantano in cui si rotola da sempre lo schiavo, dove più in
basso non può cadere. Anzi, sì, più in basso si può, andando a votare dei finti
candidati che parlano tra loro la stessissima lingua dei padroni. Non s’accorge
Grillo (come potrebbe dal palcoscenico?) che prevale lo spettacolo sul reale, domina
la forma sul contenuto allo stesso modo che il valore mercantile di un uomo
vince sulla sua qualità? Casaleggio, non serve leggere Debord, basta Shakespeare, grullo.
(*) Lo seguo, Grillo, quando parla dell’assurdità
della condizione cui è giunto il “lavoro”, ma poveretto, giungendogli queste
cose per sentito dire, non riesce proprio ad andare più in là della proposta di
una più equa distribuzione della ricchezza, alias un salario “sociale” (oddio, non si rendono conto di essere tornati alle farneticazioni dell’Ottocento,
fingono di non aver capito la reale ed effettiva natura del capitale, dello
Stato, ecc.?).
Speriamo che Renzi, da Presidente del Consiglio, tolga la pensione di reversibilità a un po' di quelle vecchie rincoglionite e analfabete di sezione che lo votano adoranti perché ha la faccia del bravo nipote di famiglia.
RispondiEliminaCerto, purtroppo con lui ci andranno di mezzo, ancora una volta e tanto per cambiare, gli operai e altri sventurati. Ma nella vita si vive anche di piccole soddisfazioni.
anche
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