La chiesa cattolica apostolica
romana conserva un certo peso ormai solo in paesi come l’Italia, per il resto,
da più di trent’anni, galleggia solo grazie a gigantesche operazioni
mediatiche. Il Papa è diventato una delle tante star del grande e composito spettacolo,
perciò l’anacronistico Ratzinger è stato messo da parte per far posto ad un
attore professionista.
I cattolici nel mondo
rappresentano una minoranza, nominalmente uno su sette, poco più di un
miliardo, ma in questa statistica gonfiata c’è dentro di tutto, anche gli atei che
da bimbi sono stati battezzati, oppure gente che non possiede la più pallida
idea dei fondamenti della dottrina cattolica e però nel portafoglio conserva l’immaginetta
apotropaica di un qualche idolo del pantheon più comico della storia.
E vengo al dunque, ossia all’affermazione
scalfariana secondo cui il peccato sarebbe stato abolito da papa Bergoglio.
Più che di un’eresia grossolana, quella di Scalfari è un’occasione perduta. È
vero, invece, che il senso del peccato s’è estinto perché ad esso non crediamo più, e
questa per le gerarchie ecclesiastiche costituisce, obtorto
collo, una presa d’atto.
La misura universale degli esseri
e delle cose non riguarda più il sacro, la realtà è modellata sul regno della
merce e non più sul regno promesso dai preti di ogni risma. Perciò, nella prospettiva mercantile, il
Vaticano deve mostrarsi
misericordioso con tutti, anzitutto con se stesso, altrimenti di questi tempi né
il mastice del timor di Dio e nemmeno il mercato della carità indotto dalla
crisi economica riuscirebbero a tenere insieme i cocci della multinazionale apostolica
romana.
Ciò che appassiona nelle sterili diatribe
mediatiche tuttavia non chiarisce il punto, che invece può trovare idonea
spiegazione nelle dinamiche dell’economia. E qui è necessaria una digressione ab ovo.
Succede al cattolicesimo ciò che
già accadde per il mito classico ben secoli prima che esso fosse soppiantato
dall’antagonista monoteista. Il mutamento antico non fu questione di una nuova
soglia di consapevolezza della coscienza, così come nella modernità la
declinazione del mero conflitto tra fede e razionalità non è motivo sufficiente
per spiegare il cambiamento avvenuto nel rapporto tra società e religione.
Porre l’opposizione tra fede e
ragione come motivo sostanzialmente sufficiente del cambiamento moderno in tale
rapporto, costituisce il difetto principale di ogni forma d’idealismo, e non
solo di quello al quale soggiace compiaciuto Eugenio Scalfari.
Il conflitto tra fede e ragione,
di per sé, è solo la più apparente delle questioni, e vale dunque la pena di interrogarsi
su quali processi profondi hanno condotto a quelle libertà che noi consideriamo
imprescindibili, e in primis a quella
libertà di coscienza che ha consentito per la prima volta nella storia
la possibilità di decidere liberamente e concretamente se aderire o no ad una
religione.
Per rendere libera la coscienza
degli uomini, ad un certo grado, sono necessarie determinate condizioni sul
piano storico e materiale. Di quale libertà, fosse pure di coscienza, poteva
farsi pregio l’antico schiavo, oppure il servo nella società curtense? In quelle
società il mito ben s’adattava ad esprimere l’immobilismo agrario e le forme di
coscienza ad esso compatibili. Né la libertà di coscienza, quale l’intendiamo
oggi, è semplicemente la figlia insolente e ragionatrice della pratica
mercantile, se non per delle élite, altrimenti con la semplice esistenza del
patrimonio monetario l’antica Roma o Bisanzio avrebbero terminato la loro
storia con il lavoro libero e il capitale.
A tale riguardo, è bene notare che
il patrimonio monetario nell’alto medioevo è stato uno degli agenti della
dissoluzione del vecchio modo di produzione, ma accanto ad esso si sono
sviluppate con ampiezza altre condizioni oggettive del lavoro e della sua
condizione, in modo che se il patrimonio monetario è stato uno degli agenti della
dissoluzione, allo stesso modo, dialetticamente,
la dissoluzione degli antichi rapporti sociali è stata la condizione della sua
trasformazione in capitale.
Attraverso tali processi, il
capitale monetario fu messo in grado, da un lato di comprare le condizioni oggettive del lavoro, dall’altro
di ottenere in cambio del denaro lo stesso lavoro
vivo degli operai diventati liberi. Ma per avere lavoratori liberi, essi
devono essere separati dalle condizioni precedenti, ossia devono essere
spogliati dei mezzi di sostentamento. In questo modo si crea una massa di forze di lavoro libera in
un duplice senso: sia dagli antichi rapporti di clientela e di servitù e di
prestazione, e in secondo luogo libera di ogni avere, di ogni forma di
esistenza oggettiva, libera da ogni proprietà.
Per rompere con gli antichi
rapporti sociali, per disporre non del lavoratore libero, ma della sua
condizione di lavoratore libero, ossia, come detto, libero dalle condizioni e dai mezzi necessari al suo
mantenimento, si è resa necessaria una lotta durata molti secoli, una lotta
ideologica che ha investito l’intero
campo delle forme ideologiche della coscienza, e dunque l’intero campo del
reale, una contrapposizione che non ha tagliato le classi sociali nettamente,
ma si è frastagliata fin dentro ogni classe, come del resto vediamo anche oggi
con il dispiegarsi di una nuova fase dell’imperialismo capitalistico.
Da ultimo, va osservato che il 1789 non ha segnato la fine del modo di
produzione agrario, ma del suo predominio. Un passaggio questo che ha avuto
notevoli ritardi in Italia, non solo di natura economica, basti pensare alla
grande resistenza opposta dal cattolicesimo ad ogni processo di emancipazione
delle libertà civili, e all’arretratezza culturale in cui è stato tenuto anche recentemente il paese
in nome di un anacronistico anticomunismo e pure contro qualunque forma di radicale dissenso e proposta di cambiamento. E ciò spiega anche
tanti altri perché.
Oh, «pantheon piú comico della storia» è un’inutile cattiveria, madonna Olympe.
RispondiEliminaOh, «pantheon piú comico della storia» è un'utile precisazione, madonna Olympe. O forse no. Sarebbe più pregnate dire, l'osceno pantheon. Per il resto, sono d'accordo, totalmente solidale. Ma quello che mi piace di più è la sintesi. Il che significa che madam ha assimilato magistralmente il materialismo storico, per i profani, il cosiddetto marxismo. Saluti rossi.
RispondiEliminaOvvía, rosso anonimo, «osceno» proprio no. Un pudico panteo di vergini, pii pensatori, martiri e consolatori misericordiosi, forse davvero il meno osceno fra tutti gli altri olimpi.
EliminaOlympe, nel post successivo hai scritto una cosa che mi ha colpito molto .-Marx ha scritto che ogni epoca si pone i problemi che può risolvere-
RispondiEliminatempo fa il mio maestro di yoga mi disse -Dio ci manda solo i problemi che possiamo sostenere- (secondo la legge della causa e dell'effetto cioè , la legge del karma che ,in base al libero arbitro, ci rende unici responsabili del nostro destino senza alcuna intervento di altra natura ).tutto questo va a suffragare ciò che penso da tempo : quelli che non credono a nulla di trascendente hanno , a volte, intuizioni molto più sottili di coloro che si battono il petto.....