Lo
sciocchezzaio trasmesso in queste ore a riguardo dei signori delle “primarie” è
solo uno dei sintomi della piena disgregazione economica, morale e
intellettuale di un paese che non può permettersi troppo spesso, senza
gravissime conseguenze, le stesse stupidaggini. E che tuttavia …..
*
Su altri versanti c’è da segnalare l’ormai
consueto tentativo, che ben alimenta la situazione di disgregazione anzidetta,
di screditare Marx, le cui convinzioni sarebbero basate “su alcuni presupposti
risultati errati in radice, pur se sarebbe stupido [e ci mancherebbe] buttare a
mare la sua opera (scientifica e non meramente ideologica) che ha ancor oggi
alcuni punti di forza”, anche se tuttavia egli è “superato per una serie
d’ipotesi riguardanti la dinamica del modo di produzione capitalistico”, che è come
dire che Marx non ha ben compreso la chiave del fenomeno storico-sociale
capitalistico poiché riteneva che esso fosse l’espressione ultima della società
divisa in classi irriducibilmente antagonistiche.
Dunque, giusta l’analisi delle leggi e
contraddizioni che fanno capo al modo di produzione capitalistico, errata la
prospettiva storico-sociale che vede proprio le contraddizioni in sviluppo del
capitalismo creare le premesse per il suo superamento. E ciò sarebbe confermato
dal fatto che finora il capitalismo tiene botta. L'accusa precisa è questa:
«la dinamica capitalistica non condusse, secondo quanto supposto da Marx,
ad una proprietà puramente assenteista (non più in possesso delle capacità
direttive della produzione), da una parte, e al lavoratore collettivo (od
operaio combinato, “dall’ingegnere all’ultimo manovale”), al polo opposto e
antagonista del “quasi signore”, quale si credeva fosse divenuto il capitalista».
Mi pongo alcune domande (retoriche).
È
necessario dimostrare di nuovo che il rapporto fra capitale e lavoro salariato
determina tutto il carattere del modo di produzione e dunque che i principali
agenti di questo modo di produzione stesso, il capitalista e il lavoratore
salariato, sono in quanto tali, semplicemente incarnazioni, personificazioni
del capitale e del lavoro salariato, sono caratteri sociali determinati, che il
processo di produzione sociale imprime agli individui, in definitiva che essi
sono prodotti di questi determinati rapporti sociali di produzione? Certo che
no.
Inoltre,
è ancora necessario ribadire che l’esistenza di merci ed ancora di più di merci
in quanto prodotto di capitale, implica l’oggettivazione delle determinazioni
sociali della produzione e la soggettivazione dei fondamenti materiali della
produzione, che caratterizzano l’intero modo di produzione capitalistico, tanto
che l’autorità assunta dal capitalista in quanto personificazione del capitale
nel diretto processo di produzione, la funzione sociale che egli riveste nella
sua qualità di dirigente e di dominatore della produzione, è sostanzialmente
diversa dall’autorità avente come base la produzione con schiavi, servi della
gleba, ecc.? Superfluo rispondere.
In
definitiva, se si dà per pacifico tutto quanto premesso, non è necessario
insistere sul fatto acquisito che le caratteristiche sociali delle condizioni
della produzione e i determinati rapporti sociali fra gli agenti della
produzione sono conseguenza di un rapporto di produzione storicamente
determinato e che però non significa statico, tanto più a motivo che il
capitale si fonda per se stesso su un modo di produzione sociale e presuppone
una concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro; così
come ormai diamo per scontato che le società per azioni e il monopolio hanno di fatto e tendenzialmente trasformato
il capitalista realmente operante in semplice dirigente, amministratore del
capitale altrui, e i proprietari di capitale in puri e semplici proprietari,
puri e semplici capitalisti monetari (*).
Scrive Marx a tale riguardo:
«Nelle società per azioni la funzione è
separata dalla proprietà del capitale e per conseguenza anche il lavoro è
completamente separato dalla proprietà dei mezzi di produzione e dal
plusvalore. Questo risultato del massimo sviluppo della produzione
capitalistica è un momento necessario di transizione per la ri-trasformazione
del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata
di singoli produttori, ma come proprietà di essi in quanto associati, come
proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la
trasformazione di tutte le funzioni che nel processo di riproduzione sono
ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei
produttori associati, in funzioni sociali» (III,
cap. 27).
Le
multinazionali che regolano la produzione d’interi settori merceologici, sotto
un’unica direzione tecnica e commerciale, non rappresentano forse una forma di
socializzazione della produzione all’ennesima potenza? Dunque la tendenza
storica della produzione capitalistica genera essa stessa la propria negazione,
essa stessa crea gli elementi di un nuovo ordine economico; dando al tempo
stesso il più grande impulso alle forze produttive del lavoro sociale, la
proprietà capitalistica, già basata di fatto su un modo di produzione collettivo,
non può trasformarsi che in proprietà sociale.
Scrive
Marx: «Questo significa la soppressione
del modo di produzione capitalistico, nell’ambito dello stesso modo di
produzione capitalistico, quindi è una contraddizione che si distrugge da se
stessa, che prima facie si presenta come semplice momento di
transizione verso una nuova forma di produzione. Essa si presenta poi come tale
anche all’apparenza. […] Ricostituisce una nuova aristocrazia
finanziaria, una nuova categoria di parassiti nella forma di escogitatori di
progetti, di fondatori e di direttori che sono tali semplicemente di nome;
tutto un sistema di frodi e di imbrogli che ha per oggetto la fondazione di
società, l’emissione e il commercio di azioni. È produzione privata senza il
controllo della proprietà privata».
Non si vuole vedere,
tra l’altro, nella crisi generale
del modo di produzione capitalistico che ci sta sotto gli occhi, come abbia guadagnato in ampiezza e in profondità la
contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la
forma storica determinata dei rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da
un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori
dall’altro. Non si vuol vedere dunque la
forza del conflitto in atto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua
forma sociale. Eppure essa è percepibile ormai anche al senso comune.
Sarebbe
dunque questo l’errore di Marx, l’aver estrapolato dalle leggi generali del
divenire del suo oggetto (il modo di produzione capitalistico), le tendenze, ossia
l’aver simulato concettualmente secondo il metodo dialettico (genesi, sviluppo,
crisi) il movimento intrinsecamente contraddittorio di tali tendenze per carpire
al futuro la loro forma divenuta. In altri termini, fatti salvi i risultati della sua
esplorazione analitica, fissati nella modellizzazione del modo di produzione
capitalistico, sono invece rigettati come errati quando ritornano come previsione teorica (la quale ovviamente come tendenza indica
un possibile, dipendendo il suo
completarsi dall’azione e dall’esito della lotta di classe e dunque
dall’attività conforme al conseguimento degli scopi).
A quale scopo sono ritenute errate le previsioni marxiane dagli ideologi borghesi? Quello di negare ogni possibilità di
trasformazione cosciente della materia sociale, della produzione e
distribuzione, dell’organizzazione in generale secondo scopi predefiniti, in
definitiva di dimostrare l’inutilità della lotta di classe quale motore di
trasformazione sociale. Essi vogliono mostrare come, per contro, siano le élite
a svolgere un ruolo storicamente fondamentale negli avvenimenti. Credendo in
tal modo di aver trovato facilmente la chiave d’interpretazione del fenomeno
storico, essi ritengono che essa possa funzionare come chiave universale adatta
a tutte le epoche storiche. In buona sostanza si tratta di una teoria
storico-filosofica generale la cui virtù suprema consiste nell’essere
sovrastorica.
(*)
Scrivevo nel post del 24 novembre scorso: la scienza borghese identifica la
proprietà giuridica dei mezzi di produzione con la proprietà economica, ossia
con il possesso, laddove la prima determinazione è solo una delle possibili
determinazioni della seconda, non necessariamente esclusiva.
(**) Dal
punto di vista economico e a riguardo delle società per azioni, Marx svolge
subito dopo un’importante osservazione: «poiché
il profitto si presenta qui esclusivamente sotto forma d’interesse, tali
imprese sono possibili anche quando esse dànno il puro e semplice interesse, e
questa è una delle cause che si oppongono alla caduta del saggio generale del
profitto, poiché queste imprese in cui il capitale costante è in proporzioni
così enormi rispetto al capitale variabile, non incidono necessariamente sul
livellamento del saggio generale del profitto».
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