Non inattesa e però corale è stata la levata di scudi contro la
cosiddetta web-tax, e sarebbe il caso di chiedersi perché. L’emendamento, poi
ritirato, era un tentativo di tassare le multinazionali che con strategie di
contabilità fiscale complesse sfruttano le scappatoie fiscali e le differenze
nelle aliquote d’imposta tra i paesi d’Europa. In tal modo – tra l’altro – esse
possono praticare prezzi di mercato più favorevoli fino a quando hanno raggiunto
il monopolio in un determinato settore di attività, cosa peraltro già abbondantemente
avvenuta.
Si può criticare quanto si vuole l’emendamento, ma sostenere,
come hanno fatto certi, che si tratta di un’iniziativa “ridicola” perché
avrebbe avuto ricadute negative per le piccole aziende e le start-up se queste
fossero state costrette, per vendere i propri servizi in Italia, ad aprire una
partita Iva, questo sì che è veramente ridicolo. Poi ci lamentiamo che le
imprese italiane operanti in questi settori non sono concorrenziali, non sono
innovative e licenziano invece di assumere.
Non c’era da farsi illusioni su quell’emendamento, così come
non c’è da farsene su una futura legislazione europea che metta in qualche modo
in paro le cose. Non c’è insomma da aspettarsi alcunché da parte della classe
politica italiana e internazionale imbevuta di teorie cervellotiche e
sottomessa agli interessi di classe che promuove. Se qualche tiepida legge verrà fatta passare in futuro, sarà per concessione e allo scopo di mettere qualche toppa a giganteschi buchi di bilancio statale.
Resta il fatto che mentre si tagliano welfare, salari e
pensioni, le grandi società, perlopiù americane, che realizzano enormi profitti
online, non pagano imposte nei paesi nei quali commercializzano i propri
prodotti e servizi, e poi quei soldi li trasferiscono nei paradisi fiscali come
le Isole Cayman, Bermuda, ecc, evitando di pagare le tasse statunitensi la cui
aliquota è ben del 35% sui guadagni all’estero.
Tutto questo è ben noto e accettato. Ciò che va rilevato, a mio
avviso, di là delle diatribe di carattere fiscale come questa, è l’enorme
trasferimento di surplus dai paesi nel quale esso viene generato verso località
off-shore, per poi essere reinvestito in speculazioni finanziarie e attività
consimili. Si tratta a tutti gli effetti di un impoverimento al quale stiamo
assistendo da decenni, senza che nessuno muova un dito.
Questo è un sistema che per effetto delle sue leggi intrinseche
genera ricchezza per pochi e povertà per tutti gli altri. Una povertà che
ovviamente va misurata non solo sul volume dei bisogni necessari, anch’essi
prodotto della storia e del grado di sviluppo produttivo, ma in generale sulla
qualità di vita che un simile sviluppo potrebbe garantire se la ricchezza
prodotta fosse diversamente distribuita.
Noi invece vediamo come questo sistema modelli le nostre vite e
plasmi le nostre menti, ci privi del lavoro e del suo scopo, trasformi il tempo
libero in ozio debilitante e privo di gioia, secondo la logica di un
fondamentalismo economico assurdo.
Si tratta di una crisi sociale che da molti decenni, forse secoli, non è
mai stata così radicale e diffusa, che non può più essere spacciata come
inevitabile sottoprodotto della civiltà industriale, come attributo inevitabile
dell’”opulenza”. Questo sistema, a fronte dell’enorme produttività e ricchezza
che ha creato, mostra di essere completamente fallito socialmente,
impossibilitato per sua natura a promuovere uno sviluppo sano e felice della
società nel suo complesso e che anzi ci sta trascinando verso il disastro più
completo, probabilmente verso conflitti ancor più ampi e distruttivi rispetto al
passato.
All’origine di tutto questo stanno le contraddizioni che fanno
capo al modo di produzione capitalistico e alle sue leggi, mai riconosciute
dagli economisti borghesi. Questi ideologi, poiché tali essi sono a tutti gli
effetti, hanno creduto e a lungo cantato che il capitalismo si stesse finalmente
comportando secondo le loro ingannevoli previsioni, dimentichi del passato e delle
lezioni di oltre un secolo.
lo centri eccome il punto!
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